Scajola, la bestia ladra e assassina

Chiedendo preventivamente scusa alle bestie…

 
“Non lascio come nel caso Biagi”
Scajola resta. Senza pudore.

°°° Parli di quando hai fatto assassinare Marco Biagi, togliendogli la scorta e dicendo che era un rompicoglioni? Salvo poi stravolgere i suoi studi e chiamare “LEGGE  BIAGI” una porcata colossale che ha ucciso i giovani lavoratori. BESTIA IMMONDA!

Scorjola nucleare

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Da Salvatore manzo

Salvatore Manzo
Prendo come spunto questo articolo di Marco Travaglio (vedi allegato), acuto come sempre, perché la situazione in cui versa drammaticamente il nostro Paese obbliga ad una riflessione a voce alta.
La vicenda personale del premier e della sua consorte non sarebbe di per sé di nessun interesse se non fosse che è stato lo stesso Berlusconi a farne una questione pubblica andando a riferire dei suoi dissapori familiari a Porta a Porta, la trasmissione più importante, in fatto di share, della “televisione di stato”.
In ogni caso le dichiarazioni della signora Veronica Lario, se si leggono con attenzione, hanno un valore e un’importanza politica di proporzioni piuttosto devastanti.
La signora Berlusconi dice di aver implorato le persone che sono più vicine a suo marito di aiutarlo, perché non sta bene, ma è stato tutto inutile…
Infatti il nostro Premier (ahinoi!) non solo ha frequentato mafiosi, non solo ha in tutta probabilità riciclato i miliardi di Cosa Nostra, non solo è stato indagato come mandante esterno per le stragi del ’92-’93, non solo le sue aziende, lo confermano le sentenze, erano in contatto con la mafia, non solo era membro della P2 di cui sta fedelmente attuando il piano eversivo denominato di “Rinascita Democratica”, non solo ha sostenuto e appoggiato le ultime folli guerre… oggi ci si presenta anche come uno psicopatico.
Cioè sua moglie, una donna che in tutti questi anni si è distinta per riservatezza e intelligenza, oltre a difendere se stessa e la propria dignità, sta avvisando i cittadini italiani, noi tutti, che il marito è un potenziale pericolo, una persona da curare.
Siamo al culmine del paradosso ma resterebbe tale se questo non presagisse scenari inquietanti e potenzialmente molto pericolosi.
Quest’uomo, Silvio Berlusconi, in questa sua veste un po’ da criminale e un po’ da maniaco, è completamente uscito dal seminato. Le sue vane promesse piano piano si riveleranno carta straccia quale sono e questo potrebbe far insorgere, anche in modo violento, una parte della popolazione. Un clima propizio per il ritorno della strategia della tensione, per la messa a punto di una qualche strage tale da distogliere l’attenzione e catalizzarla altrove.
Una situazione che a qualche frangia estremista potrebbe far suscitare la balzana idea di ricorrere alle armi pur di resistere e contrastare le follie dell’imperatore. Un gioco molto molto pericoloso.
Ci appelliamo quindi al popolo italiano: questo personaggio sta rovinando l’Italia. Esca dalla vita politica del nostro Paese che sta trascinando nel baratro.

Giorgio Bongiovanni
8 maggio 2009

Febbre suina
Di Marco Travaglio

Segnatevi queste due frasi: “Non posso stare con un uomo che frequenta le minorenni… perché la ragazza minorenne la conosceva prima che compisse 18 anni: magari fosse sua figlia…”. “Ho cercato di aiutare mio marito, ho implorato coloro che gli stanno accanto di fare altrettanto, come si farebbe con una persona che non sta bene. E’ stato tutto inutile”. Le ha pronunciate la moglie, da ieri ex, del nostro presidente del Consiglio, e le hanno raccolte la Repubblica e La Stampa. Memorizzatele perché non le sentirete mai citare in nessun tg o programma delle tv di regime. Lasciamo perdere quelle della ditta, dove chi dovrebbe informare è stipendiato dal tizio che va con le minorenni e non sta bene.

Vediamo il “servizio pubblico”: i tg dell’ora di pranzo, i primi in onda dopo lo scoop dei due quotidiani. Tg2 (sempre così prodigo di gossip,anche sull’ultima starlette): 5 secondi da studio, meno che per il divorzio di Mel Gibson. Tg1: 15 secondi da studio, affidati all’affranta Susanna Petruni, che occulta le frasi-bomba di Veronica e riesce persino a chiudere con una vecchia frase del premier (ieri insolitamente taciturno): “La signora si è fatta ingannare dai giornali della sinistra”. Tg3: breve servizio di 50 secondi, nemmeno un cenno alle minorenni e all’uomo malato, ordinaria amministrazione e chiusura con l’avvocato Ghedini (tornato sulla breccia dopo mesi di quarantena, causa lodo Alfano) che suona il silenzio su “un fatto privato”. Ma il fatto privato è il divorzio, così come le eventuali scappatelle dell’attempato Cavaliere di Hardcore, nonno settantatreenne di tre (prossimamente quattro) nipotini. Sono invece fatti pubblici, pubblicissimi, le dichiarazioni della persona che conosce meglio di tutti il nostro premier, e che lo definisce “uomo che frequenta le minorenni” e lo paragona a “una persona che non sta bene”. Febbre suina, par di capire.

Ora, immaginiamo le stesse frasi in bocca alla signora Obama, o Zapatero, o Brown, e i commenti delle tv e dei giornali di tutto il mondo. Non nel gossip: nelle pagine politiche. Non per nulla l’Italia è di nuovo “semilibera” nella classifica di Freedom House. Quel che accadrà nelle prossime settimane è prevedibilissimo. I siti del Pdl e i fogli d’ordini del regime han già servito l’antipasto: “Il Giornale” con un attacco alzo zero alla “First Lady in sonno” che “danneggia il premier e il governo” diventando “nemica della maggioranza degl’italiani”; “Libero” (una testata, un ossimoro) con tre foto di Veronica giovane a seno nudo. Prossimamente su questi schermi, qualche vecchio filmino osè, magari allegato a uno degli house organ del Sultano. Insomma la massacreranno, com’è accaduto in questi 15 anni a chiunque si sia messo di traverso sulla strada del padrone d’Italia: dai pm di Mani Pulite alla Ariosto, da Montanelli a Biagi, da Santoro a Luttazzi, a tutti gli altri epurati. I servi e i killer stanno già oliando le mitragliatrici.

°°° Sono contento di non essere il solo a divulgare queste elementari VERITA’.

