IO CI CREDO

“Macché overdose
Hendrix fu ucciso”

L’ex fonico: “Me lo disse l’assassino, il suo manager”
FRANCESCA PACI
CORRISPONDENTE DA LONDRA
I fan più irriducibili non si arrendono al finale aperto firmato dal medico legale e continuano ad arrovellarsi sulle ultime ore del grande Jimi Hendrix nella camera spoglia del Samarkand hotel, nel cuore della vulcanica Londra del 1970. Che gli eroi si spengano giovani e spesso in circostanze poco chiare è l’assioma di chi si nutre di leggende. Figurarsi nel caso del rocker rivoluzionario considerato dalla rivista Rolling Stone Magazine il maggior chitarrista della storia della musica. Il libro di un ex tecnico di Hendrix, James «Tappy» Wright, riapre ora il caso svelando un retroscena inedito e destinato a scatenare i patiti della dietrologia. Secondo Wright, che a giugno lancerà in Gran Bretagna Rock Roadie, memorie di un fonico all’ombra dei concerti di Tina Turner e Elvis Presley, l’icona di Woodstock non morì d’overdose, come spesso vagheggiato, ma fu ucciso dal suo manager disposto a tutto pur d’incassarne la polizza sulla vita. A rivelargli il delitto, spiega l’autore nella prefazione, fu lo stesso assassino, Michael Jeffrey, dopo una pesantissima sbronza carica di fantasmi e rimorsi.

«Non riuscivo a sostenere quella conversazione, a guardare l’uomo che conoscevo da così tanto tempo, la sua faccia pallida e la fila dei bicchieri vuoti davanti a lui», scrive «Tappy» Wright. L’episodio risale al ‘71, un anno dopo la scomparsa di Hendrix. La sera del 18 settembre 1970 i medici archiviano il decesso come «intossicazione da barbiturici e annegamento nel vomito» lasciando aperta l’ipotesi sulle cause. Se avessero anche solo menzionata l’eventualità di un suicidio l’assicurazione avrebbe dato battaglia. Invece, forte del mistero, Jeffrey si presenta alla cassa e riscuote, senza colpo ferire, 2 milioni di dollari, l’equivalente di 1,2 milioni di sterline attuali (1,3 milioni di euro).

Un gol a porta vuota. Salvo portarsi dentro il segreto machbetiano fino a un quantitativo di alcol sufficiente a giustificare la confessione: «Dovevo farlo Tappy, capisci non è vero? Dovevo farlo. Sai dannatamente bene ciò di cui parlo. Dovevo farlo, Jimi mi sarebbe stato più redditizio da vivo che da morto. Quel figlio di puttana voleva mollarmi. Se lo avessi perso avrei perso tutto».

La versione ufficiale della storia è rimasta finora sigillata tra le pareti omertose del Samarkand hotel, dove Hendrix viveva all’epoca con Monika Dannemann, una giovane donna conosciuta pochi giorni prima. Una sequenza da mattinale della questura: gli infermieri dell’ambulanza che trovano il corpo del chitarrista riverso sul letto al centro della stanza deserta, il gas acceso, la porta spalancata, nessuna traccia di chi ha chiamato il 999. Lo sfogo di Jeffrey con l’ignaro Wright svelerebbe, se provato, l’anello mancante: «Ero a Londra la notte della sua morte, Tappy. Con alcuni vecchi amici andammo a gironzolare intorno alla camera di Monika. Presi una manciata di pillole, le ficcai in bocca a Jimi e gli versai in gola diverse bottiglie di vino». Hendrix muore alcune ore dopo all’ospedale lasciando al mondo della musica la meteora dei suoi 27 anni e un’ultima chicca, l’album non ancora completato First Rays Of The New Rising Sun.

L’epilogo della storia o l’ennesima puntata d’una leggenda eterna quanto la Jimi Hendrix Experience? Nel ‘92 John Bannister, il chirurgo che aveva seguito Hendrix al pronto soccorso, scrisse in un articolo d’essere convinto che il chitarrista fosse «annegato» nel vino nonostante la scarsa percentuale di alcol trovata nel sangue: «Ricordo nitidamente la quantità di vino che c’era nel suo stomaco e nei polmoni. Pensai che avesse preso sedativi e bevuto moltissimo prima di andare a dormire. Sospetto che si sia strozzato con l’alcol, a casa o lungo la strada per l’ospedale». Inutile sperare che Jeffrey aggiunga nuovi dettagli o smentisca quelli rivelati da «Tappy»: è morto un incidente aereo nel ‘72, neppure il tempo di spendere interamente l’eredità del mito.

jimi

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

Puzza insopportabile

ISSO, ESSA E ‘A MALAVITA
di ROSITA PRAGA [ 29/05/2009]

A Napoli gli investigatori della Direzione Antimafia stanno indagando sui possibili collegamenti fra Elio Benedetto Letizia, il padre dell’ormai celebre Noemi, e il ceppo che a Casal di Principe ha visto per anni egemone il clan capitanato da Armando, Giovanni e Franco Letizia, gruppo di fuoco del boss Giuseppe Setola, area Bidognetti. Tutti alleati degli Scissionisti di Secondigliano. Qui, nell’attesa di sviluppi giudiziari, proviamo a mettere in fila alcune impressionanti coincidenze, con le tessere di un puzzle che vanno al loro posto una dopo l’altra. Ed un Paese che, se le ipotesi investigative fossero confermate, si troverebbe a dover raccogliere la sfida finale.

Potrebbe suonare solo come un’omonimia, un cognome strano, uguale al nome di una donna. E che ricorre. Poi il cerchio delle coincidenze comincia a stringersi. E prende corpo l’ipotesi che Benedetto Letizia detto Elio, padre dell’aspirante starlette Noemi, lungi dall’essere mai stato autista di Craxi o militante di Forza Italia o qualsiasi altra boutade messa in circolazione, sia originario dello stesso ceppo di Casal di Principe dal quale provengono Franco e Giovanni Letizia, gruppo di fuoco del boss Giuseppe Setola. Lo stesso commando capace di sparare in fronte ed ammazzare sei extracomunitari in un colpo solo per avvertire gli altri che, se si intende trafficare droga in zona, bisogna sottostare alle “regole”. E pagare.

