ECCO UN ALTRO DEI “MIRACOLI” DI #RENZI, NATO PER SUA VOLONTA’ DURANTE L’EXPO’ PIU’ IMPORTANTE DI SEMPRE A MILANO. DOVE PORTO’ IL MONDO INTERO.

GRAN MILANO

Il ritorno dei “cervelli” abita qui, tra lo Human Technopole e il MIND

DANIELE BONECCHI 18 NOV 2023

Viaggio nell’area innovativa della Milano dei saperi, che in pochi anni sta mantenendo tutte le promesse del progetto

Sullo stesso argomento:

Stefania Giussani è una dei cento ricercatori che popolano il pianeta di Human Technopole e come molti altri giovani sta percorrendo a ritroso la strada dei cervelli in fuga, che terrorizza il mondo dell’impresa italiana, e anche di più, e con meno costrutto, quello mediatico. Stefania da Como – classe 1991 – ha fatto l’università a Varese, frequentando il corso triennale di Biologia all’Insubria, per proseguire al Molecular Biology and Genetics dell’Università di Pavia (corso in inglese). “Poi – spiega – ho svolto un dottorato presso un’azienda di Siena, per tre anni. Ho iniziato a studiare il sistema immunitario del cervello in un laboratorio di Oxford grazie a tre anni di studi come ricercatore dopo il dottorato. Un’esperienza formante, anche perché vivere all’estero è stato importante. Non mi è pesato perché mi piace viaggiare anche se nel periodo del Covid è stato più complicato tornare a casa di tanto in tanto, ma anche vedere ciò che succedeva in Italia senza poter far nulla”. Ma che cosa spinge i giovani “cervelli” a fare esperienze di studio e lavoro all’estero? “L’esperienza, quella di Oxford mi ha permesso di conoscere molte persone, fare conoscenze in giro per l’Europa, insomma mi ha formato. Ma la mia idea era di tornare sul continente: Germania o Svizzera. È arrivata inattesa l’opportunità di Human Technopole a Milano e ho deciso di provare col gruppo di Oliver Harschnitz (Group Leader al Centro di ricerca per la Neurogenomica), che a me interessa molto e il tipo di scienza che pratica mi è piaciuta subito. Si tratta di ricerca su cellule staminali e il sistema immunitario nel cervello, quindi neuroimmunologia”. A cosa sta lavorando? “In particolare sto studiando le interazioni tra neuroni e cellule del sistema immunitario che risiedono nel cervello per capire come rendere questa malattia meno invasiva, infatti questa malattia provoca deficit a lungo termine e quindi è necessario cercare di capire come evitare questi deficit neurologici”, conclude Stefania Giussani.

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Persone in gamba, non fessi

La partita delle riforme: un’opportunità per molti

Scrive Andrea Ruggieri — 10 Novembre 202

“A naso, non mi sembra una grande idea quella di poter sostituire il premier eletto con un altro parlamentare di maggioranza, per sbarrare la strada ai governi tecnici. Perché i segretari di partito puntano dichiaratamente (si è già visto nelle ultime tornate) a riempire il Parlamento di gente anonima, a volte persino mediocre o fessa, che come unico pregio ha quello di non poter mai fargli ombra. Non vorrei dunque si potesse arrivare mai al paradosso di ritrovarsi, al posto di un premier eletto, un suo sostituto inadeguato, magari ritenuto più governabile. Abbiamo bisogno di persone in gamba, non di fessi!”

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Berlusconi, Dell’Utri e i rapporti con i boss: UNA SENTENZA ALL’ACQUA DI ROSE PER I PEGGIORI CRIMINALI DEL DOPOGUERRA.

DELL’UTRI HA SOLAMENTE MESSO IN CONTATTO #BONTADE, #RIINA E #BAGARELLA COL SIOR SILVIO. DOPODICHE’ HA FATTO SOLO IL FATTORINO E HA DATO QUALCHE IDEA: QUELLA DEI #GEORGOFILI, PER ESEMPIO. QUESTE RICOSTRUZIONI FANNO ACQUA DA TUTTE LE PARTI. O MI VOLETE CONVINCERE CHE IL DOTTO SIOR #RIINA SAPEVA QUALCOSA DEI #GEORGOFILI DA ATTACCARE? UN VILLANO MAI USCITO DAL SUO CORTILE, SE NON PER ANDARE A QUALCHE SUMMIT IN VIA ROVANI E AL RISTORANTE SOTTOSTANTE COL MAFIONANO E LE DUE #CUPOLE A MILANO? E DUNQUE HO RICICLATO IO – FIN DAL 1975 – LE CENTINAIA DI MIGLIAIA DI MILIARDI SPORCHI DI SANGUE PER ACQUISIRE UN IMPERO TELEVISIVO, I PIU’ CARI CALCIATORI DEL MONDO, MAGISTRATI, GENERALI IN UNIFORME, COMIS DI STATO GRANDI E MEDIE SOCIETA’ CON LE BUONE O CON LE CATTIVE?