bdittatore

berlusconi-napoleone

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Francesco Cosfiga

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LUCIO SALIS © Copyright 1994
LUCIO SALIS
LEI NON SA CHI
SONO STATO IO
Storie vere di ex uomini illustri, raccontate dalle loro zie
2
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CAPITOLO PRIMO
FRANCESCO COSSIGA
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Per lui, IL MEDITERRANEO E’ UN LAGO SARDO…
Il giudice Carnevale era un grande, mentre i giudici coraggiosi
e onesti erano “ragazzini” o gente “campata in aria”. Purtroppo è morta… saltando in aria.
Per lui, Mastella e Casini sono dei politici, Berlusconi è un imprenditore,
Papà Natale esiste e Andreotti meritava di diventare senatore a vita.
Lui parla di fetore, alludendo a Prodi, mentre il suo stesso naso impazzisce perché
non tollera di stare lì, fissato a quella faccia.
FRASI CELEBRI:
” In Italia non ci sono due Presidenti della Repubblica.
C’è un solo Presidente e sono io. O, almeno: così mi ha detto Andreotti…”
F.Cossiga
(Riferendosi a Craxi nel Dicembre 1990)
5
PROLOGO
Ora che sono passati molti anni dalla Presidenza di mio nipote,
posso finalmente dare sfogo alla VERITA’. Ho quindi deciso di dare
alle stampe questi miei appunti scritti in epoca non sospetta.
Devo, prima di tutto, ringraziare mio padre Bachisio (il “nonno pastore”
di cui ha parlato una volta in Inghilterra mio nipote Chicchinu (Francesco),
facendo anche una figura da provinciale… *poteva dire cow-boy) per avermi
permesso di utilizzare i suoi appunti e per avermi aiutata a ricostruire
la figura e l’opera di mio nipote. Per la figura ho impiegato due anni,
per l’opera due ore.
Tanto per cominciare mio padre non è mai stato pastore. Protestante sì.
Tant’è che ancora protesta sempre e non gli va mai bene niente.
Buon sangue non mente.
Per la verità, quand’era ancora giovane, sui settantacinque anni, e Chicchinu
era un frugoletto di quattordici anni, nonno Bachisio, così chiamerò d’ora in
avanti mio padre, aveva deciso di comprare delle pecore…
Dovete sapere che a quel tempo, in Sardegna, le scuole erano poche e la fame
tanta, (come oggi) perciò ogni padre, ogni nonno, ogni fratello maggiore,
non vedevano l’ora di mandare
i maschi piccoli della famiglia a custodire le greggi.
La pecora è la più grande industria della Sardegna (anche noi abbiamo
i nostri… agnelli! Questa battuta è di Previti. N.d.Z.); e poi ancora non c’era
la televisione a rubare preziose braccia all’agricoltura e alla pastorizia.
Più che tronisti proni davanti a Lele Mora, c’erano belle more che avizzivano
in casa e in chiesa aspettando per mesi il ritorno dei mariti.
Così, mentre tutti i coetanei del nostro ex Presidente erano costretti a custodire
le pecore, nonno Bachisio era stato costretto a comprare alcune pecore
per custodire Chicchinu. In questo modo, Chicchinu non era più solo.
Le pecore guardavano lui e lui guardava le pecore. Si guardavano per tutto il
giorno ed era molto bello. Non succedeva assolutamente niente.
Sembrava una riunione di Forza Italia quando non c’è il loro capo.
Forse era un presagio, chissà , un segno del destino.
Forse proprio allora mio nipote pensò di darsi alla politica.
Ma procediamo con ordine.
Capitolo I
LEI NON SA CHI SONO STATO IO
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Capitolo I
LEI NON SA CHI SONO STATO IO
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USI E COSTUMI
La Sardegna, è noto, vanta una civiltà remota.
Oltre seimila anni fa, mentre in tutto il mondo il massimo della residenza era “la grotta”, i sardi
inventarono i NURAGHI.
Da cui i milanesi copiarono il panettone.
Le grotte erano fredde e umide e infestate da ogni sorta di animali.
I nuraghi, si scoprì ben presto, erano freddi ma umidi. E infestati da ogni sorta di animali.
Ma i sardi, che erano astuti, lasciarono gli animali nei nuraghi e loro si adattarono a dormire fuori.
Davanti al fuoco, ma senza rompere i coglioni al prossimo con armoniche a bocca e country
melenso in texano stretto (scusate il linguaggio). Ecco perché da noi i coyotes non ululano.
Un progenitore del famoso architetto, certo Pansecu, decise che i nuraghi erano brutti. Oltre che
scomodi. Ma ormai erano più di ottomila, che fare? Tempo al tempo… Non più di trent’anni fa,
grazie agli insediamenti nella Costa Smeralda, sparirono quasi mille brutti nuraghi trasformandosi
come per magia in: fondamenta, recinzioni di ville, fondali granitici per piscine; insomma,
tutti i martamarzottisti e i berlusconisti della costa volevano il loro bel nuraghe personalizzato.
Un boom!
Gli altri brutti nuraghi, specialmente quelli posti vicino al mare, vennero accuratamente
mascherati alla vista da opportune palazzine abusive, villette a schiera, ecc. Soprattutto al nord
dell’isola. Non a caso a costruire queste meraviglie di cemento era l’Edilnord.
Anticamente, la Sardegna era difficilmente raggiungibile e i numerosi viaggiatori erano costretti a
lunghi ed estenuanti bivacchi, in attesa di qualche “legno” chi li trasportasse. Come oggi…
Era difficilissimo, quindi, anche lasciare l’isola.
Non avete idea di quanti eroi frustrati si siano dati al bere o abbiano preso la terribile via del FORMAGGIO
MARCIO (allora le Comunità non c’erano ancora e Muccioli, nonostante i suoi soci
Craxi e Moratti major, sarebbe morto di fame), per la delusione di non poter varcare il mare e
dimostrare al mondo il proprio coraggio in epiche gesta. Ecco perché nei libri di storia o nei
colossal cinematografici figurano tutti gli extracomunitari: Ben Hur, Solimano, Gengis Kan,
Sandokan, Erik il Vichingo, ecc. Ma non figura nessun eroe che si chiamasse Cuccureddu,
Porceddu o Zamburru!
Parlando di eroi, lo stesso Garibaldi è morto a Caprera! I libri di storia dicono che l’Eroe si ritirò
a Caprera…
NON E’ VERO!
Garibaldi era venuto in Sardegna, come tanti, per un week end, poi, non trovando modo di ripartire,
c’è rimasto. In tutti i sensi.
E qui sono rimasti anche tutti i suoi cimeli.
Forse non tutti sanno che l’Eroe dei Due Mondi era il più grande collezionista di cimeli di Craxi
e Spadolini.
Del primo, è custodito presso il museo Regio di Olbia un piccolo “Palazzo Marino di Milano”,
mirabile riproduzione lavorata a mano, donatagli per “grazia ricevuta” da un cognato balzato agli
onori della cronaca per essere molto “preso” da una dialettica col PM Di Pietro…
Di Spadolini, Garibaldi, conservava la superba collezione di conchiglie. Questa collezione era talmente
vasta che l’Eroe, non trovando in casa un posto capace di accoglierle tutte, teneva le
conchiglie sparse per le spiagge. Dove ancora si trovano e si possono ammirare. Basta spostare
qualche busta di plastica o qualche coccio di vetro o qualche lattina arrugginita; avendo cura di
rimettere tutto a posto, per non turbare l’ecosistema.
Capitolo I
LEI NON SA CHI SONO STATO IO
La Sardegna, tradizionalmente, vanta un’economia basata sull’agricoltura e sulla pastorizia.
L’agricoltura sarda è governata dall’anarchia più totale: nel senso che in pianura cresce di tutto e
in maniera molto bella e disordinata. Casual.
Molti agricoltori prima piantavano cavoli, poi hanno piantato carciofi, poi hanno piantato tutto e
se ne sono andati a Torino per lavorare alla Fiat.
La terra sarda, dove c’è (c’è granito dappertutto) , è molto fertile. Per anni è servita anche a sponsorizzare
il Cagliari e la Torres per far arricchire i loro presidenti.
In tutto il mondo i funghi nascono sotto gli alberi, in Amazzonia i funghi sono alti quanto gli
alberi, da noi gli alberi nascono sotto i funghi. Anche perché abbiamo la tipica vegetazione
mediterranea: nana.
Altrove, sopra le fragole ci mettono la panna. In Sardegna, se non ci mettiamo il letame, col cavolo
che crescono!
Dove non c’è la terra c’è il granito, che si usa, nelle zone interne, come mangime per le galline al
posto del grano: in effetti le uova delle galline sarde sono molto più piccole ma dure! e le donne
sarde si lamentano sempre perché hanno tutte le padelle ammaccate.
Nelle zone costiere, invece, il granito, sotto forma di scogliera, serve per essere venduto a due lire
agli Aga Kan e al Cav. Silvio-Ciprietta, che ci fabbricano sopra tanti bei ghetti per sedicenti vip,
tante discariche per televisionari falliti e tante alcove per calciatori e veline.
Le vallette e Umilio Fede amano la Costa Smeralda. Ci vuole una certa inclinazione per fare il loro
mestiere e per essere invitati in Costa Smeralda, e loro questa inclinazione l’hanno nel sangue.
La pastorizia ha dei grandi vantaggi: i contributi regionali, i contributi CEE, e il fatto che, per
poter fare il pastore, non si ha bisogno di sondaggi nè di un attestato della Bocconi e tantomeno
di un portavoce come Bondi. Per ora…
Il pastore vive con le pecore e vanno molto d’accordo, anche se non si parlano. Anzi il pastore a
volte parla e i nipoti dei pastori, spesso, straparlano pure. Anche se questo non è il caso di
Chicchinu miu.
Si racconta di un umile pastorello, accosciato all’ombra di una quercia secolare regolamentare e
circondato dal suo gregge, il quale ha resistito per ore, in silenzio, agli assalti di un turista armato
di famigliola vociante e di apparecchiature fotografiche del valore di svariati milioni, che continuava,
regista “in nuce”, a bersagliare il povero bimbo di: “Guarda verso l’infinito… l’orizzonte…
così… più triste… sorridi… perfetto”.
Alla fine, il piccolo guardapecore esausto, ad un “Lo sai parlare l’italiano?” di troppo, ha risposto
annoiato:”Guarda che, se non metti a 100 DIN, ti bruci tutta la pellicola. O coglione!”
Un’altra risorsa della Sardegna è la pesca. Ma quella vengono a farla i pescatori di Mazara del
Vallo.
Gli stagni e il mare erano molto pescosi.
Nel settembre del 1947, un certo Antonio Melis (detto Ferdinando) pescò un’orata così grande,
che subito arrivò un fotografo da Sassari per immortalarla. Solo la fotografia pesava 4 chili!
Adesso se si riesce a pescare qualche pesciolino, questi attaccato alla coda ha già il verbale di non
commestibilità dei NAS.
Nonostante tutto, sono in aumento i pescatori dilettanti che si servono delle canne.
Alcuni se le fanno addirittura da soli, le canne, e Pannella li conosce tutti. Questi non prendono
mai niente, ma sono i più tranquilli. Nei pressi di Olbia, sono stati notati due pescatori dilettanti
che utilizzavano delle canne mozze. Avevano anche la matricola dei mulinelli abrasa. L’unica
cosa che hanno a portato a casa è stato un mega contratto d’appalto per la costruzione del portocanale
di Cagliari. Erano due siciliani di Forza Italia.
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Capitolo I
LEI NON SA CHI SONO STATO IO
La tipica imbarcazione sarda per la pesca si chiama “fassòni” ed è fatta di giunchi e asfodelo
intrecciati. I fassònis si riconoscono subito perché, mezz’ora dopo la partenza, si sentono le voci
dei pescatori che gridano, “Aiuto! Aiuto! Annego!”
A Santa Giusta c’è anche una straordinaria regata di fassònis che si tiene nel mese di Agosto. La
organizza il presidente della Pro Loco in pieno pomeriggio ed è sponsorizzata da ben due negozi
di frutta e verdura e una macelleria. Dicono che sia molto suggestiva. Peccato che nessuno veda
niente, perché di pomeriggio il sole ti picchia sugli occhi e…
Quand’era giovane mio nipote, lo scemo del paese non faceva l’assessore alla cultura, il sindaco
o il presidente della pro loco.
LE DONNE
Le donne sarde sono di poche parole. Anzi, solitamente, ne dicono soltanto una: NO.
E mio nipote lo sa bene.
In Sardegna il femminismo ci fa ridere, perché qui abbiamo sempre comandato noi donne. Esiste
da sempre il matriarcato. E lo tiriamo fuori ogni volta che ci fa comodo. Provate a chiedere a una
donna di Brescia o di Roma:
“Cosa fa suo marito?” Quella risponderà: l’idraulico, i medico, il ragioniere. Provate a rivolgere la
stessa domanda a una sarda… “QUELLO CHE VOGLIO IO.” Sarà la fiera risposta. Le sarde sono
riservate fino al momento del matrimonio. A quel punto si scatenano. Il matrimonio tipico sardo
si svolge così: dopo la cerimonia, mentre gli invitati mangiano, bevono e ballano (e i genitori litigano
per stabilire chi deve pagare il ricevimento), la sposina trascina il neomarito su per la camera
da letto. Chiude bene a chiave; si spoglia con una certa riluttanza e sistema bene i vestiti su
una cassapanca antica. Quindi ricupera lo sposino da sotto il letto o da sopra l’armadio e, dopo
averlo spogliato, sistema anche gli abiti di lui accanto ai propri. Infine, presi i suoi vestiti e quelli
del marito, apre la finestra e scaraventa tutto di sotto. Tanto, quando lui e lei usciranno da
quella stanza, quei vestiti saranno già belli e passati di moda!
Le donne sposate, raramente, si concedono avventure e danno poca confidenza agli estranei.
Un amico di Chicchinu è dovuto andare a letto per più di due mesi con una signora di Tempio,
prima di convincerla a fare un giro in macchina sola con lui.
Niente a che vedere con il libertinaggio di certe continentali, che fumano, dicono parolacce e si
fanno sorprendere dai mariti mentre si dibattono sulla moquette, senza niente addosso, tranne
l’idraulico.
Da noi nemmeno si usa la moquette. E l’idraulico, semmai, si mette sotto.
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Capitolo I
LEI NON SA CHI SONO STATO IO
LUOGHI COMUNI
Uno dei più vieti luoghi comuni che riguardano la Sardegna è che essa sia una terra dimenticata
da Dio. In realtà , io non credo che Dio se la sia dimenticata affatto: l’ha spostata apposta e la odia!
E comunque, dai tempi dei tempi, da un capo all’altro dello stivale, si è udito il minaccioso “TI
SBATTO IN SARDEGNA!” Quando qualcuno combinava qualcosa che non piaceva ai superiori,
veniva “sbattuto in Sardegna”…
Ci chiediamo: che cosa mai avranno combinato Simona Ventura, Briatore o Burlesquoni, che,
regolarmente, tutti gli anni vengono “sbattuti” qui per almeno due mesi?!
Per non parlare di Craxi, quello lo avevano sbattuto addirittura in Tunisia.
Altro luogo comune è che i sardi sono piccoli e scuri…
Tanto per cominciare, qui si usa lavorare. E quando in una famiglia nasce un figlio maschio c’è
gran tripudio: non è una bocca in più, ma DUE BRACCIA in più! Appena il frugolo compie
cinque o sei anni, gli si dice il fatidico “Cresci, cresci che vai a lavorare”.
Per questa ragione molti bimbi fanno un” tiè!” a manico d’ombrello e si rifiutano di crescere.
Eppoi, la bassa statura molte volte aiuta. Se sei latitante e sei alto, non ti puoi nascondere dietro
la vegetazione nana o dietro i muretti a secco di un metro e venti. Non solo… Prendiamo la
Brigata Sassari: quei ragazzi, in pratica, vincevano le battaglie da soli! Venivano discriminatamente
messi in prima linea, davanti a bersaglieri, alpini ecc. e, siccome il nemico sparava ad altezza
d’uomo, venivano colpiti molto difficilmente. Una carneficina tra i veneti e i friulani delle
ultime file.