Ma chi e’ veramente Benedetto-Elio Letizia? Da Castelvolturno all’Agro Aversano fino a Secondigliano, molti lo sanno fin dall’inizio di questa storia. Ma non parlano. Tacciono di fronte ai tanti cronisti venuti da ogni parte del mondo. Pero’ a Enrico Fierro, inviato dell’Unita’, qualcuno ha detto: lascia stare, su questa storia meglio non metterci le mani. Bolle, scotta. Il cinquantenne Benedetto Letizia, noto finora al Comune di Napoli (dove e’ in servizio) piu’ che altro per un vecchio inciampo giudiziario – fu arrestato nel ’93 nell’ambito di un’inchiesta sulle compravendite di licenze commerciali – per tutti e’ un uomo tranquillo. E anche la gazzarra di visure camerali e catastali messa su dai giornali, non ha potuto scoprire altro che modesti immobili intestati a Noemi e un paio di societa’ dedite al commercio di profumi. Solo una bufala, allora, la storia della parentela? “Non dimentichiamo – dice un attento osservatore di queste dinamiche – che molto spesso i clan si servono proprio di personaggi “puliti”, o quasi, per tenere i contatti con esponenti delle istituzioni”.

A gettare benzina sul fuoco, realizzando la classica “excusatio non petita”, sono poche settimane fa alcuni giornalisti del casertano. Ventiquattr’ore di fuoco, quel 19 maggio. Dopo la cattura in Spagna del boss Raffaele Amato, a Secondigliano un blitz porta in manette quasi cento persone ritenute affiliate agli Scissionisti. In nottata arriva l’arresto a San Cipriano d’Aversa del boss Franco Letizia, uno fra i cento latitanti piu’ ricercati d’Italia. E siamo proprio negli stessi giorni in cui, fra gossip e cronaca, i giornali, le tv e il web sono letteralmente invasi da quel nome: Letizia. Alle 12 e 18 in punto nelle redazioni arriva un lancio Ansa. E’ firmato dalla giovane corrispondente casertana Rosanna Pugliese: nessuna parentela – si legge – tra l’arrestato Franco Letizia ed il papa’ di Noemi, lo affermano “gli inquirenti che operano nel casertano”. Che bisogno c’era di quella perentoria smentita, a fronte di una notizia mai data? E soprattutto, perche’ rifarsi ad un termine generico come “gli inquirenti”, senza precisare se si tratta della squadra mobile, della Procura (di Napoli o di Caserta?) oppure di altre forze dell’ordine? Un sito locale, Caserta Sette, non perde l’occasione per rilanciare la non-notizia. E con tono stizzito se la prende con chiunque osi pensare che esista quella parentela.

Mentre scriviamo, alla Voce risulta invece che sono in corso indagini top secret alla Procura di Napoli proprio per accertare il possibile collegamento fra i Letizia di Secondigliano (Benedetto detto Elio, ma anche altri suoi stretti congiunti) e il clan Letizia affiliato ai Casalesi. Un legame che, se fosse accertato, nella “vicenda Papi”, spiegherebbe tutto. O quasi. Qualcuno, in Campania ed oltre, sa bene da tempo cosa significa pronunciare alcuni grossi nomi. E perche’, se telefona uno con quel nome, se si spinge fino a chiedere a un leader politico di mostrarsi alla nazione intera, intervenendo ad una festa di paese, lui potrebbe essere costretto ad acconsentire. Ma in ossequio alla ragion di stato sarebbe obbligato a far credere – perfino alla moglie e ai figli – che si tratti d’una storia di corna e minorenni, piuttosto che rivelare al Paese e al mondo la verita’.

Scrive Fierro sull’Unita’ del 22 maggio: “La camorra, soggetto da maneggiare con cura in questa storia. Anche se i tanti set di questo reality non aiutano a tenerla a debita distanza. Secondigliano (il quartiere monstre dove i Letizia hanno alcune loro attivita’); Portici, la citta’-quartiere dove vivono Noemi e sua madre, e Casoria, il paesone della festa. In ognuno di questi luoghi i clan hanno un controllo ferreo del territorio. Sanno tutto. Di tutti”. In attesa delle conclusioni alle quali giungeranno i pm della Dda, noi qui proviamo a mettere insieme le tessere del puzzle. Che cominciano a combaciare in maniera impressionante. Se risultasse provato il collegamento fra i Letizia, sarebbe allora piu’ realistico immaginare quale sia stato il vero motivo di quell’appuntamento cui il premier, suo malgrado, non poteva mancare, pur avendo cercato con ogni mezzo fin dalla mattina – e poi nelle frenetiche telefonate fatte in quei misteriosi 50 minuti di sosta dentro l’aereo, a Capodichino – di sottrarsi. Alla fine va. E resta per quasi un’ora a colloquio “riservato” – dice chi c’era – con Elio Benedetto Letizia, prima di darsi in pasto ai fotografi.

. IL POTERE DI GOMORRA

Troppo forte, il potere d’intimidazione di quella holding multinazionale che, come ci ha raccontato Gomorra, comunica i suoi messaggi attraverso i simboli. L’uomo accusato di essersi portato via la donna di un boss, per esempio, viene crivellato non alla testa o al cuore, ma “mmiez ‘e palle”; quello che ha tradito gli accordi, facendo catturare uno del clan, dovra’ essere “incaprettato”, legato come un capretto sul banco della macelleria, e fatto ritrovare nella posa piu’ grottesca e mostruosa che si possa immaginare per un essere umano. Cosi’ anche la presenza fisica di una personalita’, in certi luoghi ed occasioni, vale piu’ di cento rassicurazioni verbali. Magari arriva a suggello di un condizionamento che durava gia’ da mesi. E del quale la bella – e quasi certamente ignara – Noemi non era che un altro “segnale”. La sua presenza al fianco del primo ministro (come nell’ormai famoso ricevimento di fine anno a Villa Madama) serviva per affermare all’esterno che il rapporto con gli uomini del napoletano e del casertano stava andando avanti.

Del resto, lo strapotere finanziario raggiunto dalle imprese dei clan camorristici – anche attraverso la presenza di loro vertici nelle logge massoniche coperte – praticamente non ha uguali. Lo ha spiegato poche settimane fa Roberto Saviano agli studenti della Normale di Pisa nel corso di una lezione: nessuna, fra le altre mafie del mondo (russa, cinese o slava che sia) e’ autonoma rispetto alle cosche italiane. Tutte hanno come modello di partenza Cosa Nostra, ‘Ndrine e Camorra. Ma i gruppi esteri non si sono mai del tutto affrancati: sullo scacchiere internazionale, nei paradisi fiscali, per muovere da un capo all’altro dei contimenti denaro, armi, stupefacenti, organi ed esseri umani, devono sempre e ancora in qualche modo “dare conto” ai clan italiani.

