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Le riflessioni di Lucio Salis

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Archivi tag: epilogo

Ne ho parlato ieri a pranzo…

Pubblicato il 14 Giugno 2009 da Lucio

IL CAVALIERE E IL SUO FANTASMA

di EZIO MAURO

Dunque siamo giunti al punto in cui il Presidente del Consiglio denuncia pubblicamente un vero e proprio progetto eversivo per farlo cadere e sostituirlo con “un non eletto dal popolo”. Un golpe, insomma, nel cuore dell’Europa democratica, come epilogo dell’avventura berlusconiana, dopo un quindicennio di tensioni continue introdotte a forza nel discorso pubblico italiano: per tenere questo sventurato Paese nella temperatura emotiva più adatta al populismo che può dominare le istituzioni solo sfidandole, fino a evocare il martirio politico.

È proprio questa l’immagine drammatica dell’Italia che l’uomo più ricco e più potente del Paese porta oggi con sé in America, all’incontro con Obama.

Solo Berlusconi sa perché dice queste cose, perché solo lui conosce la verità, che non può rivelare in pubblico, della sciagura che lo incalza. Noi osserviamo il dramma di un leader prigioniero di un clima di sconfitta anche quando vince perché da quindici anni non riesce a trasformarsi in uomo di Stato nemmeno dopo aver conquistato per tre volte il favore del Paese.
Quest’uomo ha con sé il consenso, i voti, i numeri, i fedeli. Ma non ha pace, la sicurezza della leadership, la tranquillità che trasforma il potere in responsabilità. Lo insegue l’altra metà di se stesso, da cui tenta di fuggire, sentendosi ghermito dal fondo oscuro della sua stessa storia. E’ una tragedia del potere teatrale e eccessiva, perché tutto è titanico in una vicenda in cui i destini personali vengono portati a coincidere col destino dell’Italia. Una tragedia di cui Berlusconi, come se lo leggesse in Shakespeare, sembra conoscere l’esito, sino al punto da evocare la sua fine davanti al Paese.

In realtà, come è evidente ad ogni italiano di buon senso, non c’è e non ci sarà nessun golpe. C’è invece un rapido disfacimento di una leadership che non ha saputo diventare cultura politica ma si è chiusa nella contemplazione del suo dominio, credendo di sostituire lo Stato con un uomo, il governo con il comando, la politica con il potere assoluto e carismatico.

Oggi quel potere sente il limite della sua autosufficienza. Ciò che angoscia Berlusconi è il nuovo scetticismo istituzionale che avverte intorno a sé, il distacco internazionale, il disorientamento delle élite europee, le critiche della stampa occidentale, la freddezza delle cancellerie (esclusi Putin e Gheddafi), lo sbigottimento del suo stesso campo: dove la regolarità istituzionale di Fini risalta ogni giorno di più per contrasto.

Il Cavaliere sente di aver perso il tocco, che aveva quando trasformava ogni atto in evento, mentre lo spettacolo tragicomico dei tre giorni italo-libici dimostra al contrario che le leggi della politica non sono quelle di uno show sgangherato.

Soprattutto, Berlusconi capisce che la fiaba interrotta di un’avventura sempre vittoriosa e incontaminata si è spezzata, semplicemente perché gli italiani improvvisamente lo vedono invece di guardarlo soltanto, lo giudicano e non lo ascoltano solamente. E’ in atto un disvelamento. Questa è la crepa che il voto ha aperto dentro la sua vittoria, e che è abitata oggi da queste precise inquietudini.

Il Cavaliere ha infatti ragione quando indica i quattro pilastri che perimetrano il campo della sua recente disgrazia: le veline, le minorenni, lo scandalo Mills e gli aerei di Stato. Giuseppe D’Avanzo, che su questi temi indaga da tempo con risultati che Berlusconi conosce benissimo, spiega oggi perché siano tutt’altro che calunnie come dice il premier. Sono quattro casi che il Cavaliere si è costruito con le sue mani, che lo perseguitano perché non può spiegarli, che lui evoca ormai quotidianamente mentre tenta di fuggirli, e che formano insieme uno scandalo pubblico, tutt’altro che privato: perché dimostrano, l’uno insieme con l’altro, l’abuso di potere come l’opinione pubblica comprende ogni giorno di più.