Berlusconi, Dell’Utri e i rapporti con i boss

Nessuna condotta perseguibile sulla trattativa Stato-Mafia per il braccio destro di Silvio Berlusconi, ma l’evidenza che l’ex Presidente del Consiglio non poteva non sapere dei rapporti di Dell’Utri con i boss, soprattutto nelle prime fasi di Forza Italia, il periodo precedente e successivo alla sua discesa in campo. “Sarebbe, parimenti, illogico sostenere che Dell’Utri, che pure aveva avuto un ruolo determinante della fondazione di Forza Italia, non abbia riferito nulla dei suoi contatti per un possibile sostegno elettorale con esponenti di vertice di Cosa nostra all’amico imprenditore Silvio Berlusconi… L’interlocuzione tra Berlusconi e Dell’Utri su tali argomenti, del resto, non poteva che essere diretta, esclusiva e riservata… Escludere Berlusconi dai rapporti pericolosi intrattenuti da Dell’Utri con i vertici mafiosi significherebbe, dunque, irrazionalmente immaginare che l’imputato abbia deciso da solo, senza avvertire il suo dominus, su questioni di così vitale importanza, che riguardavano la sicurezza collettiva, in ragione della sempre incombente minaccia di nuove stragi, e che coinvolgevano anche la tenuta della coalizione di maggioranza”.

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IL GOVERNICCHIO DEI DIETROFRONT: ARMIAMOCI E… PARTITE!

Governo, l’incapacità di scegliere

di Walter Galbiati

Dalla tassa sugli extra profitti delle banche alle pensioni dei medici: ecco tutti i dietrofront dell’esecutivo Meloni.

A volte tornare sui propri passi è segno di maturità. Ma quando si fa ripetutamente viene da pensare che sia più dovuto all’incapacità di scegliere la via giusta che ad altro. Nell’arco di tempo in cui è stata pensata questa manovra il governo ha più volte montato e smontato svariati provvedimenti.

L’ultimo intervento porta la data di ieri (mercoledì 8 novembre), quando l’attuale maggioranza si è accorta di aver tagliato talmente tanto le pensioni dei medici che smetteranno di lavorare il prossimo anno da innescare una corsa all’uscita entro la fine di dicembre, con il rischio di azzoppare una sanità già carente di personale. E da qui il ripensamento.

Ma il primo e forse più eclatante dietrofront è stata la tassa sugli extra profitti delle banche che avrebbe dovuto produrre le coperture per il taglio delle tasse dei lavoratori più poveri. Era intervenuta direttamente Giorgia Meloni, rivendicando il merito di aver pensato a un balzello con il compito di togliere miliardi alle ricche banche, colpevoli di aver lucrato alzando i tassi sui mutui senza al contempo fare lo stesso con i risparmiatori remunerando i soldi sul conto corrente.

Secondo le trimestrali pubblicate negli ultimi giorni, lo Stato avrebbe incassato quasi due miliardi di euro, ma la marcia indietro sotto la spinta di Forza Italia ha di fatto annullato l’incasso perché è stata data la possibilità alle banche di accantonare quei soldi come patrimonio, invece di versarli allo Stato sotto forma di tasse.

Sempre i mal di pancia di Antonio Tajani hanno portato a un altro clamoroso cambio di rotta sulla cedolare secca. Toccare la rendita delle case per il centrodestra è cosa da comunisti. Così l’idea di alzare la tassa sugli affitti brevi dal 21 al 26 per cento portandola a qualcosa di simile, se non all’Irpef, almeno alle rendite finanziarie, è stata prima sbandierata e poi ridimensionata, conservandola nella forma del 26 per cento solo per chi affitta almeno due case, a partire dalla seconda.

Ma le inversioni a U più clamorose sono state compiute sui provvedimenti ritenuti più identitari dagli attuali membri del governo. Quelli a favore della famiglia, tanto cari a Giorgia Meloni. E quelli sulle pensioni, su cui Matteo Salvini si era più volte speso pubblicamente.