Dal punto di vista dell’economia criminale, poi, che interi pezzi dell’Italia siano ormai ricattabili da parte dei clan camorristici, non e’ una novita’. Una holding multinazionale, ma pur sempre malavitosa; forze strutturate e uomini che, pur trovandosi ormai a gestire le leve del potere finanziario (il giro di affari delle mafie, secondo uno studio recente di Confesercenti, e’ pari a 125 miliardi di dollari l’anno, circa il 7% del Pil nazionale), non rinunciano ai vecchi e collaudati metodi per affermare il loro potere. Un commando di fuoco pronto a sequestrare, a sparare in faccia, tenere in ostaggio magari i figli di un alto esponente politico. Ed e’ cosi’ che possono maturare, per i posti chiave di governo – ad esempio la presidenza di una strategica Provincia o un sottosegretariato – le nomine di personaggi ritenuti gia’ nelle lore stesse zone di origine impresentabili, per i legami con la camorra dei loro uomini piu’ stretti.

MARONI ALLA CARICA

Come s’inscrive, nello scenario che stiamo ipotizzando, l’autentica impennata nella lotta ai clan camorristici impressa nelle ultime settimane da Roberto Maroni, ministro degli Interni, e da Antonio Manganelli, capo della Polizia? “Berlusconi – dice un esperto di intelligence che preferisce restare anonimo – probabilmente sara’ presto lasciato al suo destino. Lo dimostra il livello di fibrillazione da cui e’ stato colto dopo l’episodio di Casoria, gli errori a raffica, le dichiarazioni avventate. A reggere saldamente il timone dello Stato che non si arrende e’ ora il Viminale, da cui non a caso negli ultimi mesi e’ partito un pressing senza precedenti nel contrasto ai Casalesi e ai loro alleati, gli Scissionisti di Secondigliano. Operazioni che hanno liquidato quasi interamente il clan Letizia”.

L’escalation nella lotta alla malavita organizzata del casertano ha inizio esattamente dopo la strage di Castelvolturno, il 19 settembre dello scorso anno, quando sei nordafricani residenti nella vasta area a rischio della Domiziana, sul litorale di Caserta, vengono massacrati in un raid di camorra teso – si capira’ in seguito – a riaffermare il predominio sulla zona del boss dei Casalesi Giuseppe Setola, al cui clan sono affiliati i Letizia. Appena dieci giorni dopo, il 30 settembre, i Carabinieri del comando di Caserta arrestano gli artefici dell’eccidio. Sono Alessandro Cirillo, Oreste Spagnuolo ed il ventottenne Giovanni Letizia, gia’ ricercato per un altro omicidio collegato alla connection politica-rifiuti: quello dell’imprenditore Michele Orsi. I militari li sorprendono in due villini di villeggiatura a Quarto, sempre in zona domizia. “Secondo il pentito Oreste Spagnuolo – scrivera’ Roberto Saviano – Giovanni Letizia quando uccise Michele Orsi indossava una parrucca e ai piedi aveva un paio di Hogan di tela. Poi gli venne fame e andarono a mangiare con Letizia che aveva ancora le scarpe sporche di sangue ma preferiva pulirle con la spugnetta anziche’ buttarle. Quando il suo capo chiese perche’ perdesse tempo a lavarle rischiando di essere beccato, Giovanni Letizia gli rispose che Orsi non valeva le sue scarpe”. 14 gennaio 2009. In un edificio diroccato di Trentula Ducenta, al confine con il Lazio, finisce la latitanza del boss Giuseppe Setola. Con lui viene fermata la moglie, Stefania Martinelli. Fra il 9 e l’11 marzo la Dda partenopea mette a segno un altro colpo mortale per i Casalesi con l’arresto di altri uomini legati a Franco Letizia, cugino di Giovanni, considerato il reggente del clan. Fra loro anche il trentatreenne Vincenzo Letizia detto ‘o schizzato. 3 aprile 2009. La Mobile di Caserta arresta Armando Letizia, 56 anni. Considerato elemento di spicco del clan, Armando e’ zio di Giovanni Letizia e padre del latitante Franco. Il cerchio si stringe intorno a quest’ultimo, che sara’ tratto in manette il 19 maggio. Ma quella domenica 26 aprile, il giorno dell’arrivo di Berlusconi a Casoria per il compleanno di Noemi, un’altra e piu’ rilevante cattura forse e’ gia’ nell’aria. All’alba del 29 aprile la Direzione Investigativa Antimafia di Napoli sorprende Michele Bidognetti, fratello del boss Francesco Bidognetti (detenuto al 41 bis eppure ancora in grado – secondo gli inquirenti – di impartire ordini), ma soprattutto parente del collaboratore di giustizia Domenico Bidognetti.

Un gruppo criminale strettamente collegato a quello dei Setola e, quindi, ai Letizia. “Una storia – fanno notare in ambienti giudiziari del casertano – che puzza lontano un miglio di rifiuti. Non va dimenticato che per i Bidognetti questa e’ stata sempre una fra le piu’ lucrose attivita’. E che molte operazioni messe a segno recentemente dalle forze dell’ordine nascono dalle rivelazioni su quel maleodorante business rese da una gola profonda del settore come Gaetano Vassallo”. Senza contare, su tutto, la presenza degli imprenditori-camorristi del settore rifiuti Michele e Sergio Orsi: il primo ucciso proprio per mano del clan Letizia quando era in procinto di collaborare con la magistratura. Il secondo, arrestato nell’ambito di un’operazione anticamorra di febbraio scorso, era invece stato prosciolto nel 2007 da analoghe accuse. Al suo fianco, come penalista, c’era l’avvocato Ferdinando Letizia dello studio Stellato di Santa Maria Capua Vetere. Casertano, 35 anni, Ferdinando Letizia e’ anche consigliere comunale a Castelvolturno e capogruppo della lista “Liberamente”, sul cui sito internet si esaltano le gesta del leader Silvio Berlusconi. Il colpo inferto ai trafficanti di rifiuti con l’apertura dell’inceneritore di Acerra, il timore di perdere gli appalti da milioni di euro che ruotano intorno all’affare munnezza, potrebbero insomma essere fattori non del tutto estranei al clima rovente delle ultime settimane.