E’ proprio questo il sentimento del pericolo che domina oggi Berlusconi. Incapace di parlare davvero al Paese, di confrontarsi con chi gli pone domande, di assumersi la responsabilità dei suoi comportamenti, reagisce alzando la posta per trascinare tutto – le istituzioni, lo Stato – dentro la sua personale tragedia: di cui lui solo (insieme con la moglie che di questo lo ha avvertito, pochi giorni fa) conosce il fondo e la portata. Reagisce minacciando: l’imprenditore campione del mercato invita addirittura gli industriali italiani a non fare pubblicità sui giornali “disfattisti”, quelli che cioè lo criticano, perché la sua sorte coincide col Paese. Poi si corregge dicendo che voleva invitare a non dar spazio a Franceschini, come se non gli bastasse il controllo di sei canali televisivi ma avesse bisogno di un vero e proprio editto. E’ qualcosa che non si è mai visto nel mondo occidentale, anche se la stampa italiana prigioniera del nuovo conformismo preferisce parlar d’altro, come se non fosse in gioco la libertà del discorso pubblico, che forma l’opinione di ogni democrazia.

In realtà Berlusconi minaccia soprattutto se stesso, rivelando questa sua instabilità, questa paura. Se sarà coerente con le sue parole, c’è da temere il peggio. Cosa viene infatti dopo la denuncia del golpe? Quale sarà il prossimo passo? E se c’è una minaccia eversiva, allora tutto è lecito: dunque come userà i servizi e gli altri apparati il Cavaliere, contro i presunti “eversori”? Come li sta già usando? Chi controlla e chi garantisce in tempi che il premier trasforma in emergenza?

Attendiamo risposte. Per quanto ci riguarda, continueremo a comportarci come se fossimo in un Paese normale, dove la dialettica e anche lo scontro tra la libera stampa e il potere legittimo del Paese fanno parte del gioco democratico. Poi, ognuno giudicherà dove saprà fermarsi e dove potrà arrivare questo uso privato e già violento del potere statale da parte di un uomo che sappiamo pronto a tutto, anche a trasformare la crisi della sua leadership in una tragedia del Paese.


°°° Questo pezzo di merda è finito. Si è suicidato con la sua stessa merda. Speriamo di avere un governo serio almeno a Ottobre.

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Mi rallegra

Pubblicato il 30 Maggio 2009 da Lucio

La donna starebbe vendendo il posto barca per pagare la successione
Lascia un palazzo alla badante
L’eredità di un vedovo (senza figli ma con nipoti) a una marocchina di 40 anni

L’ingresso del palazzo di cinque piani in via Borsieri a Milano
L’ingresso del palazzo di cinque piani in via Borsieri a Milano

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MILANO — La sorella, con gentilezza, dice che, testuale, «l’importante è la salute» e che comunque «è fuori Milano». Il fratello, con meno gentilezza, conferma che «non c’è», premette che «se proprio deve essere, parlo io» e conclude: «È meglio se non parliamo. Niente pubblicità». La diretta interessata, una marocchina sui quarant’anni, ex badante e donna di servizio del signor Celso Canova che il 20 luglio avrebbe compiuto 83 anni e che è appena morto, in effetti non c’è. Si trova in Liguria. La accompagnano alcuni avvocati. Canova le ha donato un posto barca a Lavagna, sulla riviera di Levante: dicono lo stia vendendo per pagarsi la tassa di successione. Tassa onerosa: Canova era proprietario di un palazzo di cinque piani, in via Borsieri, gran bel palazzo, all’Isola, quartiere di slancio e rilancio della Milano di domani. Il palazzo, come recita il testamento—fotocopiato e attaccato a lungo nell’androne, sia mai qualcheduno, ossia tutti quanti, non ci credesse —, è stato lasciato in eredità alla signora marocchina. Lei. L’ex badante e donna delle pulizie. Per dieci anni.

È padrona di uno stabile da 10 milioni di euro. Dopo aver fatto arrivare dal Marocco i parenti fino all’ultimissimo grado e oltre, e aver dato una festa che raccontano sia durata giorni e notti, l’ex badante, che viveva, sempre in questo palazzo, in un normale bilocalino, si è trasferita all’ultimo piano. Nell’abitazione di Canova. Quasi trecento metri quadrati, con quattro bagni ed enormi vasche idromassaggio. L’Isola è stata terra di di operai, ladri, poveri. Oggi non si compra con meno di 3.500 euro al metro quadrato. Lo stabile di via Borsieri ha un cortile pieno di rose; nell’angolo, c’è un antico cartello che indicava il posto dov’era consentito tagliar la legna per alimentare le stufe. All’ingresso, il grande pannello delle buste per le lettere è anch’esso antico, e di legno. Non c’è angolo, salendo le scale, sostando sui ballatoi, che segnali incuria, mancata manutenzione, necessità di interventi. Niente. A questo punto, qualcuno domanderà: parenti ce ne sono? Canova era rimasto vedovo e non aveva figli. Aveva, sì, nipoti. In particolare, uno che vive nel palazzo. Ha avuto in eredità un hotel. Tre stelle, dalle parti della stazione Centrale. Nulla di pretenzioso, sempre meglio di niente: dipende dai punti di vista. Dicono che lui opti per la prima opzione, «con rancore».

Difatti un amico dei Canova consiglia vivamente di tendere l’orecchio, se si è in via Borsieri: «Lo sente il fruscio delle carte? Sarà battaglia legale». In verità, in via Borsieri, l’orecchio si allunga per captare aneddoti vari sulla scelta del Canova, aneddoti che scivolano nel piccante. Illazioni sul reale rapporto tra l’anziano e la domestica. Interpretazioni del verbo «accudire». Divagazioni a tratti fantascientifiche sul tema del sesso tra differenti età. Eventuali «plagi». Nessuno che s’immoli per sostenere la parabola dell’immigrato che sbanca, del vento che gira, del sudore che diventa oro. Ci sono solo uomini che invidiano le donne, e donne che invidiano certi (danarosi) uomini. E allora, che sia tutta invidia? Forse sotto sotto qualche inquilino aveva — invano — provato a ingraziarsi, lavorarsi, ammanicarsi l’anziano? Non conosceva Canova. Che «i soldi li tirava fuori in un’unica circostanza: mai». Canova era originario di Ponderano, quattromila abitanti in provincia di Biella, paese che ha dato i natali alla famiglia Pozzo, quella del mitico Vittorio, allenatore dell’Italia del calcio due volte campione del mondo. Un’amica della signora marocchina dice: «L’ha accudito con pazienza, costanza, impegno. È stata premiata». Nient’altro? «Vuol sapere se avevano una storia d’amore? Era solo lavoro ». Come finirà con il palazzo? Sarà venduto? Qualche italiano ha una paura: che diventi una casbah. Nello stabile vivono professionisti. C’è un medico. Gli affitti, allo scadere, verranno rinnovati? «Finché il contratto lo prevede, restiamo» dice una signora. Per adesso, non rischia nessuno. Anzi, no, uno c’è. Canova gli aveva dato un appartamentino. Gratis. Senza contratto. Dunque a rischio «sfratto». Sapete chi è? Il nipote. Certo, quello dell’hotel.

Andrea Galli

°°° Notate il razzismo nel titolo… Io sono molto contento dell’epilogo: proprio alla faccia dei bigotti razzisti e ipocriti. Gli ha fatto qualche coccola? E allora? Saranno fatti suoi. Mica è presidente del consiglio questa donna!

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