Uno dei pallini della premier è far ripartire la natalità in Italia, un po’ perché per lei è meglio avere più italiani che stranieri, un po’ perché si è accorta che senza braccia l’economia non cammina. In conferenza stampa è arrivata baldanzosa per annunciare l’asilo gratis per tutti i secondi figli. Salvo poi correggersi dicendo che più che gratis era una sorta di contributo. Stesso copione sulla decontribuzione: meno contributi da versare per tre anni per le donne assunte con più di due figli, salvo poi farfugliare che, se va bene, questo sarà solo per un anno.

Ancora, lo scorso anno il governo di centrodestra aveva pensato di abbassare l’Iva sui prodotti per l’infanzia al 4 per cento. Oggi, benché quell’intervento abbia prodotto qualche beneficio, Meloni ha deciso di tornare alla vecchia Iva riportandola al 10 per cento sui pannolini e al 22 per cento sui seggiolini.

Il capolavoro, però, è sulle pensioni, dove l’esecutivo ha superato quello che avrebbe potuto fare un governo tecnico, come quello di Mario Monti. Governi tecnici contro i quali la maggioranza sta pensando addirittura a una riforma costituzionale. Di fatto sono state alzate le condizioni per andare in pensione e peggiorati i parametri rispetto alle norme introdotte dalla tanto odiata Fornero.

La promessa agli elettori era di smantellarla, ma poi nella prima versione della manovra non solo il governo ha peggiorato le quote che pure Draghi era stato costretto a introdurre, ma ha abbassato le pensioni ai Millennials modificando i coefficienti. E infine ha alzato l’età per chi volesse usufruire di opzione donna e ape sociale.

Tutti interventi restrittivi che avrebbe potuto compiere un governo tecnico, non certo uno di stampo populista come quello di Giorgia Meloni. Che si è accorto di aver tradito la propria natura e sta cercando di correre ai ripari. Con modifiche e contro modifiche dell’ultimo minuto.

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C’è molto poco da festeggiare

Sui migranti Meloni si concede lo show, ma l’accordo con l’Albania può essere un boomerang

Mettiamola così: al Viminale hanno i capelli ritti perché scrivere e definire a livello giuridico i punti chiave dell’accordo con l’Albania sarà cosa complessa assai; le opposizioni, Pd in testa, vogliono leggere l’intesa che poi dovrà essere votata dal Parlamento. Due reazioni più vicine di quel che sembra e che suggeriscono cautela nel festeggiare ed esaltare “il successo storico” della premier perché “per la prima volta un paese terzo rispetto alla Ue aiuterà uno stato europeo nella gestione dell’immigrazione illegale”.

I “risultati” del successo storico, infatti, sono rinviati di “qualche mese, più o meno aprile”. Solo allora sarà possibile valutare se il protocollo Italia-Albania per gestire circa 40mila migranti ogni anno rispetta diritti, accordi e convenzioni europee ed internazionali e se sarà efficace nella lotta ai trafficanti di uomini. Fino ad allora la maggioranza, soprattutto i Fratelli, potranno fare demagogia e propaganda senza dover rendere conto dei fatti. Quando arriverà il tempo della verifica, l’esternalizzazione fai-da-te della gestione dei migranti potrebbe rivelarsi un boomerang per la stessa credibilità della premier.

Con onesto pragmatismo occorre riconoscere che Giorgia Meloni lunedì ha sparigliato: nessuno se lo aspettava, pochissimi sapevano, se tutto va come previsto e raccontato il messaggio che arriva ai migranti è che la maggior parte di loro (circa 40mila l’anno) non arriverà più in Italia, non in Europa ma in Albania tuttora sub iudice nel processo di ammissione all’Unione europea. Se questo è un forte deterrente contro l’immigrazione illegale, tutto il resto, le regole d’ingaggio, il rispetto dei diritti e delle convezioni e le soluzioni finali sono un work in progress la cui fattibilità e il cui esito sono tutti da dimostrare. Partendo dalla fine, che poi dovrebbe essere sempre l’inizio di ogni ragionamento sul tema migranti, la domanda è cosa succederà dei 36mila migranti (su 40mila previsti, in genere solo il 10% ha diritto all’asilo) ristretti nella ex caserma albanese di Gjader quando alla fine dei 18 mesi dovranno essere rimpatriati. Una cosa è certa: se l’Italia non riesce a fare le espulsioni, non riuscirà neppure l’Albania. Il presidente albanese Edi Rama non ha avuto dubbi: “È chiaro che sono persone in carico all’Italia e non all’Albania”. Dunque alla fine di questa gita albanese, i migranti che non hanno diritto e che sono stati ristretti in Albania potrebbero essere trasferiti in Italia. E ritrovarci in casa il problema come e più di prima. La prova sarà disponibile nel pieno dell’estate, dopo il voto per le Europee. Fino ad allora, sarà show.