SCURI… Il popolo sardo è, notoriamente, molto riservato ed educato.
Qual è la famiglia dove non succedono screzi tra coniugi? Anche da noi capita che ci siano discussioni
in famiglia, ma è costume che, prima di iniziare una breve disputa, i genitori mandino i
bambini a giocare in cortile o per strada. Ecco che, a forza di restare così a lungo sotto il sole, si
ottengono dei bei ragazzini molto abbronzati.
Chissà quanto litigano in Africa!
Ma come dice nonno Bachisio: ”Il mondo è bello perché è avariato!”
BANDITI SARDI… Si sente parlare, da almeno cento anni, di questa fantomatica “banda dei
sardi”. Prendi un giornale e trovi un titolone sparato a nove colonne: “Presa la banda dei sardi”.
Poi leggi: “… stamattina verranno interrogati dal Sostituto Procuratore i banditi catturati ieri grazie
ad una brillante operazione (omissis)… I sette malviventi, Gino Fontolan, Ambrogio
Brisighella, Roberto Diotallevi, Guido Pozzan, Osvaldo Procaccianti, Luigi Percuoco e Gavino
PUDDU.
UNO c’è n’è!!! Un sardo che si chiama PUDDU.
E magari è anche figlio di emigrati da generazioni!
Titolo sul giornale:
“ARRESTATA LA BANDA DEI SARDI”!
Devo ricordarmi di dire a Chicchinu di fare qualcosa per questo. Bisogna che metta in riga i giornalisti.
Bisogna “normalizzare”, come dice Previti.
Certe volte, sì, càpita che qualcuno dei nostri ragazzi col sangue caldo si lasci andare a qualche
gesto un po’ forte.
Ma, anche ieri, sulla cronaca di un popolare quotidiano è apparsa la notizia:
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Capitolo I
LEI NON SA CHI SONO STATO IO
“Preso un giovane (sardo) e denunciato a piede libero per porto abusivo di coltello”.
E ce l’aveva sì un coltello: ma conficcato tra le scapole, ce l’aveva! Questo, mi si passi il termine,
è razzismo bello e buono. Diamine! Eppoi, cosa vuol dire quel SARDO tra parentesi?!
Perché non scrivono (sardo) anche quando parlano della nomina a baronetto del fantino più forte
del mondo Frank Dettori? Solo per la cronaca nera si ricordano dei sardi. Perché non ci scrivono
mai: umbro, o milanese, o toscano… tra parentesi?!
Buoni quelli! I toscani. Sono quelli che parlano maggiormente male di noi sardi, però sono sempre
qui a fare razzìe. Appena si apre la stagione venatoria, i traghetti che partono da Livorno sono
pieni di cacciatori toscani assatanati: appena giungono in vista della nostra costa, cominciano a
sparare. Già dalla nave. A tutto quello che si muove, sparano.
Generalmente, si salvano solo i deputati sardi o gli assessori.
Tanto quelli… e quando si muovono, quelli?!
Questo succede perché il popolo sardo è molto ospitale.
Noi abbiamo sempre ospitato tutti, dai punici ai romani, dai mori, ai fenici agli spagnoli. E non
si può dire che i sardi siano invadenti. Anzi… INVASI da sempre siamo stati!
NONNO BACHISIO
Mio padre era così povero che lo mettevano persino sulle pagine gialle.
In Sardegna, allora, non c’era quasi niente: niente lavoro, niente sviluppo economico, niente
locali notturni… in pratica come adesso, solo che oggi c’è lavoro per i forestali, grazie ai numerosi
incendi, e ci sono le industrie. Chiuse.
Lui aveva ereditato un piccolo pezzo di terra. Terra tipica sarda: bruciata.
Ma era talmente fiaccato dalla povertà che non la lavorava neanche la terra, la mangiava così
com’era.
Già da allora qui c’era molta emigrazione.
Anche se qualcuno aveva escogitato la pensata di mandare le donne incinte a partorire direttamente
a Sesto S. Giovanni, a Torino, o addirittura in Belgio. Così i futuri operai nascevano già lì,
e via.
Anche nonno Bachisio era sempre in un altro stato: in stato di ubriachezza.
Lui beveva tanto per dimenticare. Si dimenticava di aver già bevuto tanto…
e così ricominciava.
Poi si lamentava. “Quando Galileo diceva: – Il mondo gira.- Tutti a gridare al genio. Quando lo
dico io che il mondo gira, tutti guardano in cielo e dicono che sono di nuovo ubriaco.”
Però anche lui…
Un giorno si presentò al bar col fido amico Carta, un noto imbroglione, e ordinò dieci litri di vermentino.
Il barista gli chiese se avevano portato un recipiente e lui, offesissimo: “Quale recipiente?! Io contengo
sei litri, lui almeno quattro! Recipiente, tzè!…”
La verità era che bevendo dimenticava l frustrazioni .
Dimenticava anche di tornare a casa.
“Mi sento un beone!” Fondò anche “La fossa dei beoni” e ne divenne presidente. Persone “alte in
grado”…
A novantatre anni voleva cambiare sesso. Non nel senso di Amanda Lear, ma perché ne voleva un
altro. Nuovo.
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Capitolo I
LEI NON SA CHI SONO STATO IO
Mio padre è sempre stato un grande peccatore: ubriacone, donnaiolo, giocatore, manesco, ignorante
e presuntuoso. Secondo lui, il Mediterraneo è un “lago sardo”… E Chicchinu ha preso da
lui.
Però lui era buono. Sempre pronto ad aiutare tutti, specialmente le donne che s’offrivano. Ma non
era solo per il sesso; anche se, preso quello, lasciava perdere il resto. Non se ne lasciava scappare
una.
“Sa hemmina no cherèt fastizzàra, cherèt chirràd’a terra istrumpàda e coddàda.” diceva
(la donna non dev’essere corteggiata, va sbattuta per terra, bloccata e… perdonatemi, scopata a
raffica).
Quando rientrava, dopo una notte di baldorie, mia nonna lo redarguiva rassegnata:
”Ancora ubriaco sei?”
E lui. “Certo! Se non fossi ubriaco mica tornerei qui!”
Cercò in tutti i modi un lavoro qualunque. Si mise persino a fare lo stilista. Inventò lo stile casual.
Ma era troppo in anticipo sui tempi e i suoi clienti li chiamavano “pezzenti”.
Quando vide che non c’era verso di fare un lavoro onesto, si diede alla politica.
Oggi sarebbe come minimo presidente di qualche ASL o direttore di rete o di qualche struttura
alla RAI o imprenditore sorridente e incipriato. Allora si dovette accontentare di fare l’assessore
in un comune di mille anime.
“ASSESSORATO ALLA RICERCA SPAZIALE”, mandato inventato da lui. Niente a che vedere con
alta tecnologia o spazi siderali.
Il suo compito consisteva nel trovare ALTRO SPAZIO per mettere i fiaschi pieni e le damigiane,
che servivano da carburante durante le sedute di giunta.
Non vi era ordinanza che non venisse votata per alzata di gomito.
Era nata “l’ubriachezza politica” tanto cara a Craxi.
Nonno Bachisio era il più importante “sbronzetto nuragico” del mondo.
Gandhi disse “Dopo che sarò morto, crematemi.”
Lui ha riempito la casa di bigliettini:” Dopo che sarò morto, DISTILLATEMI”.
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Capitolo I
LEI NON SA CHI SONO STATO IO
INFANZIA DI FRANCESO COSSIGA
Quando Chicchino nacque in casa non c’era nessuno.
Lo portò un gufo. Non trovando un camino, lo sganciò vicino al pozzo nero.
Suo padre era al podere. Coltivava una piantagione di ghiaia* (coi cavoli aveva smesso, per paura
che sotto qualche ceppo potesse nascergli un altro figlio). Sua madre era rifugiata da certi parenti,
perché non voleva responsabilità.
*Ecco spiegato il mistero dei “sassolini nelle scarpe”.
Quei sassolini Chicchinu li ha sempre avuti e, come si sa, i sassolini nelle scarpe fanno male ai
coglioni: certo, perché chi non è coglione SE LI TOGLIE!
E lui ha fatto benissimo a toglierseli.
Avrebbe dovuto cominciare molto prima, ma Andreotti e Craxi erano sempre stati molto evasivi
e non gli avevano ancora confermato che lui era veramente il Presidente.
Per quattro anni ha creduto di essere “in prova”.
Ma questa è un’altra storia, di cui vi parlerò più avanti.
Presi da rimorso, i genitori fecero ritorno a casa dopo tre giorni. Trovarono Chicchinu al telefono
che chiedeva le loro dimissioni al Telefono Azzuro, ma diceva “ghee-ghee” in sardo e non se ne
fece niente.
Per primi diciotto mesi mio nipote condusse una vita d’inferno. Si andava convincendo di non
essere amato da nessuno.
Diceva cose senza senso che non capiva nessuno, quindi, quando diceva “ghee” perché aveva
fame, cercavano in tutti i modi di farlo dormire; quando diceva “ghee” perché aveva sonno, lo
ingozzavano a forza di latte, caglio e carciofi.
Lui, meschinetto, strillava a più non posso e tutti dicevano “Non lo sa nemmeno lui quello che
vuole. Lasciatelo perdere.”
Si sentiva solo e abbandonato. Incompreso. E di notte, ripensando alle traversie quotidiane, versava
tutte le sue lacrime e strillava come Sgarbi. Anche perché aveva una fame bestia e nessuno
gli dava retta.
Il padre, un lavoratore duro e poco sensibile, soltanto per essere stato svegliato due o trenta volte
ogni notte dalle grida parossistiche del piccolo Chicchinu, dopo alcuni mesi, si rivolse alla moglie
con tono poco rassicurante “Fallo stare zitto quell’accidente, sennò te lo rompo!”
A modo suo gli voleva bene.
Per la verità si erano lamentati anche alcuni comitati di quartiere della Gallura e della Barbagia.
In quei giorni, per la prima volta, un certo Giulio Andreotti venne nominato sottosegretario a non
so quale Ministero.
La madre di Chicchinu, vedendolo in un cinegiornale, perse il latte e fu costretta a mandare il
piccolino a balia.
Oggi le balie non esistono più. Ed è un bene.
La balia del nostro paese, Assuntina, era un donnone di oltre un quintale che aveva già quattordici
figli suoi; tutti avuti dallo stesso uomo, ma non lo aveva mai voluto sposare perché, diceva, non
era il suo tipo.
Questo bel tipo era alto un metro e venti, più IVA, e aveva due sole passioni (oltre”quello”): bere
vernaccia e fumare “trinciato Italia”.
13
Capitolo I
LEI NON SA CHI SONO STATO IO
Tutte le sere tornava da Assuntina, ubriaco e puzzolente come una capra, e le montava addosso.
Lei lo lasciava fare, un po’ per timore delle sue reazioni (lui aveva il “vino cattivo “) un po’ per
non perderlo: l’aveva minacciata di fuggire con Brigitte Bardot se non lo avesse soddisfatto.
E i figli continuavano ad arrivare.
Chicchinu miu da quella balia non ci voleva andare. E piangeva. E, appena piangeva, tutti: “il
bambino ha fame, portatelo da Assuntina.”
Ma lui piangeva proprio perché non ci voleva andare! Era incompreso già da allora.
Ma come si fa ad attaccarsi a un seno gigantesco marrone e puzzolente di “trinciato Italia”?!
Tutti i giorni così. Lo portavano da Assuntina e quella lo ghermiva e gli ficcava in bocca un chilo
e otto di tetta tossica.
Morale: oltre che a piangere, Chicchinu miu cominciò anche a tossire.
Una brutta tosse. E catarro. La madre lo portò dal medico: bronchite asmatica.
“Ma suo figlio fuma?” chiese il medico. A sei mesi?!
Non bastava la bronchite, gli venne una strana malattia che di solito viene solo alle patate e cominciò
a riempirsi tutto di bolle e macchie.
Basta balia.
Dopo una lunga chiacchierata con nonno Bachisio, che la sapeva lunga, fu deciso di fargli cambiare
aria e di sottoporlo ad una ferrea dieta a base di pesce.
L’aria, nonostante tutto, non l’ha cambiata: ancora oggi conserva quella da gufo triste. Il fosforo
invece l’ha reso vispo e intelligente come nessuno.
“Fategli succhiare le teste – incitava alla sua maniera naive nonno Bachisio- ché la testa del pesce
contiene forfora.”…
E giù pesce, olio di fegato di merluzzo e spremute di gamberoni, con cioccolato e panna. E aglio,
molto aglio, per la circolazione e la pressione.
Suo padre non voleva, però, che il piccolo dormisse in camera con loro. Per via dell’alito. E
Chicchinu minacciò di sciogliere la camera.
Il genitore se la legò al dito e ogni sera, quando rientrava dalla sua piantagione di ghiaia, annusava
l’aria come un setter. Ma molto più rumorosamente.
“Cos’è questa puzza?” sibilava.
“E ‘ il pupo, ha fatto la cacchina.” minimizzava la moglie.
“Cacchina?! Cacchina, eh?! QUESTA E’ MERDA!!! Altro che “cacchina”! Il pupo!.. Questo non è
un bambino, è un contenitore di merda! Lo accarezzi e “plaft!”… lo dondoli e “plaft!”… Lo guardi
e “riplaft!” Ma che cazzo è?! Mangia grazia di Dio e caga merda! E non fa altro in tutto il giorno.
E anche di notte ! Mangia, piange e caga! Ma non lo vedi che quando ha finito di “fare la cacchina”
è sgonfio?! Una prugna sembra! Eppoi… – in un crescendo rossiniano, l’arcigno genitore, misurava
a grandi passi la stanza e roteava i pugni al di sopra della testa, fermandosi di tanto in tanto
ad indicare minacciosamente l’oggetto della sua ira. – Eppoi, quando lo devi cambiare, cambialo
dalla TUA tua parte del letto! Cappitto mi hai?! Dalla tua parte! Oppure portalo da tua madre.
Filo spinato ci metto sul letto, voglio vedere se oltrepassi il confine… Cacchina!”
Tutti i giorni la stessa storia. Ma a modo suo gli voleva bene.
In occasione di una visita di certi parenti, il padre di Chicchinu, che teneva molto alle apparenze,
decise di fare bella figura e pretese di prendere in braccio il pupo.
Non sapendo come funzionasse il “fagottino”, cominciò a passarselo da un ginocchio all’altro, da
un braccio all’altro, e su e giù, finché il fantolino non prese a vomitare.
Reazione istantanea: allontanamento, di scatto, del bimbo dai propri pantaloni. Nuca del neonato
pericolosamente vicina allo spigolo del tavolo. Urla della madre. Bestemmie del padre. Coro di
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Capitolo I
LEI NON SA CHI SONO STATO IO
“ehhh, i bambini, si sa…” dei presenti.
Fine della pax.
Ancora nonno Bachisio. Redarguì suo figlio, spiegandogli che tutti i bambini hanno dei rigurgiti,
fanno la cacca (prodotto interno lordo, la chiamava lui) e piangono di notte.
“Se lo maltratti ancora, ti spacco la testa in otto parti uguali.” Concluse amorevolmente.
La notte successiva, al primo piantino del bambino, il padre si alzò, lo prese in braccio e cominciò
a cantargli un’antica nenia sarda, mentre lo dondolava.
“Su pippìu de sa mamma / an chi fèzzasa sa spràmma / oh, oh, oh…” (Piccolino della mamma/
fai la ninna, fai la nanna/ oh, oh, oh…)
Al terzo “oh” il piccolo si addormentò di colpo.
Anche perché l’astuto genitore aveva avuto l’accortezza di dondolarlo, tenendogli il capino a
meno di un palmo dal muro… SDUUUM! SDUUUM! SDUUUM!… I risultati ancora si vedono.
Altre volte, in analoghe circostanze, il bruto lanciava in aria il piccolo, lo riprendeva e lo rilanciava,
al grido di “istrullallààààh…”
E Chicchinu passava dal pianto al riso, riso stridulo e nervoso, e dal riso al sonno.
Anche perché tutto questo avveniva in mansarda. E le mansarde sarde sono molto basse…
A forza di “toc” e di “sduum” della testolina contro il soffitto basso, anche le rondini e i piccioni
abbandonarono i propri nidi. Un airone cinerino che aveva nidificato nei paraggi venne ricoverato
alla neuro di Tempio Paisania.
E venne il periodo delle prime paroline.
Tutti, in tutto il mondo, continuano pedissequemente a disorientare i bambini con una serie di:
biru-biri-ba-bah… oppure: ciribiribiripicchio!… che non vogliono dire assolutamente un beneamato
cappero.
Anche Chicchinu miu fu vittima di questi attentati, ecco perché, ancora adesso, stenta a farsi
capire dalla gente e viene spesso frainteso.
Prendetevela coi parenti e gli amici.
Tutti a cercare di farlo parlare il più presto possibile!