IL MILAN? ALL’OLIMPIA

Ma torniamo ai segnali. A quegli avvenimenti forse solo in apparenza “curiosi” che avevano preceduto la famosa sera del 26 aprile. Quella domenica a giocare sul campo del San Paolo c’era stata l’Inter. Ma il 22 marzo a Napoli per una sfida di campionato era sbarcato il Milan. Che per la prima volta aveva abbandonato i consueti, sfavillanti hotel del lungomare partenopeo con vista sul golfo, per andare ad alloggiare in una delle piu’ desolate periferie dell’hinterland: Sant’Antimo, Hotel Olimpia. Terra di inceneritori, ecoballe e Cdr. Al confine col triangolo della morte Nola-Marigliano-Acerra. Comune, Sant’Antimo, due volte sciolto per infiltrazioni camorristiche. Area infestata da sversamenti illegali di materiali tossici. E non lontana da quell’agro aversano da cui trae le sue origini il gruppo Setola-Bidognetti-Letizia.

L’Hotel Olimpia rientra nell’impero economico della famiglia Cesaro, che in zona possiede anche l’unico presidio sanitario disponibile per uno fra i territori piu’ densamente popolati d’Italia, il Centro Igea, ed una serie di altre lucrose attivita’. Leader della famiglia e’ Luigi Cesaro, deputato Pdl, candidato in pole position per la presidenza della Provincia di Napoli. Sui suoi pregressi legami coi clan della zona si soffermava a lungo (come la Voce ha ricordato nel numero di maggio scorso) la relazione di fuoco redatta dai commissari prefettizi inviati a Sant’Antimo dopo lo scioglimento per camorra del 1991.

Ecco i passaggi chiave. “I collegamenti di taluni degli amministratori con la malavita organizzata – clan Puca e Verde – si estrinsecano attraverso rapporti di parentela e/o cointeressi in attivita’ economiche e patrimoniali”. “La cointeressenza in attivita’ economiche si coglie soffermandosi sugli accordi in materia di appalti fra i clan di Pasquale Puca ed il clan Verde, che operano rispettivamente attraverso le cooperative “La Paola” e “Raggio di Sole”, addivenendo in tal modo ad una spartizione dei settori dell’economia locale. Della Cooperativa “Raggio di Sole” e’ socio il consigliere comunale Antimo Cesaro unitamente ai fratelli Raffaele (legale rappresentante) e Luigi”. Ancora: “Lo stesso consigliere Aniello Cesaro risulta citato a comparire dalla Autorita’ Giudiziaria in ordine a molteplici attivita’ estorsive messe in atto da Pasquale Puca, capo dell’omonimo clan camorristico operante in Sant’Antimo e Casandrino; risulta avere in atto procedimenti per truffa, interesse privato in atti d’ufficio, omissione in atti d’ufficio e peculato”. Diciannove anni dopo, di Luigi Cesaro (e del suo “gemello” politico Nicola Cosentino, sottosegretario all’Economia), parla Gaetano Vassallo, come ricorda l’Espresso in un’inchiesta di settembre 2008. E qui tornano le coincidenze. Perche’ se le verbalizzazioni del pentito dovessero trovare conferma, a favorire l’attivita’ imprenditoriale dei Cesaro non sarebbe stato un clan qualsiasi. Ma il gruppo di Francesco Bidognetti, alias Cicciotto ‘e mezzanotte.

APTOPIX ITALY BERLUSCONI

b-dream4

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

ELIO e le storie… inventate

il padre della diciottenne racconta a Il Mattino come è nata l’amicizia
Il padre di Noemi: «Ecco come
ho conosciuto Silvio Berlusconi»
Don Sciortino (Famiglia Cristiana): «Non si può rappresentare il popolo col velinismo»

Noemi Letizia
santanoemi3

ROMA – Una stretta di mano al presidente del Milan, e una serie di contatti in occasioni pubbliche, fino alla lettera «accorata» del premier alla famiglia Letizia, che perse tragicamente un figlio di 19 anni, nel 2001: il padre di Noemi -la ragazza di 18 anni al centro dell’attenzione in questi giorni per la sua conoscenza con il presidente del consiglio-, Benedetto (detto Elio), racconta al quotidiano Il Mattino la storia del legame con Silvio Berlusconi: «A Roma, era il 1990, lui era presidente del Milan, ancora non era in politica. Lo vidi, mi avvicinai e gli strinsi la mano, nulla di più». La vera conoscenza ci fu a Napoli nel 2001: «Era maggio, in piazza del Plebiscito, c’era un comizio con Berlusconi e Fini». Letizia andò a cena all’Hotel Vesuvio, dove era ospite, appunto, il premier: «Sapevo che gli piacevano libri e cartoline antiche. La mia era e resta una famiglia di librai. Mi avvicinai e chiesi se potevo portargli in dono delle cartoline antiche. Mi disse di prendere contatti con la segreteria attraverso una guardia del corpo, e così feci».

LA MORTE DEL PICCOLO YURI – Nel luglio 2001, la famiglia Letizia fu colpita dalla morte di Yuri, 19 anni, in un incidente stradale: «Feci arrivare la notizia al presidente, e due giorni dopo mi viene recapitata una lettera accorata, toccante. Credo che sia nato quel giorno il mio rapporto con lui. Lo sentii vicino, sincero, partecipe. Poi seguì una telefonata. Fui colpito dalla sua straordinaria sensibilità». A Natale dello stesso anno, a Roma con la famiglia, Letizia presenta la moglie e la figlia a Berlusconi: «Fu la prima volta che vide Anna e Noemi. Proprio in quella occasione, per sdrammatizzare dopo aver ricordato la tragica fine di mio figlio, lui disse a Noemi, che aveva 10 anni: considerami come il tuo nonnino. Allora intervenni io e dissi: «Nonno mi sembra ingeneroso, meglio che lo chiami papi».