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Nel memorandum firmato lunedì a palazzo Chigi sono individuate le due aree che il governo albanese darà in gestione all’Italia. Il centro di prima accoglienza, dove saranno fatti i riconoscimenti e le valutazioni sul diritto all’asilo “entro i 28 giorni” previsti dal decreto Cutro, è previsto nel porto di Shengjin. Chi non ha diritto all’asilo sarà mandato a venti chilometri nella ex base militare di Gjader, con tanto di aeroporto, in attesa di essere rimpatriato. L’ex base militare sarà un Centro per il rimpatrio italiano in terra albanese: manutenzione, personale, giurisdizione italiana. Così come il centro di prima accoglienza di Shengjin. Un po’ come se fossero due ambasciate: territori italiano all’estero. Fuori dalle due strutture, la vigilanza e la sicurezza saranno in capo alla polizia, allo stato e alle leggi albanesi. Anche questo, con molto cinismo, può essere definito un deterrente.

Protocollo Italia-Albania

L’accordo tra i due Stati in sé non è un problema. Si può fare. Di sicuro non sottrae l’Italia, e neppure l’Albania, dal rispetto degli obblighi internazionali ed europei. Le organizzazioni umanitarie, da Amnesty a Medici senza frontiere, hanno già denunciato le violazioni del diritto d’asilo. La Commissione Ue, finora esclusa dall’accordo, attende dettagli perché il mix di diritto nazionale, internazionale ed europeo potrebbe risultare ingestibile. Anche Rama ha problemi in casa. Le opposizioni lo attaccano: “Che fai, ci porti la crisi italiana in casa?”. Come si vede, c’è molto poco da festeggiare.

Claudia Fusani

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IL VOSTRO DIO, CHIUNQUE EGLI SIA, VI STA MALEDICENDO PER AVER CANCELLATO LE OTTIME RIFORME DI #RENZI (VEDI “ITALIA SICURA”) E QUESTI MORTI E QUESTI MILIARDI BUTTATI LI AVETE SULLA COSCIENZA TUTTI VOI NAZIFASCISTI, DALLA MACCHIETTA MAFIOSA E MASSONE #giuseppi, a #salvini e soprattutto #meloni: IN UN ANNO, INVECE DI FARE CAGATE, AVREBBE POTUTO RIPRISTINARLO. SE A QUESTA MARMAGLIA INTERESSASSE DAVVERO QUALCOSA DEI CITTADINI CHE LI MANTENGONO NEL LUSSO. BESTIE!

Firenze

Prato

Maltempo

Tempesta Ciaran, in Toscana lo stato d’emergenza: cinque vittime e tre dispersi

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L’ITALIA E’ SOTT’ACQUA, I PONTI CROLLANO, LE PIENE SPAZZANO VIA CASE E PERSONE… MA PER IL GOVERNICCHIO PEGGIORE DI TUTTI I TEMPI CONTA SOLAMENTE ABOLIRE I 4 SENATORI A VITA. EPPURE, SAREBBE BASTATO UN “SI'” NEL 2016 E OGGI CI SAREMMO GODUTI UN PAESE SANO E CI SAREMMO COMPRATI ANCHE LA SVIZZERA.

Riforme, la maggioranza chiude l’accordo sul premierato. C’è la norma anti-ribaltone. Addio ai senatori a vita.

INTANTO: MOLTO LONTANO DAI PALAZZI, DALLE VILLE RUBATE , DALLE AUTOBLU E DAI MILLE VOLI DI STATO INUTILI…

INVECE… SE LE CAROGNE CHE TUTTI CONOSCIAMO AVESSERO FATTO L’INTERESSE DEL PAESE E I CITTADINI BEOTI AVESSERO VOTATO CON UN ALTRO ORGANO DIVERSO DAL CULO…

La storia dell’Unità di Missione

Italia Sicura: cos’era e come nacque la Struttura di Missione contro il dissesto idrogeologico.

Italia Sicura, la Struttura di Missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, nasce il 27 maggio 2014, durante il Governo di Matteo Renzi.