Anche suo padre si era accanito in questo esercizio:”Dì “babbo”. Dài, Checco, dì “papà”…
E parla, cazzo! Alla tua età io declamavo tutto Gozzano!”
Falso. Sono testimone io. Ha imparato a parlare a otto anni!
Una volta che Chicchinu imparò a parlare, non poteva aprire bocca ché il padre, subito:
“Stai zitto!”
Però, a modo suo, gli voleva bene.
I PRIMI PASSI. Non parliamo di quando, sempre lui, l’orco, cercava di insegnare a camminare al
piccolo. Di nascosto.
Chicchinu aveva poco più di sette mesi, un nasino da un chilo e un telo da bagno nelle braghe
(allora non c’erano i pannolini e Mike Bongiorno e Gerry Scotti si puzzavano di fame).
Allora… Il trucido appoggiava mio nipote al muro, si allontanava, si chinava e apriva le braccia:
”Corri da babbo. Vieni… Su, su…”
Spataplunfete! Tre dentini da latte: adieu…
“Testa di melanzana! Coglione! Alla tua età ero campione sardo dei tremila siepi.”
Manco per niente. Ha imparato a camminare, con un girello di ulivo grezzo, a sette anni suonati!
Una volta che Chicchinu aveva imparato a camminare speditamente, verso i due anni, e cominciava
a trotterellare per tutta la casa:
“Stai fermo!”
Chicchinu miu, piccolo frugoletto, è arrivato all’età di dieci anni convinto di chiamarsi “SMET-
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Capitolo I
LEI NON SA CHI SONO STATO IO
TILA”.
Come ci hanno insegnato i padri della psicanalisi, Freud in testa, il comportamento dei genitori
durante l’infanzia dei propri figli lascia sempre una profonda traccia. Il comportamento becero
del padre di Francesco Cossiga lo abbiamo già visto in parte, ma è dall’adolescenza alla pubertà
del piccolo che egli manifestò tutto il suo sadismo.
Quando Chicchinu frequentava le medie, suo padre gli scriveva proditoriamente sul diario frasi
del tipo: ”Non sei nessuno” “Sei un fallito” “Ti odiano tutti” . Poi si lamentava che il figlio era insicuro
e ritardato! Durante un ricovero di mia sorella, qualche anno prima, il trucido era stato
costretto ad accompagnare Chicchinu a scuola (non era mai voluto uscire col piccolo:
“ Chissà cosa dice la gente!” si scusava); prima di uscire di casa, intimò al figlio: “Chiamami zio!”
Beh, il giorno trovarono tutti i compagnetti in cortile a godersi il sole. Tutti giocavano e facevano
capriole sull’erba. Lui costrinse il piccolo a giocare tra i fichi d’india e a fare le capriole in mezzo
alle ortiche: sempre erba è, disse. Poi lo schiavizzava. Lo mandava a fare le commissioni più
assurde, per fargli fare figuracce. Lo mandava in posti lontanissimi e gli indicava le strade sbagliate
per arrivarci, o i percorsi più lunghi e tortuosi.
Gli ordinava di comprare: un litro di olio di gomito… trecento lire di ombra di campanile, oppure
“un etto di zampette d’anguilla”… Tutti i bottegai del paese, capito il dramma del bambino, gli
davano delle amorevoli botte sulla nuca e lo mandavano in altre botteghe, sempre più lontane:
“Noi l’abbiamo terminato, prova da tizio che forse ne ha ancora…”
poi si giravano dall’altra parte e si piegavano in due dalle risate.
E manate sulla nuca, e botte della testolina al muro o sul soffitto per farlo addormentare… eppoi
dicono che è matto! Non parliamo poi dello scherzo del seggiolone! Quando Chicchinu aveva
due anni. C ‘era molta povertà, a quei tempi, e il seggiolone per il pupo era stato comprato di
ottava mano da alcuni zingari di passaggio (la stessa tribù alla quale, pochi mesi dopo, il maligno
genitore regalò il cavallo a dondolo di Chicchinu. Con lui sopra!).
In pratica, mio cognato, l’infausto genitore, si alzava di notte e, chiotto chiotto, andava in cucina
e segava a ? una gamba del seggiolone, già abbastanza malfermo di suo, poi tornava soddisfatto
a letto. Il giorno dopo scommetteva con gli amici sull’orario in cui il piccolo si sarebbe schiantato
al suolo. Si sedevano tutti di fronte al bambino, a bere, mangiare, e a parlare delle mirabolanti
avventure negli ovili, e gli lanciavano contro torsoli di pere, mele, noccioli di pesche…
Chicchinu si agitava, cercando di schivare i proiettili, il seggiolone manomesso cedeva e lui si
schiantava sul pavimento. Tutti quei colpi alla testolina fecero venire al pupo un’altra malattia
strana, che di solito viene solo ai tuberi, alle rape, a Gasparri, Calderoli e a Bondi. Durante le
vacanze estive, mentre gli altri bambini andavano alle colonie marine o montane, Chicchinu veniva
mandato a Vermicino o a Seveso. Solo una volta lo portarono al mare, allo scarico delle fogne
di Porto Torres e, mentre gli altri bambini costruivano castelli di sabbia, suo padre con la sabbia
gli faceva costruire case popolari…
A scuola, il suo nasino da un chilo venne ripetutamente gonfiato dalle botte dei compagni, presso
i quali mio cognato faceva circolare voci calunniose: ”Lo sai che mio figlio ha detto che tu sei
un po’ femminuccia?…Mio figlio mi ha detto che te le suona quando vuole…” eccetera. Andava a
cercare i compagni più grossi e grandicelli di Chicchinu e scatenava la loro rabbia. Poi, quando
il piccolo tornava pesto e con la melanzana sanguinante:
“Coglione! Le hai prese ancora. Alla tua età ero campione sardo dei pesi medi! Femminuccia del
cazzo!” e giù altre botte. Alla testa. SDUM! SDUUUUM! SDUM! Per tacere di quando aveva
attrezzato una bella altalena in cortile… Chicchinu fu molto felice per il pensiero del padre.
Povero ingenuo! L’altalena era a tre metri dal muro della cucina. In conci di granito. Già dal
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Capitolo I
LEI NON SA CHI SONO STATO IO
giorno dell’inaugurazione, mio cognato fece sedere il figlio e gli diede una sola spinta: corremmo
in sette a staccare Chicchinu dal muro e lo accompagnai personalmente al poliambulatorio.
Tutte le settimane erano tre – quattro giorni di degenza. Anche le comunicazioni della scuola,
ormai, gliele mandavano direttamente all’ospedale. Quando mio cognato si prese una brutta
influenza e fu costretto a letto per dieci giorni, Chicchinu, senza altalena e spiaccicamenti contro
il muro, stava bene. Subito telefonarono dall’ospedale, preoccupatissimi e allarmati:
“Come mai non si è visto il piccolo Cossiga questa settimana? Non è che sta bene, eh?!”
Questo è stato il padre di Francesco Cossiga: un senzadio barbaro e cinico. Anche se, a modo suo,
forse, gli voleva bene. Potrei raccontare ancora tante cose, ma vi cito solo il suo motto prediletto,
che racchiude la sua filosofia di vita: “BABBO E’ MORTO, L’ASINA HA PARTORITO: CINQUE
ERAVAMO E CINQUE SIAMO”
LA MADRE
Contrariamente a tutte le donne sarde, mia sorella si dava del lei col matriarcato e col femminismo.
Completamente coartata dal marito, era usa obbedir tacendo e tacendo morir: di dolore, di
fame, di umiliazioni…
Ricordo una scena emblematica, indelebile nella mia mente. Quando Chicchinu aveva circa un
decinaio di anni, gli occhi grandi come uova al tegame, il naso già da un chilo, le gambe secche
secche e le ginocchia grosse come i nodi delle cravatte di Roberto Maroni, la sua famiglia versava
in grave stato di necessità. Il piccolo lo vestivano con gli abiti smessi dai “mustajònis”: gli
spaventapasseri. Una sera, il padre di Chicchinu era uscito per la solita partita a “chémin”, dietro
l’ovile di un amico. In centro, insomma. Il bimbo, povera stella, era seduto al tavolo di cucina
impugnando e battendo ritmicamente le posate sul tavolo; molto speranzoso. Sua madre, santa
donna, alta, segaligna e vestita di nero, cercava disperatamente di nascondere le lacrime. Evitando
di guardarlo, apriva e richiudeva mobiletti e rovistava invano nella vecchia madia: vuota. Il nulla
più desolato. Le ultime due uova le aveva fatte fuori il marito, con l’ultimo tozzo di pane nero,
prima di uscire. Chicchinu continuava a battere le posate sul tavolo, mandando avanti e indietro
i piedini sotto il tavolo e la sedia. Calzava vecchi stivali di gomma più grandi di sei numeri: si sa,
i bambini crescono, gli stivali no… Sbadigliava apertamente e seguiva con lo sguardo la madre.
Lei era una statua di sale. Si mordeva a sangue il labbro inferiore e le tremava il mento.
D’improvviso si voltò verso di lui e l’affrontò. Gli occhietti avvizziti e ormai senza più lacrime di
lei, contro gli occhioni sgranati, interrogativi, e drammatici del piccolo: roba da “Per un pugno di
dollari”. Musica di Morricone. Lei: un fremito incontenibile del mento, un singhiozzo represso
e un gettare la testa all’indietro, una mano sulla fronte a rinfoderare nel fazzoletto nero una ciocca
grigia anzitempo, per cercare coraggio e un contegno… Lui: improvvisamente bloccato, ingessato,
tratteneva il respiro e presagiva il peggio. Lei, con un filo di voce tremula:
– Chicchi’… ehm… Chicchinu… dì “merda”.- un tremito la squassava tutta, ma non si mosse di
un millimetro. Occhi negli occhi. Un duello infernale. Epico.
Morricone poteva lasciare il posto a Wagner. Lui, meschinetto, era allibito: una parolaccia sulle
labbra materne?! Ma com’era possibile?! Lei, prendendo coraggio, ma la voce era un soffio:
– Sentito mi hai? Ti ho detto di dire “merda”!-
Chicchinu deglutì rumorosamente, guardò me in modo indecifrabile, quindi tornò a fissare la
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Capitolo I
LEI NON SA CHI SONO STATO IO
madre e, con compunzione, sussurrò: “Me – merda”. Lei, con una improvvisa e squarciante voce
di testa:
– Che cos’hai detto?! Ripeti!
– Lui, occhioni bassi e malinconici: “Merda”.
Lei si portò i pugni ai fianchi e prese a scuotere il capo:
– Ah! Ma bravo! Belle parole che dici! Davanti alla mamma e alla zia… Vergogna! Fila! A letto
senza cena! Così impari, brutto ineducato che non sei altro! –
Le ultime parole erano state sommerse dai suoi stessi singhiozzi e dal pianto accorato del piccolo
che correva via. Lei si era accasciata sulla madia vuota, lasciandosi finalmente andare allo sfogo
più completo:
– Povero figlio… – gemeva – Povero figlio mio…-
Io ero senza parole. Triste e sconcertata. Finii di mangiare la torta al gelato che mi ero portata da
casa, per merenda, e me ne tornai alla mia villetta. Più tardi, ripensando alla scena, qualche
lacrima mi cadde sull’aragosta al gratin che stavo preparando. Cenai di malavoglia.
Anni dopo, quando la situazione economica divenne meno drammatica, mia sorella preparò al
piccolo un tipico manicaretto nostrano: “S’olìa a sa sarda”
(Oliva alla sarda): prese una bella oliva e la mise dentro ad una quaglia, la quaglia la mise dentro
ad un tacchino, il tacchino dentro a un maialetto lattonzolo e, infine, il maialetto dentro ad una
pecora grassa. Poi andarono sul limitare del bosco vicino e scavarono una grande buca, nel terreno
argilloso, la rivestirono di mirto aromatico e vi posarono la pecora così farcita, quindi ricoprirono
con altro mirto ed altra terra la “tomba del manicaretto”.
Andarono a fare legna nel bosco, con la quale fare un bel falò sopra la buca.
(Questo è un antichissimo piatto sardo, detto “accarraxiàu” = sepolto: i sardi hanno inventato la
pentola a pressione seimila anni fa! E’ una prelibatezza super. Passata qualche ora, si scosta la
brace, si scopre la “tomba – forno” e si gusta il manicaretto.) Chicchinu e sua madre hanno provato
altre due volte a cucinare questo piatto. Non sono mai riusciti ad assaggiarlo: ogni volta che
tornavano con la legna, non si ricordavano più dove avevano sepolto la pecora…
Mia sorella è anche una donna molto cattolica e non ha mai usato contraccettivi. Sostiene:
“Perché andare contro i dettami del Papa? Quando vuoi fare certe cose con tuo marito e non vuoi
bambini, basta mandare i bambini dai nonni.”
E’ anche molto filosofa. L’altra sera, si guardava la tv insieme nella mia villa al mare; c’era un
servizio sulla fame nel mondo e lei fa:
– Ogni giorno muoiono 40mila bambini. Vedi che il Papa ha ragione a proibire gli anticoncezionali?
Così ne muoiono 40mila, ma ne nascono 150mila ogni giorno, tiè! –
Io questa filosofia non la capisco, però credo che sia molto profonda.
Vorrei terminare questo capitolo riportando testualmente una letterina, scritta da Chicchinu nei
periodi bui, a Gesù Bambino:
.
“ Caro Gesù Bambino,
quest’anno ti voglio chiedere cose da Arcore, anche se so già che sono soltanto sogni e queste cose
non le potrò mai avere.
1) Vorrei un paio di calze nuove, di quelle moderne che hanno anche la punta al posto del buco,
l’elastico, e che non si infilano subito tutte dentro gli stivali di gomma. E che non si buchino
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Capitolo I
LEI NON SA CHI SONO STATO IO
subito, anche dietro, dopo due o tre anni che le porto.
2) In casa mia siamo tutti vegetariani, mangiamo radici, perché “FA PIU’ SCENA” dice mio babbo
(la carne la mangia solo lui perché è ammalato: il dottore ha detto che la sua malattia si chiama
“FILL’E BAGASSA” ). Ma io vorrei assaggiare, almeno una volta, una bella bistecca di carne: anche
se è peccato mortale e mi potrei ammalare pure io. Eppoi, ho quasi dieci anni!
3) Vorrei un maglione di lana, anche se GIUSTAMENTE, come dice mio babbo, la neve ed il
vento freddo del mattino fanno tanto bene alla pelle. Ma la scuola è lontana e io ci vado a piedi,
perché qui in paese non ci sono ancora i taxi (quando li metteranno, mio babbo ha detto che mi
ci manderà. Ogni volta che glielo chiedo, mi ci manda…) Ogni mattina, perdo sempre le prime
due ore di lezione: perché il gelo mi fa sentire un pochettino male e, appena perdo i sensi nel
piazzale, mi portano piano piano a Sassari, all’ospedale “SIAMOPIENI”, in sala rianimazione.
Quando non mi fanno entrare al “SIAMOPIENI”, ci tocca andare fino ad Alghero, alla pia clinica
“VATTENEVIA” e allora perdo anche le prime tre ore. Meno male che io imparo subito! Intanto
ho imparato a cadere sul naso: così non batto più la testa. Però il naso se ne va su e giù per conto
suo e, anche quando una cosa mi piace molto, sembra che faccio lo schizzinoso.
4) Vorrei un albero di Natale di cioccolato, con tante polpette di carne appese e qualche pollo
(anche crudo ); e vorrei guarire da questa brutta malattia che mi fa venire voglia di mangiare.
Persino di sera! Anche se so benissimo che:
“ Non si dice FAME ma APPETITO e avere una di queste due cose è da maleducati.”
come dice mio babbo.
Tanti baci dal tuo amichetto
Francesco Cossiga
P.S. Perché, quando dico queste cose alla mia mamma, lei si mette a piangere?
DALLA SCUOLA ALLA PRESIDENZA
Francesco Cossiga, Chicchìnu miu, è sempre stato coerente e deciso. Quasi quanto Berlusconi,
Anna Falchi, Fini, Mastella, Buttiglione e Feltri. Appena terminata la scuola dell’obbligo e si trovò
a dover scegliere un indirizzo di studi, andò dritto come un fuso ad iscriversi all’Istituto per
Geometri. Poi a quello per Ragionieri; poi al Nautico; poi a Danza Classica… Tutto in una settimana.
Poi si prese un esaurimento nervoso e rimase in perenne stato confusionale. Gli venne
anche una malattia originale, che di solito colpisce soltanto le carrube e Castelli della Lega.