°°° Questo cumulo di minchiate, scritte sicuramente da ghedini e fede o rossella o’hara, non stanno né in cielo né in terra. Il bischero è separato dalla moglie da dieci anni e vive da tutt’altra parte. Nessuno, nemmeno i domestici o i gorilla di Mafiolo, può confermare nulla senza prendersi una bella pernacchia sul muso. Assolutamente inattendibile e delirante. Fosse vero (ma ci sono le dichiarazioni di Gino a smentire tutta questa balla in maniera clamorosa e PROVATA)… ipotizziamo che fosse vero questo delirio. Ma allora qualcuno ci deve mostrare un miliardo di altre cose analoghe: dove abitano le famiglie che burlesquoni aveva promesso di ospitare dopo il terremoto del 2002? In quali delle sue case vivono le famiglie terremotate dell’Aquila che lui ha giurato di ospitare “in qualcuna delle mie case”? Dove lavorano i ragazzi albanesi che lui spergiurò di “sistemare” quand’era all’opposizione e spandeva merda su Prodi, che invece risolse immediatamente e bene il problema delle “carrette del mare” provenienti con gli scafisti dall’Albania? Cioè, A CAZZARO! Qui siamo svegli e documentati, non ci puoi certo prendere per il culo tu, vecchio malato. Di queste domande ne abbiamo almeno mille. Poi ci spieghi come mai, scrivi a uno sconosciuto inesistente una lettera accorata e gli telefoni… e te ne fotti di milioni di altre persone più importanti e molto più bisognose. Ma vacccagare, silvio!

a_cazzaro7

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

Poveri suinetti…

Il virus sbarca in Oriente:
300 in quarantena in hotel

Influenza A, primi due casi in Oriente Hong Kong, 300 in quarantena

09:41 ESTERI
Misure eccezionali a Hong Kong: 200 ospiti e 100 dipendenti isolati per una settimana nell’albergo dove ha soggiornato un messicano positivo al test. Un caso anche in Corea del sud
Contagiata anche Tulisa, stella 20 enne dell’hip hop londinese

mas_big


°°° Vediamo per quanto ce la menano con questa porcata o maialata che dir si voglia. Vediamo alcuni effetti della contaminazione in una clinica americana e due politicanti nostrani della Lega e del Pdl:

il-contagio

sniffa

calderoli-porco

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

Bottino craxi: la storia vera

BETTINO CRAXI
Nasce che pesa ottanta chili: aveva creato delle riserve di cibo al di fuori della placenta, un canale segreto con l’esofago materno, e si era mangiato tutto .
Sua madre era stata l’unica donna al mondo a perdere trenta chili durante la gravidanza. L’unica ecografia esistente, conservata alla NASA, ci mostra Bettino al terzo mese con due mani già formate, grandi come la Montedison, mani senza fine. E il resto del corpo: un bozzolo. Due ore dopo la nascita, gli piovve addosso la prima denuncia: la levatrice si era resa conto che a “levare” era stato abile e veloce anche il neonato; quattro carabinieri dei Nocs gli aprirono faticosamente, e dopo aspra lotta, i pugnetti chiusi e ricuperarono la fede e l’anello di fidanzamento della levatrice medesima. Dopo la sua nascita, il corpo di sua madre si era afflosciato come un sacco vuoto; le erano persino rientrati i seni. Fu necessario comprargli un biberòn. Due biberòn… quindici biberoni maxi. Li ingoiava come niente e non risputava nemmeno la plastica: cacava palloncini. Suo padre, brava persona, decise di comprare un biberòn formato gigante e si recò a Disneyland, sicuro di trovarlo. Al suo ritorno, si ritrovò in mezzo a una strada, con l’immenso biberòn tra le braccia: Bettino aveva messo in vendita la casa con tutti gli arredi e si era trasferito all’Hotel Raphael di Roma, che prendeva chiunque.
Di intelligenza prontissima e precoce nel fisico, si iscrisse da solo al vicino collegio svizzero. A tre anni era già in quinta elementare. Aveva problemi solo con la matematica: gli avevano spiegato che 3 + 3 = 6 e lui l’aveva capito subito e si era montato la testa convinto di sapere tutto. A quel punto, la sua maestra, frau Gruber, decise di farlo impazzire e spiegò che non solo tre più tre faceva sei, ma anche quattro più due faceva sei; e addirittura cinque più uno faceva sei! Insomma, Bettino si convinse che TUTTO facesse sei… Perciò, più tardi, decise di lasciare ai vari Cusani, Larini, Giallombardo, Ruju & c. l’incombenza dei numeri e lui decise di fare i conti solo con Borrelli e Di Pietro. O meglio, non decise lui, ma questa è un’altra storia.
A otto anni diede un altro saggio della sua scaltrezza: entrato in un bar di via Veneto, ordinò un gelato mastodontico e prese la via della porta. Il padrone lo bloccò: ”Beh? Non lo paghi il gelato?” “E perché, lei l’ha pagato?” chiese l’impudente Bettino.“Certo che io l’ho pagato!” gridò il barista. “E allora? Mica lo dobbiamo pagare due volte.” concluse Bettino, lapalissiano, scappando via. Arrivò incolume ai vent’anni e conobbe una splendida ragazza romana di nome Sandra. Lei faceva l’attrice e altro con Fellini. Lui la corteggiò assiduamente e fu l’unico a farlo: agli altri uomini lei la mollava subito. Andarono a fare un pic nic a Villa Pamphili. Era una splendida giornata di sole e Sandra non aveva messo le mutandine: perché perdere tempo? Non aveva messo nemmeno il cestino giusto, nel portabagagli della Vespa. A mezzoggiorno, accaldati ed affamati, si appartarono all’ombra di una quercia e aprirono felici il cestino di vimini… dentro c’erano i lavori a maglia della madre di Sandra!

.