Il presupposto – come spiegò lo stesso Matteo Renzi – stava nella fragilità del nostro territorio: “L’Italia è un Paese bellissimo. Bellissimo e fragile. E il prezzo di questa fragilità in termini di vite umane e danni economici è stato sempre troppo alto perché la politica non decidesse di intervenire per contrastare il dissesto idrogeologico e mettere in sicurezza la nostra Penisola dalle sue conseguenze”.

Italia Sicura venne creata sbloccare fondi e cantieri delle opere decise per sanare i problemi creati dal dissesto idrogeologico, su tutto il territorio italianoCoordinata da Erasmo D’Angelis, nata in collaborazione con l’architetto, poi senatore a vita, Renzo Piano, alla Struttura furono affidate misure straordinarie e il compito di coordinare tutte le strutture dello Stato per trasformare in cantieri oltre 2,4 miliardi di euro non spesi dal 1998 per ridurre stati di emergenza territoriali.

Fu, come si disse durante la presentazione del progetto, uno dei paradigmi dell’azione di Governo, volti a far ripartire l’Italia. Con Italia Sicura, si scelse la strada della prevenzione superando la logica delle emergenze in settori chiave per l’attività sociale, culturale e economica.

Questi alcuni dei numeri che allora vennero presentati: nel 2014, l’81,9% dei Comuni aveva  aree in dissesto idrogeologico, 3,5 erano i miliardi l’anno che lo stato pagava dal 1945 per danni e risarcimenti di frane e alluvioni, mentre erano 3.395 le opere anti-emergenza (ossia gli interventi previsti da Accordi di Programma Stato-Regioni siglati nel 2009-2010 sommati ad ulteriori richieste successive in seguito ad eventi meteo devastanti), delle quali il 3,2% degli interventi previsti conclusi, mentre il 19% era in corso di esecuzione e il 78% era  lontano dall’essere avviato. Dati che, con trasparenza, vennero riportati su una mappa interattiva, tuttora consultabile.

Nell’arco di tre anni, grazie ad Italia Sicura si ottennero risultati importanti. Vennero investiti 2.260 milioni di euro in 1.781 opere. e vennero sbloccate opere per oltre un miliardo di euro rimaste ferme nelle contabilità locali per inutili lungaggini. Grazie alla Struttura, in 30 giorni i Presidenti di Regione (commissari straordinari al dissesto ) potevano dare tutte le autorizzazioni allo sblocco delle opere che, precedentemente, restavano ferme per intoppi burocratici.

La Struttura venne poi smantellata durante il Governo Conte. A luglio 2018, i fondi e le relative competenze della Struttura tornano in capo ai singoli ministeri. Venne, dunque, meno una cabina di regia nazionale, in grado di coordinare gli interventi con tempestività. Un’unità di missione, che aveva rappresentato una svolta, venne cancellata in un blitz notturno dal Governo Conte: con un decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri le funzioni in materia di emergenza ambientale, contrasto al dissesto idrogeologico, di difesa e messa in sicurezza del suolo e di sviluppo delle infrastrutture idriche vennero trasferite al Ministero dell’Ambiente, allora retto dal Ministro Costa.

Oggi, di quella Unità di Missione, del cui ripristino il disastro dell’Emilia Romagna, ancora una volta, ci mostra l’urgenza, non c’è più nessuna traccia. Nemmeno sul sito del Governo.

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“PRIMA GLI ITALIANI” SOTTO I PONTI.

Che gli frega a loro, si sono rubati i soldi per le ville!

IL CASO

Sfratti triplicati e affitti introvabili, ma il governo ignora l’emergenza casa.

di Filippo Santelli

Dopo la moratoria Covid, nel 2022 le esecuzioni sono tornate ai massimi da cinque anni. In legge di Bilancio nessuna risorsa contro il caro canoni e la morosità incolpevole, né per il Piano casa promesso da Salvini.

https://www.repubblica.it/economia/2023/10/27/news/sfratti_prezzo_affitti_milano_roma-418856767/?ref=RHVS-BG-I330891680-P3-S6-T1

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ALTRO CHE L’AMERICANATA “HALLOWEEN”!

Festa di “Su Mortu Mortu”: il Comune di Stintino apre le adesioni.

Nell’isola a forma di sandalo, i morti hanno sempre goduto di grande rispetto, e suscitato in alcune occasioni grande timore.

Fin dalla Preistoria si è creduto che la morte non segnasse una cessazione totale della vita.

La si considerava, invece, una tappa fondamentale del ciclo della vita, al pari della nascita.

La morte, dunque, secondo i nostri antenati, non è da intendersi come qualcosa di brutto, ma è semplicemente un passaggio necessario che consente di accedere a un’altra dimensione, non terrena.

Si spiega così la consuetudine di accompagnare i defunti nel loro viaggio ultraterreno con gli oggetti che avevano utilizzato in vita e di decorare le tombe come fossero le abitazioni dei vivi.

“animas bonas e animas malas”

Secondo la tradizione sarda, la schiera dei morti si divide in “anima bonas e animas malas”.

Ed è facile intuire come le prime abbiano propositi positivi di aiuto e protezione, mentre dalle seconde bisogna stare bene alla larga.

I nostri antenati (ma anche mia nonna) erano fortemente convinti che i morti potessero ancora interferire con le cose dei vivi.

Ed è proprio questa convinzione che spiega la grande reverenza che i sardi mostravano nei confronti delle anime dei trapassati e la maggior parte delle usanze legate al “Giorno dei Morti”.

Le tradizioni sarde per il “Giorno dei Morti”…

Come spesso accade nella mia isola, non esiste un’unica tradizione legata al “Giorno dei Morti”, ma una varietà di usanze distribuita su tutto il territorio regionale. UN PO’ COME DIVERSI SONO I DIALETTI E GLI ACCENTI.

Se non proprio ogni paese, sicuramente ogni territorio ha una propria e specifica tradizione finalizzata a ricordare e render omaggio (anche a non offendere e a non far arrabbiare) alle anime di defunti.

Ce ne sono alcune più diffuse di altre, e che magari si ritrovano con lievi differenze su tutto il territorio sardo.

“Is animeddas, Su mortu mortu, Su prugadoriu”

Sono questi i diversi nomi per indicare la stessa antica tradizione che ha per protagonisti, guarda caso, i bambini.

Il pomeriggio del 1 Novembre (ma anche del 2) i bambini del paese, divisi in gruppi e spesso vestiti di stracci, andavano in giro per le case recitando filastrocche in sardo e chiedendo un’offerta per le “animelle” sospese tra Paradiso e Inferno.

Vietato non aprire la porta e non offrire qualcosa!

In quel momento loro rappresentavano le anime del Purgatorio.

Ci sono paesi dove, fortunatamente, è ancora ben viva e ogni anno viene onorata donando dolci e prelibatezze ai bambini che bussano alla porta.

Conoscevi questa tradizione?

Scommetto che ti ha ricordato Halloween!

Beh, indubbiamente le somiglianze sono tante e, probabilmente, sono da ricondurre a quell’origine comune tra protosardi e i Celti, arrivati molti millenni dopo i Sardi.

“La cena per le anime”

Si tratta dell’usanza di preparare, la sera della vigilia di Ognissanti, una cena per “sas animas” a base di gnocchetti conditi col sugo al pomodoro e pecorino, vino e pane.

La credenza infatti prevede che proprio in quella notte le anime dei nostri cari facciano ritorno alle proprie abitazioni.

Proprio per questo motivo bisogna fargli trovare qualcosa da mangiare.

Anche questa tradizione prevedeva un divieto: non si doveva mettere sul tavolo apparecchiato nessun coltello, perché fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio (soprattutto quando si tratta di spiriti)! La tavola si apparecchiava anche per chi non c’era più e, quando la famiglia nadava a dormire lasciava i piatti e il tegame della pasta sul tavolo, col vino e i bicchieri.

Queste sono solo due delle tradizioni legate al “Giorno dei Morti” più diffuse e famose dell’isola.

Ma ce ne sono veramente tante e spesso sono legate ai nostri ricordi di infanzia!

In Sardegna non c’è tradizione che non sia abbinata a un piatto tipico o a un dolce!

Quella del “Giorno dei Morti” non fa eccezione!

I dolci tipici di questa festività sono i “Papassini” (come li chiamiamo noi, ma le varianti del nome sono veramente tante).

Si tratta di biscotti con mandorle e noci tritate e tanta uva passa.

L’uva passa è l’ingrediente di punta di questo dolce; tanto da dare il nome al biscotto.

Infatti in sardo l’uva passa si chiama “papassa” o “pabassa“ e da questo nome a “papassinos” il passo è veramente breve!

Da noi si è soliti ricoprire i biscotti dalla caratteristica forma “a rombo” con della glassa di acqua e zucchero, la cosiddetta “cappa” (quella che fa impazzire chi li prepara la prima volta).

  1. Manifesto
  2. Pabassinus
  3. Animeddas
  4. Altri dolci tipici
  5. Altro manifesto

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