Sua madre lo iscrisse al ginnasio, insieme col suo cuginetto Enrico Berlinguer. Ignorò nonno
Bachisio e i suoi ricordi nautici. Tirava una brutta aria in Marina per i Cossiga: durante la guerra,
mio padre fece più danni del nemico. Aveva fatto affondare quattro dei nostri sommergibili:
si coricava ubriaco e pretendeva di dormire con l’oblò aperto.
Al ginnasio, Chicchìnu conobbe e frequentò un fascio di compagni oggi eccellenti o ex- eccellenti:
l’ex – symbol Lino Jannuzzi, già scopatore di Marina Ripa di Moana e capo di Giuliano
Ferrara (e basta.), che vendeva a tutti “in esclusiva” i compiti copiati da Biagi; Corrado Carnevale,
giudice di sedia al campetto da tennis: siccome i sardi sono velocissimi e non vanno d’accordo
nemmeno in due, le partite le giocava sempre uno da solo e questo amico giudice faceva vincere,
regolarmente, la pallina (quando si dice l’onestà…). Frequentò il rugginoso Paolo Guzzanti che,
non esistendo ancora la Terza Rete Rai né Minoli, era riuscito a far assumere figli e parenti lon-
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Capitolo I
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tani come presidi e bidelli (familiarmente, chiamati “bidè”, alla romana o all’amatriciana).
Chicchinu strinse anche di più i rapporti coi cugini Berlinguer Enrico (che negava di conoscerlo)
e Segni Mariotto (che già muoveva il naso meglio di lui) e cominciò, già da allora, a raccomandare
il nipote Gianfranco Agus, per le recite scolastiche del pomeriggio di Raiuno. Ogni settimana,
per ritemprarsi dalle fatiche scolastiche, insieme coi suoi amici noleggiavano un pullman
ed organizzavano delle gite. Il pullman, guidato da un certo Milvio Berlusconu di Arzachena,
arrivava puntualissimo: certe volte alle cinque, alle cinque e venti, alle sette e dieci… A volte
l’autista diceva che era stato frainteso e non arrivava per niente, oppure arrivava e diceva che gli
servivano seimila miliardi: i prezzi erano aumentati…
Mai una gita!
Decisero di cercare un altro pullman e si rivolsero ad un olivicoltore di Ossi, un certo Produ, costui
arrivava sempre puntualissimo, alle cinque! Loro arrivavano alla spicciolata, salivano a bordo,
e cominciavano a decidere la destinazione. Chi voleva andare di qua, chi voleva andare di là, chi
poco poco più a sinistra, chi in fondo a destra… Intanto, mangiavano, bevevano, e votavano. “ In
campagna!” “No, al mare!” “Giriamo cento città” “Andiamo dove ci sono le querce” “No, dove ci
sono gli ulivi”… e continuavano a bere e a cantare dei cori stonatissimi. Anche perché ognuno
cantava una canzone diversa. Alle 22, puntualmente, il buon Produ li scaraventava di malagrazia
giù dal pullman e ognuno tornava a casa sua.
Tutte le “gite” così.
Non riuscivano ad andare d’accordo. Da giovani.
Segni girava per i locali, beveva, mangiava, diceva: segni, e se ne andava.
Cossiga era entrato in un locale, aveva bevuto e mangiato, aveva detto :
cossiga e si era preso una botta in testa dal padrone:
“Che cazzo dici?! Chi ti conosce? Paga!”
Enrico Berlinguer, pur basso di statura, era sempre all’altezza della situazione e girava a testa alta,
perché era uno benvoluto e rispettato da tutti. Chicchìnu girava a testa alta per scoprire chi cazzo
fosse a lanciargli i vasi dai balconi e i gavettoni di piscia, ogni volta che usciva.
Invidioso di Enrico, per fargli un dispetto, decise di iscriversi alla DC (le tessere di GLADIO non
erano ancora pronte e quelle della P2 andavano via come il pane). Col solito piglio deciso,
Chicchìnu si inserì tra i dorotei. Poi decise per i fanfaniani, poi per i morotei, quindi, decisissimo,
si attestò coi basisti. Però gli piaceva anche la corrente gavianea. E non aveva neppure niente
che non andasse la corrente andreottiana… Si laureò in meno di quindici anni. Memorabile fu la
frase che rivolse a sua madre, in occasione della sua festa di laurea:
“Mamma, in che cos’è che mi sono laureato, ieri?”
E vennero i primi amorazzi. Mai consumati. Cambiava così spesso i luoghi e gli orari degli appuntamenti,
che le ragazza preferivano uscire con qualcun altro. Egli stesso non ricordava mai dove
avesse dato gli appuntamenti e non trovava mai nessuno. Intanto però si allenava a baciare. Lo
faceva con una di quelle bottiglie di latte dall’imboccatura larga; a volte le riempiva di carne macinata
tiepida e si produceva in altro tipo di allenamenti… più spinti.
Un giorno, casualmente, conobbe la futura moglie in un ascensore che si era guastato. Dopo sei
anni, le dichiarò il suo amore: “Ti amo per quello che sei.” Le disse. Era ricca.
Per fare carriera, non volendo legarsi alla mafia (anche perché la mafia non lo voleva), come tutti
i volenterosi fu costretto ad emigrare. Si trasferì a Roma. (Lui ha cercato di far trasferire prima i
vari Ministeri e poi il Quirinale a Sassari, ma non c’è stato verso.)
“Anche il cardinale di Cracovia, per fare il Papa, è dovuto emigrare.” gli hanno detto.
“ Ehmbé?! Che sono un semplice Papa, io?” ha risposto. Ogni tanto riaffiora il carattere di suo
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padre.
Dopo una breve, memorabile, parentesi al ministero degli Interni (qualche maligno disse che
avrebbero dovuto internare lui già da allora), eccolo finalmente PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA!!!
Già da Ministro degli Interni ha contribuito a cambiare molto: il colore delle auto della Polizia,
per esempio. “Ha tolto un poco del già scarso verde che c’è nelle città” hanno commentato le
solite malelingue. Tutti ad accusarlo ed a manifestargli contro. Fatelo voi! Quant’era malinconico
quando fu costretto ad ordinare ai celerini di riporre (o nascondere meglio) i manganelli! Certo!
C’erano stati migliaia di operai e studenti con le ossa rotte: teste rotte, braccia e gambe ingessate…
ma almeno non si drogavano! Prova tu a farti una pera sul braccio ingessato! Questa era PREVENZIONE!
Che fastidio mi dava vedere il nostro cognome scritto su tutti i muri con la “ K” e le
“SS”alla Terzo Reich! Va bene che siamo di origine tedesca: von Kossighen, e allora?! Mio nipote
parla e straparla in tedesco come in italiano. Invidia?
Se è per questo, parla anche un altro centinaio di lingue. A gesti. E comunque parla sempre
meglio di De Mita (quanto parla male quello! Parla male di tutti: persino di mio nipote e di
Berlusconi…)
Ogni tanto, mi telefona e ricordiamo i bei tempi del Quirinale: specialmente gli ultimi due anni.
Quanto gli manca! Che bello, svegliarsi alle quattro del mattino e chiamare subito Paolino
Guzzanti! Certe volte era stanco e allora sbagliava numero:
“Pronto? Sono coso, passami a coso… Il Presidente Cossiga sono, passami Guzzanti, ajò! Come?!
In che senso, scusi? Famiglia Merli? E che cosa ci fa lei in casa di Guzzanti a quest’ora? Come?!
Sbagliato numero? Io? Ma sbagliato sarà lei! Come?… in che senso? No, lì ci va lei! Maleducato!”
Parlato con Guzzanti, chiamava subito Sgarbi. Non si dicevano nulla per due ore, tranne insulti
e parolacce, ma chiudevano felici e contenti. Certe mattine, invece, chiamava Boncompagni. Non
col telefono, ma col CB
“Roger…roger… Andy Capp chiede di entrarre, cappitto mi hai?” “Vieni avanti cret… Andy”
“Roger… Andy Capp sonno. Ma te Gianni sei? Satiro due… Satiro due? Stavo dicendo, no? Scusa
il doppio senso, ma te Gianni sei? Di una questionne fondamentalle parlarre ti devvo. Te, brutto
maialle, da quando faccevvi il cruciverbone a Domenica in, che mettevi orizzontalli tutte quelle
fighette verticcalli, prometti sempre ma non mantieni mai! Mandane qualcunna anche qui. Qui
Rinale a voi studio centralle! Ah, ah! Beh, adesso chiudo, ché non devvo farre nulla, sennò faccio
tardi. Già ti richiammo. Ciao!”
Verso le sette e mezzo rifornimento di sassolini nelle scarpe, una controllatina al piccone (c’era
sempre un corazziere che glielo indicava, perché lui non aveva mai visto un picco dal vivo e a
volte picconava con una falce…). Altre mattine invitava a colazione qualche amico: Guzzanti,
Sgarbi, Jannuzzi o Gelli (uguale), Funari, Cirino Pomicino, Ridge, Dallas, Cip & Ciop… Alle sei
del mattino! Questi, in coma, con la cravatta nel caffellatte, gli dicevano sì, sì, e si credevano più
intelligenti di lui. Pian piano perse quell’abitudine e anche gli amici. A tutti offriva il pane tipico
sardo “la carta da musica”, ma quelli preferivano la carta di credito e scivolavano verso Craxi.
Tanto, a quei tempi, la musica la faceva sempre lui; e senza l’intermediazione di Berlusconi.
Poi cominciava ad esternare.
A tutte le ore. Sparava anche qualche… cavolata (scusate), tipo quando disse che “noi sardi ridiamo
dentro”. Sì, è vero, non siamo molto espansivi, ma in quanto a ridere dentro… non lo fa nemmeno
Flavio Carboni! L’amico di Gelli, Calvi, Berlusconi e Sindona. Sembra proprio una frase alla
Gianni Bella, quello che scrisse l’inno dei carcerati: “Non si può morire dentro”.
Ore 13 pranzo. Da solo. Ogni tanto mi invita, ma io odio le scene isteriche. Vi ricordate? Ogni
21
Capitolo I
LEI NON SA CHI SONO STATO IO
due minuti minacciava di sciogliere le Camere. A tavola, diventava rosso a macchia di leopardo
e strillava: “Io lo sciolgo quando voglio questo cazzo di burro! Io lo sciolgo come mi pare questo
nodo alla cravatta!” Poi, meno male, arrivavano Gigi e Andrea, Pippo Franco e Forattini per
scrivergli le nuove battute e, quando erano pronti, veniva Pingitore per fargli la regìa dei nuovi
sketch che avrebbe recitato in TV o alle conferenze stampa.
Ore 16 conferenza stampa. Ormai arrivavano sempre meno giornalisti; tutti in ritardo, svogliati,
scoglionati. Qualcuno si portava le parole crociate, qualcuno il videogioco tascabile, altri si radevano
col rasoio a pile o si tagliavano le unghie dei piedi e fischiettavano, mentre Chicchìnu parlava.
Non si finiva mai prima delle 18. Andati via i giornalisti (che si intruppavano all’uscita come
se stessero scappando da un incendio, e certe volte qualcuno si faceva pure male), il Presidente
cominciava a fare le sue telefonate private. Retaggio paterno: cambiava voce e seminava zizzania,
chiamava Craxi e lo faceva litigare con De Mita; Chiamava Spadolini e lo metteva contro Cirino
Pomicino… Poi lo sgamarono e dovette smettere.
Ore 20,10 si sedeva davanti alla Tv a vedere le sue partecipazioni speciali a Blob. Cenava. Da solo,
mestamente, si guardava nei TG, nelle apparizioni a reti unificate. Se non gli avevano dedicato
abbastanza spazio, metteva su una cassetta dove c’era solo lui e si applaudiva, sbandierava, saltava,
consumava dieci bombole – sirena, faceva la ola con l’accendino…
Ore 24 pigiama con le paperette, pancerina, fascette elastiche del Dr. Gibaud, poi si inginocchiava
per le preghierine. Lassù si voltavano dall’altra parte, chiedeva sempre le stesse cose: più
potere, più considerazione, più rispetto, meno tic… Quindi si abbracciava stretto stretto il
cinghialetto di peluche, guardava il ritratto di Pertini, che era l’unico ormai che lo stava a sentire,
dall’alto della sua cornice, e gli diceva:
– Caro Sandro, fatta te l’ho! Sonno diventatto più poppollare di te. La gente, anche se la chiamo
“comune”, benne mi vuole. Beh, ciau e buon etterno ripposo. –
In effetti, e non perché sono sua zia, Chicchinu è stato più popolare di Pertini.
Anche perché era a tutte le ore in televisione, come Berlusconi adesso. E, come Berlusconi, parlava
solo lui. (Non è nemmeno vero che con la moglie non si parlano, è che lei non vuole interromperlo.
Da quarant’anni!)
Pertini andava in televisione all’alba: vi ricordate Vermicino? La gente dorme. Eppoi, Chicchinu
è più tempista. Pertini andava sul luogo delle disgrazie DOPO che queste erano successe.
Chicchìnu arriva sempre PRIMA che succedano! Nooo?!
Diventa ministro degli Interni e subito rapiscono e uccidono Moro. Da Presidente, va in visita
ufficiale a New York e il giorno dopo ci fu il crollo di Wall Street; si sposta a S. Francisco e, appena
riparte lui: BRUUUM!!! il terremoto; va a Huston a vedere la partenza dello Shuttle: avarìa e
la navetta non decolla. Se ne torna disgustato in Italia, mentre gli americani si sfregano le mani e
altro… Viene in vacanza in Sardegna e scoppia un incendio globale, appena lui riparte per Roma.
Va in visita ufficiale in Inghilterra, saluta la Tatcher: una settimana dopo, quella perde le elezioni
e sparisce. Va a Berlino e crolla un muro… ma tanto era vecchio e anacronistico. Andate a rileggervi
i giornali: E’ TUTTO VERO!!! Che poi, Chicchìnu miu, era preveggente, altro che Silvan! Vi
ricordate di quando ha esternato il dubbio:
“ Ma, in caso di guerra, chi comanda? Io o il Presidente del Consiglio?”
E tutti a dire “ Ma sei scemo?! Ma quale guerra? Sono 45 anni che non ci sono guerre qui…” E
non ti salta fuori Saddam Hussein?!
22
Capitolo I
LEI NON SA CHI SONO STATO IO
La verità è che mio nipote è stato veramente un uomo di Stato. E quando succedeva qualche disgrazia
era perché lui c’era STATO… Certo, faceva anche qualche gaffe. Mi ricordo di quando
Umilio Fede aveva i suoi orgasmi, durante la guerra del golfo, che morirono anche alcuni militari
italiani, ma i piloti prigionieri Cocciolone e quell’altro tornarono salvi e Chicchìnu gli
ricevette al Quirinale. C’ero anch’io. Mio nipote ebbe poco tatto, perché, abbracciando i due
piloti, gridò: “CHI NON MUORE SI RIVEDDE!”
Povero Chicchinu miu! Quanto gliene hanno dette: “Parla troppo. Parla di tutto e non sa niente.
Parla di niente perché è l’unica cosa di cui sa tutto. Parlasse delle cose che sa su Gladio, la P2,
Moro, i servizi deviati, le stragi…”
La verità è che, da quando non è più Presidente, sembra il buon samaritano: ha cercato di salvare
il culo ad Andreotti, nominandolo senatore a vita; è andato a fare visita a Craxi, al Raphael, per
solidarietà e per festeggiare il voto compatto del vecchio parlamento contro l’autorizzazione a
procedere nei suoi confronti: hanno brindato con Berlusconi, Ferrara e Intini e poi l’hanno aiutato
a fare le valige…
Adesso è amico di Fini e Berlusconi: sentirete ancora parlare di lui.
Anche se: dagli amici mi guardi Iddìo…
Prima di chiudere, voglio fare le ultime precisazioni: non è vero che se verrà rieletto Presidente
(come vogliono i suoi amici), i tiratori scelti dei NOCS hanno l’ordine di sparargli a vista.
Non è vero che, da piccolo, quando giocava a nascondino coi compagnetti, una volta è rimasto
per sette giorni e sette notti nascosto dietro un cespuglio: perché NESSUNO si era sognato di
andarlo a cercare!
Non è vero che è permaloso.
Non è vero che è lunatico, come diceva Montanelli. Non è vero che è matto e malato di protagonismo.
Ha solo un debole per i colapasta e per gli specchi, casa sua ne è piena.
Se avesse degli amici veri, ve lo potrebbero confermare.
E comunque, se non ce la fa a tornare al Quirinale, può sempre diventare Presidente Onorario de
SU POPULU SARDU.
Tutto questo per ristabilire un minimo di verità (e per dimostrare che sono più brava a scrivere
di quella smorfiosa di Grazia Deledda).
Con affetto da zia Peppa.

cossiga1

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Porcate su porcate di Mafiolo

GIù LE MANI DA MONTANELLI – TRAVAGLIO CONTRO LE “APPROPRIAZIONI INDEBITE” E I REVISIONISMI STORICI DELLA FIGURA DI INDRO: ECCO TUTTA LA VERITà SUL DIVORZIO CON BERLUSCONI – FELTRI? “COME UN FIGLIO DROGATO. ASSECONDA IL PEGGIO DELLA BORGHESIA”…
Travaglio Montanelli

Esce in questi giorni, nel centenario della nascita del grande giornalista, la nuova edizione di “Montanelli e il Cavaliere. Storia di un grande e di un piccolo uomo” (prefazione di Enzo Biagi, Garzanti, pp.490, 18 euro) di Marco Travaglio, con un saggio introduttivo inedito dell’autore che raccoglie e smonta le “appropriazioni indebite” della figura di Montanelli tentate, a destra come a sinistra, dopo la sua morte (22 luglio 2001). A cominciare dall’opera di revisionismo tentata da giornalisti e “storici” berlusconiani sul divorzio fra Montanelli e il Cavaliere dopo la famosa irruzione di Berlusconi nella redazione de Il Giornale l’8 gennaio ‘94, vigilia della “discesa in campo”. A questo proposito anticipiamo alcuni brani del saggio:

Montanelli e il Cavaliere
Non essendo più, dal 1990, l’editore del Giornale, avendolo girato al fratello Paolo, Silvio Berlusconi non aveva alcun titolo per arringarne i giornalisti. Dunque violò platealmente la legge Mammì che vieta ai proprietari di tv di possedere giornali. Dunque confessò che il passaggio di proprietà fra lui e il fratello minore Paolo era stato puramente fittizio.

Dunque avrebbe dovuto subire la sanzione della revoca immediata delle concessioni televisive alle tre reti Fininvest. Inoltre Paolo Granzotto scrive (nella sua biografia di Montanelli, ndr) che, “se Montanelli non l’avesse voluta ammettere (l’incursione di Berlusconi, ndr), gli sarebbe bastato dire alla redazione di negare a Berlusconi il permesso di intervenire all’assemblea. E la redazione, soprattutto quella redazione, avrebbe eseguito”.
LA Principessa Tiana

Già, peccato che Montanelli quel permesso lo negò. Me lo ha rivelato alcuni anni fa un testimone oculare: l’allora capo del Comitato di redazione, Novarro Montanari. “Quel pomeriggio – racconta Montanari – fui raggiunto sul cellulare da Antonio Tajani (ex capo della redazione romana, appena divenuto portavoce del Cavaliere, n.d.a.), che mi disse: ‘Siamo qui per caso con Berlusconi in Cordusio: che ne diresti se il Cavaliere salisse in assemblea?’.

Lo fermai: ‘Aspetta, scendo a chiedere al direttore’. Scesi, chiesi, e il direttore – davanti al condirettore Biazzi Vergani – rispose: ‘Non se ne parla nemmeno’. Risalii al quinto piano per richiamare Tajani, ma trovai già Berlusconi in assemblea per arringare i redattori”.
Indro Montanelli

Del resto, come avrebbe mai potuto Montanelli accettare che un signore che non era nemmeno il suo editore tentasse di rivoltargli contro la sua redazione, incitandola a ribaltare la linea politica del direttore, per giunta in sua assenza, promettendo in cambio investimenti e benefit? Perché questo esattamente avvenne l’8 gennaio 1994 nella sede di via Gaetano Negri, come poi Montanelli raccontò mille volte senza che nessuno potesse smentirlo, almeno finché fu in vita.

L’ultima volta fu il 23 marzo 2001, quattro mesi prima di morire, quando Indro telefonò in diretta a Il raggio verde di Michele Santoro per smentire le bugie appena raccontate da Feltri (le stesse poi fatte proprie da Granzotto nel libro) e subito smontate dal sottoscritto: “Io intanto voglio ringraziare Travaglio, il quale ha detto l’assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che lui ha dato degli avvenimenti è quella esatta…

Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò il Giornale, e noi fummo felici di venderglielo – perché non sapevamo come andare avanti – su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario del Giornale; io, direttore, sono il padrone del Giornale, nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due.
marco travaglio

Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quel che stava per accadere. Cercai di dissuaderlo d’accordo con Confalonieri e con Gianni Letta: nemmeno loro volevano che il Cavaliere entrasse in politica. Ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise, mi disse: ‘Da oggi il Giornale deve fare la politica della mia politica’. Io gli dissi: ‘Non ci pensare nemmeno’.

Allora lui riunì la redazione a mia totale insaputa, come ha raccontato Travaglio, e disse: ‘D’ora in poi il Giornale farà la politica della mia politica’. E a quel punto me ne andai. Cosa dovevo fare? Questo Feltri lo sa!”.

Parole ribadite qualche giorno più tardi in un editoriale sul Corriere della sera: “Riunita a mia insaputa la redazione, egli (Berlusconi, n.d.a.) l’avvertì, in parole povere, che, se volevano più quattrini anche nella busta-paga, non avevano che da mettersi al servizio dei suoi interessi politici, ora che aveva deciso di scendere in lizza. La risposta della redazione furono 35 lettere di dimissioni”.
Quel che accadde quel fatidico 8 gennaio 1994 segna uno spartiacque indelebile nella storia dell’editoria e della politica italiana. Ecco perché gli house organ e i trombettieri berlusconiani seguitano, a tanti anni di distanza, a negarlo contro ogni evidenza. (…)

Il 4 settembre 2003, due anni dopo la morte di Montanelli, Berlusconi dichiarò a The Spectator: “Credo ci sia un elemento di gelosia in ognuna di queste persone perché non riesco a trovare un’altra spiegazione. Tutti questi giornalisti, Biagi, Montanelli, erano più anziani di me e credevano di essere loro quelli importanti nel nostro rapporto. Poi il rapporto si è capovolto e io sono diventato ciò che loro stessi volevano essere…”.

E lo ripetè il 23 ottobre 2006: “Montanelli era geloso”. Poi il 9 aprile 2008, nel pieno dell’ultima campagna elettorale, Berlusconi usò addirittura Montanelli come testimone postumo della propria autocelebrazione come editore tollerante e amante del dissenso. Antonello Piroso, a Omnibus (La7), gli rammentò l’editto bulgaro contro Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi.

Il Cavaliere rispose piccato: “Io non ho mai fatto licenziare in vita mia nessuno: tanto meno in Rai dove io non ho mai messo il naso e dove chi lo ha fatto lo ha fatto contro la mia volontà. Biagi ha lasciato la Rai contro la mia volontà. Non volevo assolutamente che si arrivasse alla decisione. Io ho insistito fino all’ultimo affinché Biagi rimanesse in Rai, ma lui ha preferito una lauta buonuscita.

Lei si vergognerebbe di avere una trasmissione come Annozero: non la permetterebbe mai. Ma io sono l’editore più liberale mai comparso sulla scena italiana. Basta domandarlo ai miei giornalisti e a Indro Montanelli”. Il quale, purtroppo, non può più rispondere. E nemmeno Biagi.(…)

Molto comica, è l’appropriazione tentata da Vittorio Feltri sul quotidiano «Libero» il 21 luglio 2006, nel quinto anniversario della scomparsa di Indro, con un editoriale dal titolo: “Se Montanelli fosse vivo lavorerebbe a Libero”. Uno scoop sensazionale, anzi paranormale: evidentemente Feltri è riuscito a comunicare con l’Aldilà e a strappare all’anima di Montanelli quella clamorosa confidenza.

Magari con l’ausilio del Sismi e dell'”agente Betulla”, al secolo Renato Farina, che di Libero in quel momento è vicedirettore, indagato (patteggerà poi 6 mesi di reclusione) per favoreggiamento nel sequestro di Abu Omar. Confidenza davvero sorprendente, se si pensa che Feltri sostituì spudoratamente Montanelli appena cacciato dal Giornale (…).
Enzo Biagi

Che cosa pensasse Montanelli di Feltri, lo disse papale papale al Corriere il 12 aprile 1995: “Il Giornale di Feltri confesso che non lo guardo nemmeno, per non avere dispiaceri. Mi sento come un padre che ha un figlio drogato e preferisce non vedere. Comunque, non è la formula ad avere successo, è la posizione: Feltri asseconda il peggio della borghesia italiana. Sfido che trova i clienti!”.

Perché mai, se pensava così da vivo, dovrebbe aver cambiato idea da morto? Chi vorrà inoltrarsi nella lettura di questo libro, troverà i violenti attacchi sferrati da Libero contro Montanelli (…).

Poi, nel 2006, confidando nell’amnesia generale e soprattutto nell’impossibilità di Montanelli a rispondergli, ecco la furbata di Feltri: “Oggi Montanelli scriverebbe su Libero”. Ma certo, come no: pur di affiancare la sua firma a quelle di Feltri e Betulla, quel diavolo di un Indro sarebbe capace di resuscitare…

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Andrea Camilleri e Saverio Lodato

Lo chef consiglia di Andrea Camilleri e Saverio Lodato

Rai, tra mandanti e picciotti. La cacciata di Vauro è solo un avvertimento

Camilleri, Lei concluse una rubrica con l’augurio: «lunga vita ai vignettisti». Vauro sospeso dalla Rai per una vignetta; Santoro a Canossa con tanto di trasmissione «riparatrice», l’autodafé da inquisizione mediatica. Quando il boss chiama, questa è la verità, picciotto risponde. E i picciotti in giro non scarseggiano. Ogni giorno la Rai dovrebbe fare una trasmissione «riparatrice» perché manda in onda, in ogni edizione di ogni Tg, mandante e picciotti. Anche ai tempi di Enzo Biagi, c’erano mandante e picciotti. Sappiamo come finì.

La scusa per l’ostracismo ai giornalisti scomodi è quella che la Rai è un servizio pubblico che certe cose non può permettersele. Ora si sa benissimo che il nuovo direttore generale ha avuto il gradimento di Berlusconi e che i direttori dei Tg sono stati nominati dallo stesso Berlusconi in un incontro privato a casa sua. Ne è venuto fuori che il capo del governo e proprietario di Mediaset controlla, attraverso i suoi uomini, due reti su tre del servizio che, ancora fintamente, chiamano pubblico. Sono sicuro che un giorno moriranno sopraffatti dalla loro stessa ipocrisia. E naturalmente, perché Berlusconi, l’Unto del Signore, si crede in possesso della verità come un ayatollah terrorista, non può tollerare la minima critica al suo operato. Ed ecco il diktat, prontamente eseguito, contro Vauro. Si apprestano a prendere provvedimenti anche contro Milena Gabanelli. Insomma, la parola d’ordine è: soffocare tutte le voci non allineate ai voleri del boss. La cacciata di Vauro è un avvertimento: il colpirne uno per educarne cento, di brigatistica memoria. Lei dice che è di stampo mafioso? Andrebbe chiesto, con il tavolino a tre piedi, all’ex stalliere condannato all’ergastolo per tre omicidi, che a lungo soggiornò ad Arcore e che Berlusconi definì un eroe.

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Again

Epurazioni e anatemi, 15 anni in tv all’ombra del Caudillo
di Marco Travaglio

Nella Spagna di Francisco Franco e nella Serbia di Slobo Milosevic, l’opposizione si riuniva nei teatri agli spettacoli di satira. Che veniva tollerata da quei regimi, come estrema valvola di sfogo. Nel regimetto ottuso del ducetto italiota, celebre nel mondo (ma non in Italia) per aver fatto fuori in 15 anni i migliori giornalisti, da Montanelli a Biagi, da Santoro a Beha a Massimo Fini, non si tollera nemmeno la satira.

Quella contro Vauro è soltanto l’ultima di una lunghissima serie di censure ed epurazioni di autori e attori satirici in tv (sui giornali, l’unico precedente è la ridicola querela di D’Alema a Forattini, poi fortunatamente ritirata). Serie che nella Seconda Repubblica (nella Prima gidano ancora vendetta i caso di Dario Fo en Franca Rame, nonché di Beppe Grillo) è stata inaugurata nel 2002 dall’editto bulgaro che colpiva anche Daniela Luttazzi, additato al mondo (ma soprattutto a Saccà) come “criminoso” e mai più visto dalle parti della Rai (tornò due anni fa a La7, giusto il tempo per essere riepurato alla vigilia di una puntata sul Papa e la Chiesa, con la scusa di una battuta su Giuliano Ferrara). Nel 2003, in rapida successione, toccò a Sabina Guzzanti, che si vide chiudere il programma «Raiot» dopo una sola puntata (record di ascolti per Rai3) grazie al trio Annunziata-Cattaneo-Ruffini; e a Paolo Rossi, invitato e poi disinvitato da “Domenica In” per aver osato proporre la lettura di un discorso di Pericle, noto sovversivo, sulla democrazia ateniese.

Nel 2004, sempre regnante Al Tappone, l’apposito Del Noce provvide ad annullare una comparsata di Paolo Hendel nel varietà del sabato sera perché il comico toscano minacciava addirittura una battuta su Vespa e una su Bondi. Fu allora che il popolare Noisette, scavalcando Milosevic, annunciò all’inclita e al colto che «la satira politica è estranea al piano editoriale di Rai1» perché “da noi non si parla male di nessuno».

Memorabile, nel 2005, la telefonata di Gasparri a “Che tempo che fa” per protestare con Simona Ventura che s’era azzardata a mandare in onda un servizietto satirico sul suo conto. L’altra sera il sincero democratico Maroni ha concesso il bis con Maurizio Crozza, già bersagliato ai tempi di La7 per aver imitato nientemeno che il Papa. Altri anatemi, negli anni, hanno fulminato Dario Fo e Franca Rame (il loro “Anomalo bicefalo”, denunciato da Dell’Utri che poi ha perso la causa, andò in onda la prima sera su Sky senza l’audio), Corrado Guzzanti (per il suo irresistibile Bossi-Hannibal Lecter) e altri celebri tupamaros come Antonio Cornacchione (“povero Silvio”), Rosalia Porcaro (l’operaia Veronica), Paola Minaccioni (che si era permessa di parodiare mamma Rosa vergine e martire), Francesco Paolantoni e i conduttori di talk satirici come Fabio Fazio e Serena Dandini.

Punito con continue sanzioni disciplinari anche il responsabile della satira di Rai3, Andrea Salerno, colpevole di collaborare con simili figuri e di chiamare censure la censure. Ognuna delle quali veniva accompagnata da una giustificazione, ancor più ottusa della censura che intendeva coprire: satira senza contraddittorio, satira blasfema, satira che fa informazione, satira inopportuna, satira eversiva, satira senza par condicio, satira poco riformista, satira volgare, satira nemica del dialogo, satira a senso unico, satira che cerca il martirio.

Roba da far rivoltare, anzi scompisciare nella tomba Aristofane e Rabelais. Vauro, satiricamente in vacanza a San Pietroburgo (che lui chiama ancora Leningrado), si starà sbellicando a sua volta. «L’invidia del cretino per l’uomo brillante – diceva Max Beerbohm – trova sempre qualche consolazione nell’idea che l’uomo brillante farà una brutta fine». E da noi la madre dei cretini è sempre gravida. Un po’come il cavallo di Viale Mazzini.

°°° Caro Marco, so che mi leggi… sono felice che abbia usato una mia terminologia specifica (regimetto, ducetto italiota…). Sono meno contento che tu abbia accomunato a Fo, Rame, Paolo Rossi e Grillo un bel po’ di scimmiette comicarole senza alcun pregio, dimenticando che io sono stato IL PRIMO EPURATO da Mafiolo nel 1990 e che facevo sedici/diciotto milioni di telespettatori. Non i programmi (Drive in, Striscia) ma io personalmente nei miei pezzi: come da tabulati Auditel minuto per minuto. Tutti quelli che hai accostato a noi comici non li faranno nemmeno tutti insieme in 90 anni l’ascolto che io ho fatto ogni sera per quasi quattro anni. Molti di loro, infatti, a cominciare da luttacci, sono stati cacciati perché non li guardava nessuno, non certo per censurarli. Erano semplicemente inguardabili e antieconomici. Se la prossima volta ti ricordi di distinguere, non mi dispiacerebbe. Grazie.

forza-mafia2

santoro3

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OKKIO al regime!

da Dagospia:
MASI STRATEGY SU SANTORO: NON CADERE NELLA TRAPPOLA DEL MARTIRIO – PIÙ VA IN ONDA PIÙ SILVIO GODE: CHE SIA IL PD A MOZZARE LA TESTA DI MICHELE – IL FUTURO DI SANTORO: STOP AD ANNOZERO E DOCU-FICTION D’ASSALTO CON PARENZO?

1 – Il neo direttore generale Mauro Masi ha allertato i dirigenti di viale Mazzini di stare “attentissimi ad evitare una battaglia sulla libertà d’informazione” sul sempiterno caso Santoro. “Libertà d’informazione che non è minimamente in discussione”.
Masi ha poi aggiunto di non cadere nella “trappola del martirio”, quando in realtà potrebbero esserci violazioni di norme contrattuali (ad esempio l’equilibrio dell’informazione Rai).
Silvio Berlusconi

Fin qui Masi. Ma Dagospia sa da fonte ben informata che oggi pomeriggio l’ufficio legale di Viale Mazzini avrà da esaminare le vignette di Vauro, soprattutto quella sulle bare d’abruzzo e che ha innescato uno tsunami di indignazione.

Ma a parte i “terribilisti” Cicchitto e Gasparri, la strategia di Berlusconi è completamente ribaltata rispetto ai tempi del “editto di Sofia” (che criminalizzò Biagi, Luttazzi, Santoro). Infatti, l’offensiva del quartetto dell’apocalisse composto da Santoro, Vauro, Travaglio e Di Pietro va a scippare voti, in vista delle Europee di giugno, non tanto al Pdl quanto al partito di Franceschini a favore dell’Italia dei Valori.

Quindi Berlusconi ha tutto da guadagnare elettoralmente dalla presenza in video di Santoro e compagni. Questo è il motivo per cui da parte della dirigenza Rai c’è questo atteggiamento d’attesa sulla riva del fiume aspettando che sia il Pd a chiedere la testa di Santoro.

2 – MASI GRAND COMMIS INTENDE SEGUIRE I REGOLAMENTI…
Paolo Conti per il “Corriere della Sera”

Il caso Santoro con la sua puntata sul terremoto di giovedì scorso e le polemiche aperte dal centrodestra, Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini in testa, segnano l’esordio ufficiale di Mauro Masi, neo direttore generale, alla guida della Rai. La serata di «Annozero» verrà rivista a viale Mazzini da molti consiglieri di amministrazione che non l’hanno seguita in diretta: ma non ci sarà riunione operativa fino alla settimana prossima. Così come non dovrebbe esserci una convocazione della commissione di Vigilanza.
Dario Franceschini

Toccherà quindi a Masi, come responsabile editoriale della tv pubblica, agire. E sono in molti ad attendere la sua mossa per scoprire metodi e stile del successore di Claudio Cappon. In base agli accordi sottoscritti nel 2006 tra Michele Santoro e l’allora direttore generale Alfredo Meocci, «Annozero» non è «riconducibile» a nessuna direzione di testata o rete. Santoro ha il grado da direttore e di fatto risponde direttamente alla direzione generale, fatta eccezione per il rispetto della par condicio.

In quel caso (anomalia assoluta) «Annozero» non si ricollega alla testata di Raidue, il Tg2, ma al Tg3 guidato da Antonio Di Bella. Però non c’è alcun controllo editoriale sulla scaletta né sulla «filosofia» della puntata. Masi ha deciso di non legare la vicenda alla questione della libertà di espressione.

Da «grand commis» dello Stato intende attenersi a regolamenti, norme e soprattutto ai contratti che legano Michele Santoro e lo stesso Vauro alla Rai. C’è chi parla di una lettera di richiamo di Masi, che potrebbe addirittura arrivare prima della puntata di giovedì. O di una sollecitazione ad ospitare altre voci sul terremoto: un po’, si dice, come accadde quando Santoro decise di mandare in onda nel maggio 2007 il video sui preti pedofili e Claudio Cappon sollecitò la presenza in studio di monsignor Rino Fisichella. Però in quel caso si trattò di un accordo tra i due prima della puntata: qui si tratterebbe di una «riparazione» richiesta.
Mauro Masi

Ma non sono escluse soluzioni più radicali. Se Masi individuasse una violazione contrattuale o delle norme interne Rai, potrebbe immaginare – dice chi gli è vicino – anche una risoluzione contrattuale. In quanto alle vignette di Vauro, Masi ha fatto sapere che «con i morti non si scherza».

I direttori delle testate giornalistiche Rai hanno ricevuto tutti una telefonata di Masi, proprio venerdì. Un elogio al lavoro sul terremoto e una sollecitazione a riferire sui complimenti espressi dalla direzione generale alla Protezione civile. Ed è leggibile proprio lì la prima risposta del neo­direttore generale alla puntata di Santoro: il pieno appoggio alla struttura diretta da Guido Bertolaso, messa in discussione da «Annozero».

Una posizione ripetuta la domenica di Pasqua con una seconda dichiarazione dello stesso Masi controfirmata dal presidente Paolo Garimberti («pieno e forte sostegno alle azioni svolte dalla Protezione civile») mentre si annunciava l’avvio di «tutti gli approfondimenti previsti dalla normativa vigente e dai regolamenti aziendali» per arrivare a un giudizio aziendale su «Annozero».

Intanto anche nella sinistra del Cda qualcuno è freddo con Santoro. Si chiama Giorgio van Straten, consigliere in quota Pd. Nessuna difesa a spada tratta. Anzi: «L’informazione del servizio pubblico è pluralista non perché ognuno dice ciò che gli pare ma perché complessivamente dà conto delle diverse posizioni». Invece Nino Rizzo Nervo, stessa area: «Non riesco a capire cosa significhi un’indagine Rai. Una trasmissione può piacere o meno. Ma non può esistere un ‘colpevole’. Alcune cose di ‘Annozero’ possono convincere, altre meno. Ma un servizio pubblico come la Rai è sempre uno spazio di libertà. Altrimenti non è più un servizio pubblico». Mercoledì 22 si riunirà il Cda Rai. Chissà cosa sarà accaduto nel frattempo.
Michele Santoro

3 – ORA SANTORO VUOLE METTERSI IN PROPRIO…
Fabrizio D’Esposito per “Il Riformista”

La scena risale a qualche settimana fa. Il direttore di Raidue Antonio Marano, leghista di osservanza maroniana, è chiuso nel suo ufficio e sembra quasi dettare una sorta di memorandum riservato al suo successore, che peraltro ancora non c’è: «Per la prossima stagione, Santoro ha già deciso che non vuole fare più Annozero. Per lui è diventato troppo faticoso e poi ha intenzione di liberarsi di Travaglio, che ormai offusca il suo ego, e mettersi a fare l’autore di docu-fiction».

Una notizia clamorosa, vista l’autorevolezza della fonte: il direttore della seconda rete del servizio pubblico. Ma che soprattutto offre un’ulteriore chiave di lettura alle solite e violente polemiche sulla trasmissione di Raidue, stavolta sul terremoto abruzzese. Le feroci critiche ai soccorsi hanno compattato un vasto fronte anti-santoriano: Berlusconi, Fini, l’opposizione del Pd, i nuovi vertici della Rai. Al punto che dai piani alti di Viale Mazzini si ammette apertamente: «Da settembre Annozero non sarà nel palinsesto, a prescindere da chi prenderà il posto di Marano».
Antonio Di Pietro

Una previsione, questa, rinforzata dall’annuncio di Paolo Garimberti e Mauro Masi, rispettivamente presidente e direttore generale dell’azienda radio-tv, di avviare una procedura interna contro il conduttore, non senza aver ribadito in una nota «pieno e forte sostegno alle azioni svolte dalla Protezione civile».

Torniamo, dunque, alle parole di Marano ante-terremoto, «Santoro avrebbe già deciso di non fare più Annozero», e rileggiamole alla luce di quanto successo nella puntata di Giovedì Santo, la cui eco si è trascinata fino a ieri, Lunedì in Albis. Ecco cosa racconta a microfoni spenti un importante e informato esponente di Viale Mazzini: «Il carattere di Santoro è un perfetto mix di egocentrismo, calcolo e risentimento. Lui sta alzando il tiro perché vuole trattare la sua uscita dalla Rai da una posizione di forza».
Vauro Senesi

Via dalla Rai, quindi, per dedicarsi alle docu-fiction. Un progetto già accarezzato dal giornalista salernitano all’inizio dell’estate del 2007. In quel periodo a Palazzo Chigi c’era Prodi e Santoro aveva ripreso a lavorare da un anno alla Rai dopo l’editto bulgaro berlusconiano del 2001. L’ex eurodeputato del listone ulivista comincia una trattativa con il dg Claudio Cappon e il suo vice Giancarlo Leone. L’allora presidente Claudio Petruccioli viene tenuto al corrente regolarmente degli incontri.

Santoro vuole imitare Bruno Vespa: dimettersi dalla Rai e spuntare da esterno un ricco contratto di collaborazione per produrre docu-fiction. L’idea è fortemente sponsorizzata da Sandro Parenzo, il patron di Telelombardia e della società di produzione Videa. I due, Santoro e Parenzo, trattano per mesi con Cappon e Leone. Poi tutto si arena. L’affare sfuma per il ripensamento dello stesso conduttore. Forse ha avuto garanzie sicure sul prosieguo di Annozero. Forse non vuole mollare il gruppo di giornalisti che da sempre è con lui.
Marco Travaglio

A distanza di due anni, l’exit strategy di Santoro sarebbe la stessa: lasciare Viale Mazzini e continuare in proprio da collaboratore esterno. E stavolta sono in molti a giurare che non ci saranno dietrofront dell’ultimo momento. Anche perché il clima politico è mutato profondamente. Racconta un’altra fonte autorevole: «Mai come questa volta Santoro ha tutti contro e lui vuole evitare di isolarsi politicamente. Santoro ha sempre fatto la minoranza all’interno di una maggioranza, come quando governava il centrosinistra. Non gli interessa una minoranza da riserva indiana con Di Pietro, De Magistris e Travaglio, perché non lo porterebbe da nessuna parte».

In pratica l’esatto opposto di quanto denunciato ieri da Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera: «Annozero è una trasmissione che ha obiettivi politici chiarissimi. Essa è collegata a un gruppo politico-giudiziario che ha come terminale giornalistico Marco Travaglio e come punto di riferimento politico Antonio Di Pietro. In mezzo c’è un’operosa componente giudiziaria, che ha punti di riferimento in alcune procure. L’obiettivo di questo network è quello di destabilizzare il quadro politico».

All’esponente del centrodestra ha replicato il dipietrista Felice Belisario: «Cicchitto è davvero l’ultima persona che può venirci a parlare di libertà di informazione e indipendenza della stampa. Da fedele affiliato alla loggia P2, Cicchitto aveva sottoscritto il programma di Gelli che prevedeva, tra le altre cose, l’eliminazione della libera informazione e il perseguimento di fini opposti a quelli previsti dalla nostra Costituzione. Non esiste alcun teorema, alcun complotto politico-giudiziario, altrimenti Berlusconi non avrebbe vinto per tre volte le elezioni». Sia come sia, Santoro dovrebbe essere alla vigilia del suo congedo da giornalista della Rai. Difeso solo dalla radicale Emma Bonino e dal presidente della Vigilanza, Sergio Zavoli. E, ovviamente, da Antonio Di Pietro.

°°° Come vedete, cari amici, la P2 e la mafia stanno tentando in tutti i modi di cancellare definitivamente la scarsissima informazione che c’è in televisione. Soliti giochi sporchi: divide et impera, mettere gli uni contro gli altri… Ah! Se tutto il csx si desse una svegliata e si compattasse e se i vertici chiedessero IMMEDIATE DIMISSIONI di questi banditi ed elezioni a settembre!!! Ma chi le sveglia quelle teste di cazzo?

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Il tatto del regime

Scajola, stupido colpevole della morte di Marco Biagi, spinto dal suo proprietario Mafiolo e dagli uffici stampa di regime, viene mandato personalmente a dire, con mooolto tatto, alla moglie che suo marito è morto. Scajola si fa accompagnare a casa dei Biagi dal suo autista e dalla sua scorta (scorta che negò a Biagi), scende dalla limousine, si mette sotto la finestra e grida: “Vedova Biagi! Vedova Biagiii!”.
Quella si affaccia e fa: “Io sono la signora Biagi, ma non sono vedova!”.
“Scommettiamo?”

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