Lei fece una risatina sciocca e lui non sottilizzò, forse pensando a cucina tipica o a qualche usanza locale, cominciò a mangiare gomitoli di lana, filo di scozia, cotone: bistecca ai ferri o lavori all’uncinetto tutto fa brodo, purché se magni! (Lui proveniva dalla Sicilia e da Milano in parti uguali. Altra cultura…)
Già che c’era si mangiò anche il cestino, erano fibre. E perché no? anche gli uncinetti e i ferri da quattro. Aveva carenza di ferro. Spolverò anche le ghiande sparse tutt’intorno e andò ad abbeverarsi al laghetto. Sperando di risucchiare qualche anatra, qualche bel cigno grasso… Poi tornò all’ombra, si grattò l’immensa schiena contro il tronco della quercia e, dopo un poderoso rutto, si sdraiò e prese subito a ronfare. Sandra aprì le gambe sconsolata e si guardò la patatina, sola soletta, tutto ciò che la penetrava era il ponentino. Si videro ancora e andarono a Fontana di Trevi. Bettino vide che la gente buttava un sacco di soldi nella fontana e chiese il perché. “Perché la lira non vale un cazzo.” rispose un vecchietto. E ancora non avevano governato né Bottino né Silvio… Bettino aveva capito che il lavoro è fatica e perciò decise di entrare in politica. Diventò amico di una persona per bene, Sandro Pertini, e lo circuì a tal punto che il vecchio, presentando il giovane gigante prensile, diceva: “Bravo giovine, figlio di pochi sì, ma onesti genitori.” Pertini era ingenuo e già un pochino andato. Lo invitava spesso a pranzo: “Vieni a pranzo da me domani – gli diceva – ci sarà anche Bettino.” “Ma Bettino sono io!” rispondeva il massiccio. “Non fa nulla, – tagliava corto il vecchio partigiano – vieni lo stesso.” Bettino cominciò col portargli la borsa e finì col portargli via il partito. Intanto continuava il giochetto dei gelati a scrocco in tutti i bar della capitale e della provincia. Quantità industriali di gelato. I baristi non lo beccarono mai, ma il diabete sì. Pertini lo portò con sé a Caprera per una ricorrenza garibaldina. Nella piccola isola aleggiava un’atmosfera di anacronistico patriottismo. C’era anche la televisione e un cronista, già che c’era, porse il microfono anche a Bettino: “A cosa pensa, lei così giovane, quando vede la bandiera italiana che sventola?” gli chiese. E Bettino: “Penso che c’è un casino di vento.” rispose con evidente senso pratico. Scoprì però Garibaldi e si innamorò del personaggio e della sua storia, anche se ebbe a criticarlo per la sua ambizione modesta: “I mille?! I miliardi, muovono il mondo! Cazzo i mille!” Si giocò subito la simpatia di tutti i presenti in camicia rossa.
Si giocò anche l’amicizia del vecchio Pertini, perché aveva il vizio di dargli delle poderose manate sulle gracili spalle. Sembrava farlo apposta: ogni volta che nonno Sandro portava alla bocca con mani tremolanti la solita tazza di brodo caldo, arrivava Bettino e giù una tremenda manata sulle spalle: “Come va, vecchia quercia?” Pertini lo mandò affanculo. Bettino, senza protettore, ricercato da tutti i baristi, decise di tornare a Milano e si adattò a fare l’assessore comunale. In quel periodo conobbe un giovane cantante di piano bar, che aveva un piano a nolo per suonare e un piano personale per fare soldi senza lavorare. Bettino aveva per le mani un piano di programmazione edilizia del Comune: fecero un piano per unire i due rispettivi piani. Questo giovane pianista disse di chiamarsi Elizabeth Arden, poi disse di chiamarsi Charles Aznavour, poi Cocò Chanèl, poi Silvio. Disse anche di essere dottore, poi infermiere, poi Gesù , cavaliere, muratore… Iniziava tutte le frasi con: “Mi consenta… te lo giuro sulla testa dei miei figli… sinceramente… onestamente… quantevveriddìo.” Tutte le cose che premettono i bugiardi, insomma.

Però al piano era un grande solista. Appena cominciava, la gente se ne andava e lo lasciava solo. E lo licenziavano. Ha cambiato più locali allora che idee adesso. Bettino, più monotono, ripeteva sempre la stessa solfa: “E a me quanto me ne viene?” Divennero amici per solitudine. Entrambi erano molto soli. E sòla (come dicono a Roma). Silvio pensò di sposarsi, matrimonio d’amore: per i soldi. Lui aveva preparato le carte per il matrimonio e sua moglie ci aveva messo le carte di credito. Anche Bettino si era sposato, contro una certa Anna. I due amici, ormai lanciati nel mondo degli affari, decisero di andare ad incontrare dei probabili soci a Bruxelles. Segno di riconoscimento: fedina penale da otto chili, accento palermitano marcato, coppola, e lettera di presentazione di Dell’Utri. Presero la macchina del suocero di Silvio e partirono da Milano alle due. Alle sette erano fermi a Strasburgo e litigavano:
“La benzina c’era! – giurava Silvio – Il serbatoio era pieno quando siamo partiti. Ha fatto il pieno mia moglie!”- E fu l’unica verità di tutta la sua vita.
“Tira fuori la benzina o ti spacco i sopratacchi! “ sbraitava Bettino. Un vecchio benzinaio emigrato spiegò pazientemente ai due che la benzina, come tutte le cose, finisce. Bettino ebbe un’illuminazione: “Quando diventerò ministro o presidente del consiglio aumenterò la benzina, così non finisce.” Mantenne, ahinoi, la minaccia. Giunti miracolosamente a Bruxelles si incontrarono coi futuri soci in un bar gestito da italiani. I gestori erano di Afragòla e tutti i clienti avevano strascicati accenti del mezzoggiorno d’Italia. Persino le etichette sulle bottiglie esposte erano adeguate all’ambiente: Gambàri, Ginzàno, Mardini, Scivàs… I nostri si sedettero intorno ad un tavolo, il tavolo era a forma di torta e la torta era a forma di penisola.
Quello che sembrava essere il capo, nonostante l’età avanzata, non aveva un capello bianco: era calvo. Silvio e Bettino decisero in seguito di imitarlo: si acquisisce l’aria da vero capo e non si spende un cazzo in shampo! L’accordo venne fatto e i due amici tornarono indietro. “Chi trova un amico trova un tesoro” recitava il vecchio detto. “Chi trova un tesoro, trova un casino di amici e amici degli amici.” aveva detto il vecchio siciliano. Appena superata la frontiera italiana, si fermarono a mangiare in un grill: la nostra cucina era certamente migliore. Ordinarono pollo e patatine: il pollo era una merda e veniva dal Belgio, le patate dalla Germania, l’olio per la frittura da un autoricambi. Bettino tentò il solito giochetto per non pagare: “Settantamila lire per due porzioni di pollo?! Ma chi è quel deficiente che ha fatto fuori un animale così prezioso?” il gestore li inquadrò subito e li lasciò andare. Abbassavano la media del locale. Alle porte di Milano l’auto li mollò di nuovo. Proseguirono a piedi, ma cominciò a diluviare. Cercarono riparo dentro un negozio di ombrelli, guardando per aria e fischiettando vaghi, fingendo di ignorare il proprietario che li puntava. Tipico. Gianni e Pinotto gli facevano una pippa! Tornarono alle rispettive occupazioni: Silvio ad accapparrarsi terreni agricoli e Bettino a cambiare, quasi legalmente, la destinazione d’uso.
Qualche anno dopo, Bettino venne invitato a Roma al congresso del Midas. Lo disse subito a Silvio che, da giovanotto magro coi capelli grassi, si stava trasformando in un grasso signore… uomo, via! senza capelli. Silvio, dall’alto della sua cultura, spronò l’amico: “Al Midas?! Il famoso re! Vai, vai, così impari i trucchi e tutto quello che tocchi diventa oro! “ E così fu. Al congresso del Midas, che era un albergo, il grosso Bettino divenne segretario del PSI.
Imparò i trucchi e cominciò a toccare tutto. Toccò anche un’aspirante attricetta, una certa Anja. Lui diceva di essere innamorato e, siccome l’amore è cieco, si aiutava tastando. Lei era molto bella. ”Sei una visione! La mia visione.” le diceva. E tastava. Visione, visone, anelli, pièd à terre…
Tocca oggi, tocca domani, ad Anja toccò pure GBR. “Sei la mia televisione!” esclamò lei. E lui toccava e foraggiava. E la gente chiacchierava. E ogni volta che lui tornava a Milano dalla moglie, Anna gli correva incontro gli buttava le braccia al collo. E cercava di strozzarlo. Intanto ebbero tre figli: Bobo, Bubu e Yoghy. Ma lui, invidioso di Silvio che millantava scopate a destra e a manca, cercò di scoparsi Manca, almeno quello, promettendogli la Presidenza della Rai. “C’è un bel cavallo all’ingresso“ gli diceva. Manca capì un cazzo e si iscrisse all’ippodromo di Tor di Valle, per prepararsi al compito. E’ ancora lì che cavalca. Bettino, ormai grasso e pelato come un vero capo, diventò Presidente del Consiglio. Cercò anche di scoparsi qualche nana o ballerina del suo éntourage… niente da fare. Il suo piccolo pisello si dissociava. Come tutti i suoi servitori anche lui era sempre a capo chino e piegato in due. Quindi non si ciulava. Ripiegò sul suo ruolo di statista. Promulgò leggi avveniristiche: aumentò per decreto le tariffe alberghiere invernali nelle località marittime, d’inverno le notti sono più lunghe, quindi…
Comprò casa a S.Moritz e decretò che avrebbe dovuto nevicare nel mese delle sue ferie;
aumentò, naturalmente: benzina, sigarette, pane, pasta, bolli, tasse, etc. Conobbe un avanzo di balera, grasso e unto: un certo Gianni de Michelis e, siccome questo parlava veneziano e non si capiva un cazzo di quello che diceva, lo nominò ministro degli esteri. Così, tra stranieri si sarebbero capiti.
Studiarono insieme un piano di aiuti al terzo mondo. Gianni prendeva malloppi di miliardi e correva in Africa, si inchiappettava qualche negretto: per venire incontro ai suoi bisogni, poi da lì volava in Svizzera e depositava i soldi in conti cifrati. A nome suo e di Bettino. Stanco ma felice, correva a fiondarsi in qualche discoteca alla moda. Con tutte le stragi del sabato sera, lui non ci rimase mai. Alla gente sarebbe andato bene che si fosse schiantato contro qualche platano anche di venerdì… Ma lui non diede questa soddisfazione. Un giorno, Bettino, tornando in incognito da casa di Anja a bordo della sua auto, sbagliò quattro volte uscita sul raccordo anulare. Dopo sei ore di giri a vuoto, chiese informazioni ad una famigliola, coniugi e tre figli, che faceva colazione sul prato di un’aria di sosta: “Scusino, per andare in via del Corso?” Si avvicinò il capofamiglia, alto, allampanato e con l’aria intelligente; l’uomo si chinò verso il finestrino e si mise a piagnucolare: ”Ci aiuti, signore. Ci siamo persi. Siamo qui dal viaggio di nozze…” Bettino si commosse e prese a lavorare con sè quel fulmine di guerra: si chiamava Ugo Intini. Intini non andava d’accordo con Signorile, un vice di Bettino. Un giorno vennero alle mani. Ugo mise le mani intorno alla gola di Signorile e giù schiaffi e pugni! Di Signorile, naturalmente, che aveva le mani libere. Bettino fu costretto ad accompagnare il malridotto Intini al Pronto Soccorso. Andò a parlare personalmente col medico.
Il dottore era comunista e, riconosciutolo, gli sparò:

.

“Se ci sono punti da applicare, un milione con anestesia e mezzo milione senza.”
“Prendo la seconda offerta – fece Bettino – mica è per me!”
Divenne amico di numerosi stilisti: Trussardi, Versàce (ma lui lo chiamava familiarmente Vèrsace)… Il primo gli regalò un manichino parlante, che lui battezzò Claudio e ne fece il suo vice. Doveva avere un qualche difetto di fabbricazione, però, perché fumava molto e aveva sempre le pupille sgranate. Lo mandò da un famoso tecnico a Malindi, ma Claudio fumò pure laggiù. Lo stilista preferito di Claudio era Volta-Gabbana. Per il dispiacere, Bettino prese ad ingrassare troppo. Un amico gli consigliò la dieta del fantino e lui cominciò a mangiare cavalli. Parlava alla tv ed aveva molto appeal. Prendeva molto. Nemmeno De Lorenzo e Pomicino insieme prendevano quanto lui. Inventò anche un modo di parlare con molte pause, che servivano per inserire gli stacchi pubblicitari. E tutto ciò che toccava diventava oro.
I suoi domestici pulivano i vetri con foulards di Yves S. Laurent e li gettavano dopo l’uso. Rivedeva spesso Sandra e se la portava nel suo appartamento. Lei gli raccontava di tutti quelli che l’avevano scopata nel frattempo e lui si addormentava felice. Intanto Silvio, grazie agli amici, stava ampliando l’impero televisivo e non solo: quando e dove c’era possibilità di una legge favorevole a qualche business, Bettino lo avvertiva e lui ci si ficcava. La società andava a gonfie vele. Ormai era un’ onorata società, con succursali in tutto il mondo. Bettino era ricco e famoso. Potentissimo. Tranne che dal lato virile: nonostante si dicesse che avesse tre coglioni, come l’antico Bartolomeo Colleoni. In realtà, era pieno di coglioni, soprattutto nel suo éntourage. E nella direzione nazionale del partito. Ogni riunione veniva preceduta da una coloratissima e chiassosa parata, con gente sui trampoli, fanfàra, ragazze pon pon e ragazze pom pin. Una marea di mariuoli. Gli combinarono tanti e tali di quei casini che, alla fine, lui per non vedere le porcherie che combinavano i suoi decise di andarsene in esilio. Come l’Eroe dei due mondi. Erano molto simili: Garibaldi aveva fatto i mille, Bettino i mille miliardi. Garibaldi aveva creato l’unità, Bettino aveva distrutto l’Avanti. Garibaldi aveva accanto a sé Anita, l’eroina, Bettino aveva Anja, e tutt’intorno la cocaina, il marocchino, e tanta buona erba. Garibaldi aveva detto OBBEDISCO! Bettino diceva OBBEDITE! Garibaldi era amico di Mazzini, Bettino era amico di Boldi. Garibaldi era andato a Marsala, lui andava a Chivas e Champagne. Troppe analogie. Non aveva nulla a che spartire coi suoi! Infatti si prese tutto lui e se ne andò per la tangente. Ad Hammamet.

( Plico arrivato in busta anonima da casa Forlani. N.d.A.)

craxi

bottino

banda_bassotti

via_craxi

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

La frittata di mafiolo che scappa

Il G8 a l’Aquila, quel che il premier non ha detto Già buttati 320 milioni. «La Sardegna è ferita»

La main conference dove i grandi del pianeta avrebbero dovuto confrontarsi è già pronta. Così come l’hotel che aspettava Obama, unico dei capi di Stato che per motivi di sicurezza avrebbe soggiornato sull’isola (per gli altri c’era una lussuosa nave). Entrambe queste strutture sono dentro l’ex arsenale militare. Per bonificarlo sono serviti 30 milioni di euro, per riconvertirlo all’uso civile altri 140. L’utilità di queste opere è stata cancellata dalla decisione del premier di abbandonare la Maddalena. Quei soldi sono stati destinati all’arcipelago dall’Unione europea, come intervento nelle cosiddette aree svantaggiate (fondi Fas). Se non ci fosse stata l’urgenza del G8, questi soldi sarebbero tornati utili per modernizzare la logistica portuale. Quando Berlusconi parla di “risparmio” nel cambio di sede, non conteggia questo spreco.

L’umiliazione
L’arcipelago è stato umiliato, anche se gran parte dei 320 milioni dei fondi Fas sono stati investiti in infrastrutture durature. Prodi e l’allora governatore Renato Soru avevano scelto la Maddalena per ospitare il G8 e conclamare così la rinascita di questa terra incantata, per 35 anni soggiogata dalla presenza dei militari americani nella base di Santo Stefano. Incassata la vittoria elettorale con l’amico Ugo Cappellacci, adesso Berlusconi fa il padrone, toglie la vetrina, i soldi, il lavoro. «Tutta la Sardegna è ferita», contesta Angelo Comiti, sindaco dell’arcipelago, che nei giorni scorsi aveva pure ricevuto le delegazioni dei paesi attesi per il vertice, dall’India alla Cina e anche l’Egitto. Eppure, quando ieri sera ha incrociato Cappellacci, cercando di scuoterlo, ma ha trovato solo accondiscendenza verso la volontà del premier: «Perdiamo questa prestigiosa vetrina, e con essa centinaia di posti di lavoro stagionali. Ma che governatore è uno che non si fa sentire davanti a una vicenda simile?». Risposta: non è un governatore, ma il figlio del commercialista del premier. Il sindaco cerca regole in una vicenda che le ha calpestate: «Vorrei che la Corte dei conti si esprimesse. L’Europa ci ha dato dei soldi destinati a determinati scopi, vincolati a impegni precisi, come si legge sulle ordinanze firmate dallo stesso Berlusconi. Adesso quelle spese sono diventate fasulle: chi ne rende conto?».

Cosa è successo
Per capire quanto accaduto bisogna mettere in fila alcune cose. Anzitutto la ritrosia del presidente del consiglio sul vertice in Sardegna, sito scelto dal precedente governo nazionale e regionale. Voleva il G8 a Napoli, per celebrare la città liberata dalla monnezza. Bertolaso lo sconsigliò, e la conquista dell’Isola lo convinse a sostenere la Maddalena e a fare di persona i sopralluoghi. Questa titubanza ha intralciato i lavori, tanto che vi erano dubbi sulla puntualità delle consegne. Ostacolata anche dalla megalomania di Berlusconi, che aveva dilatato l’appuntamento: non più un G8, ma un G42, tanti sono infatti i Paesi esteri invitati, con ben 24 capi di Stato e 18 delegazioni. Manovrare l’afflusso sull’arcipelago sarebbe stato complicato, ma i sardi non si erano persi d’animo. Così, quando il terremoto dell’Aquila ha offerto una grande occasione mediatica per nascondere i problemi organizzativi da lui stesso creati, e ne ha approfittato. Apparecchiando la notizia: Berlusconi cita lo sventato pericolo dei Black Block, e guarda caso proprio martedì la presenza di esponenti dell’antagonismo anarchico è stata segnalata a Olbia e dintorni dalle forze di polizia. La ha scritto il quotidiano L’Unione Sarda, giornale di Zuncheddu, amico del premier, grande sostenitore di Cappellacci nella corsa contro Soru. Di questi frontisti, in realtà, nessuno sa nulla. Di vero c’è che “Sa Mesa a Fora Su G8”, che raccoglie i movimenti indipendentista ed anticolonialista sardo, pensava ad un controvertice “dei Popoli oppressi”. Caspita, che minaccia.

°°° Dunque, amici, come sempre accade: mafiolo e i suoi – nella fattispecie Bertolaso – sparano un mare di minchiate PRONTAMENTE smentite dalla realtà. Il cazzaro ha messo in piedi un ambaradan che poi NON ha saputo gestire… come la Standa, ricordate? Quella la svendette per pochi soldi, qui invece – non potendo svendere una cosa non sua – è scappato all’Aquila. Ma, dopo il morto e i casini che lui e i suoi avevano provocato a Genova, credo che anche in Abruzzo si vedranno dei bei casini.

carlo

genova

genova1

madd1

madda

nad

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

Da Letterman

Un palazzo di Saddam Hussein a Baghdad diventerà un hotel di lusso. La camera da letto di Saddam sarà una suite per gli sposi in luna di miele.
Adesso apriranno una catena di alberghi di Saddam Hussein in tutto il mondo. E tutti gli incassi di questi hotel andranno alla nipote sexy e viziata di Saddam, Paris Hussein.

La notizia della caduta da cavallo di Madonna ha sorpreso tutti perché di solito è brava ad aggrapparsi agli stalloni irrequieti.

(La seconda l’avevo fatta anch’io due giorni fa, quindi gli scrocco la prima.)

letterman

masonna

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter