Consigli per gli acquisti

Premier a cena coi giudici costituzionali, è polemica

Il 6 ottobre ci sarà l’udienza della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano, ma intanto è già polemica dopo la notizia di una cena riservata del premier e del ministro Alfano a casa del giudice costituzionale Luigi Mazzella. Alla serata hanno partecipato un altro componente dell’Alta Corte Paolo Maria Napolitano, oltre a Gianni Letta e al presidente della commissione affari costituzionali Carlo Vizzini. La cena sarebbe avvenuta a maggio ma ne ha dato notizia ora l’Espresso: il giudice ha confermato dicendo che lui a casa invita chi vuole e ha negato che si sia parlato del Lodo Alfano. Continua a leggere

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Si riparte con la mafia, grazie Silvio!

INCHIESTA/ IL DOPO TERREMOTO (Repubblica)
Abruzzo, l’uomo che ha avviato i lavori è legato ai prestanome di Ciancimino
L’Aquila, le amicizie pericolose
all’ombra della prima new town

dal nostro inviato ATTILIO BOLZONI

Un depliant che illustra la new town

case

L’AQUILA – Nel primo cantiere aperto per ricostruire L’Aquila c’è un’impronta siciliana. L’ha lasciata un socio di soci poco rispettabili, uno che era in affari con personaggi finiti in indagini di alta mafia.

I primi lavori del dopo terremoto sono andati a un imprenditore abruzzese in collegamento con prestanome che riciclavano, qui a Tagliacozzo, il “tesoro” di Vito Ciancimino.

Comincia da questa traccia e con questa ombra la “rinascita” dell’Abruzzo devastato dalla grande scossa del 6 aprile 2009. Comincia ufficialmente con un caso da manuale, una vicenda di subappalti e di movimento terra, di incastri societari sospetti. Tutto quello che leggerete di seguito è diventato da qualche giorno “materia d’indagine” – un’informativa è stata trasmessa dalla polizia giudiziaria alla procura nazionale antimafia – ma l’intreccio era già rivelato in ogni suo dettaglio da carte e atti di pubblico accesso.

Partiamo dall’inizio. Dai fatti, dai luoghi e dai nomi di tutti i protagonisti e dei comprimari di questo primo lavoro per il terremoto d’Abruzzo. Partiamo dalla statale 17, la strada tortuosa e alberata che dall’Aquila passa per Onna, il paese che non c’è più, il paese spazzato via alle 3,32 di quasi ottanta notti fa. È qui, sotto la collina di Bazzano, dove sorgerà la prima delle venti “piccole città” promesse da Berlusconi agli aquilani per la fine di novembre – sono le famose casette, i 4500 alloggi per ospitare fra i 13 mila e i 15 mila sfollati – che è stato dato il via in pompa magna alla grande ricostruzione. È qui che sarà costruita la prima “new town”. È qui che hanno alzato il primo cartello: “Lavori relativi agli scavi e ai movimenti di terra lotto Ts”. Ed è qui che l’imprenditore Dante Di Marco, alla fine di maggio, ha cominciato a spianare la collina con le sue ruspe e i suoi bulldozer. Così si chiama l’amico degli amici siciliani che nascondevano in Abruzzo i soldi di don Vito, l’ex sindaco mafioso di Palermo.

Dante Di Marco ha 70 anni, ha amicizie importanti in tutto l’Abruzzo, è residente a Carsoli che è un piccolo paese fra l’Aquila e Roma. L’appalto per rosicchiare la collina di Bazzano e sistemare una grande piattaforma di cemento – è là sopra che costruiranno quelle casette sostenute dai pilastri antisismici – è stato aggiudicato da un'”associazione temporanea di imprese”. La capogruppo era la “Prs, produzione e servizi srl” di Avezzano, la seconda ditta era la “Idio Ridolfi e figli srl” (anch’essa di Avezzano, sta partecipando anche ai lavori per la ristrutturazione per il G 8 dell’aeroporto di Preturo), la terza era la “Codisab” di Carsoli, la quarta era l’impresa “Ing. Emilio e Paolo Salsiccia srl” di Tagliacozzo e la quinta l'”Impresa Di Marco srl” con sede a Carsoli, in via Tiburtina Valeria km 70.

L’impresa Di Marco è stata costituita nel 1993, ha una ventina di dipendenti e un capitale sociale di 130 mila euro, l’amministratore unico è Dante Di Marco (gli altri soci sono il figlio Gennarino e la figlia Eleana), la ditta non è mai stata coinvolta direttamente in indagini antimafia ma il suo amministratore unico – Dante – risulta come socio fondatore della “Marsica Plastica srl” con sede a Carsoli, sempre in via Tiburtina Valeria km 70. È questo il punto centrale della storia sul primo appalto del terremoto: un socio della “Marsica Plastica srl” ha praticamente inaugurato la ricostruzione.

Quest’impresa, la “Marsica Plastica srl”, è molto nota agli investigatori dell’Aquila e anche a quelli di Palermo. È nata il 22 settembre del 2006 nello studio del notaio Filippo Rauccio di Avezzano. Tra i soci di Dante Di Marco c’era l’abruzzese Achille Ricci, arrestato tre settimane prima del terremoto per avere occultato i soldi di Vito Ciancimino in un villaggio turistico a Tagliacozzo. C’era Giuseppe Italiano (il nome di suo fratello Luigi è stato trovato in uno dei “pizzini” del boss Antonino Giuffrè quando era ancora latitante), che è un ingegnere palermitano in affari di gas con Massimo Ciancimino. C’era anche Ermelinda Di Stefano, la moglie del commercialista siciliano Gianni Lapis, il regista degli investimenti del “tesoro” di Ciancimino fuori dalla Sicilia.

Il 22 settembre del 2006, nello studio dello stesso notaio di Avezzano Filippo Rauccio, era stata costituita anche un’altra società, l'”Ecologica Abruzzi srl”. Fra i suoi soci ci sono ancora alcuni della “Marsica Plastica srl” (la moglie di Lapis e il palermitano Giuseppe Italiano per esempio) e poi anche Nino Zangari, un altro imprenditore abruzzese arrestato il 16 marzo del 2009 per il riciclaggio del famigerato “tesoro” di don Vito. Erano due società, la “Marsica Plastica” e l'”Ecologica Abruzzo”, che con la “Ricci e Zangari srl” – se non ci fosse stata un’inchiesta del Gico della finanza e i successivi arresti – avrebbero dovuto operare per la produzione di energia, lo smaltimento rifiuti, nel settore della metanizzazione. Un labirinto di sigle, patti, commerci, incroci. Tutto era stata pianificato qualche anno fa. E tutto alla luce del sole.

Ecco come ricostruisce le cose Dante Di Marco, l’imprenditore che ha vinto il primo sub appalto per la ricostrizione dell’Aquila: “Ho presentato una regolare domanda per accreditarmi ai lavori di Bazzano e sono entrato nel consorzio di imprese, che cosa c’è di tanto strano?”. A proposito dei suoi vecchi soci siciliani ricorda: “Quella gente io nemmeno la conoscevo, mi ci sono ritrovato in società così, per fare il mio lavoro di movimento terra”. E consiglia: “Chiedete in giro chi è Dante Di Marco, tutti diranno la stessa cosa: uno che pensa solo a lavorare con tutti quelli che vogliono lavorare con lui”.

Proprio con tutti. Dante Di Marco ha una piccola impresa, tanti lavori e tantissimi amici in Abruzzo. È entrato in società non soltanto con i siciliani amici di Ciancimino ma anche con Ermanno Piccone, padre di Filippo, senatore della repubblica e coordinatore regionale del Pdl. Sono insieme dal 2006 – e con loro c’è pure il parlamentare del Pdl Sabatino Aracu, sotto inchiesta a Pescara, accusato di avere intascato tangenti per appalti sanitari – nella “Rivalutazione Trara srl”, quella ha comprato alla periferia di Avezzano 26 ettari di terreno e un antico zuccherificio per trasformarlo in un termovalorizzatore. Fili che si mescolano, finanziamenti, compartecipazioni, una ragnatela. E appalti. Come quello di Bazzano, l’opera prima della ricostruzione. Per il governo Berlusconi è la splendente vetrina del dopo terremoto in Abruzzo. Per Dante Di Marco da Carsoli, socio dei soci dei Ciancimino, era un’occasione da non perdere.

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Da Dagospia

CENSU-RAI! – TG1 E TG2 A PRANZO CANCELLANO COMPLETAMENTE LA SPUTTANOPOLI DI BARI E LE “BOMBE” DI PATTY E BARBARA – AL TG3 LA NOTIZIA È L’APERTURA – INTANTO ANCHE ‘IL FOGLIO’ DI FERRARA MOLLA MINZO: “AL TG5 ALMENO UN’OMBRA DI PATRIZIA LA SI È INTRAVISTA…”
camera,letto,papi,

Il gioco si fa duro e i telegiornali Rai rispondono presente. Nelle edizioni di pranzo di oggi sia il Tg1 di Minzolini, sia il Tg2 dell’interregno post Mazza sono andati oltre ogni previsione, superando abbondantemente i servizi onirici di questi giorni. Se fino a ieri l’inchiesta di Bari veniva trattata non nominando mai il fatto, oggi a Saxa Rubra sono andati oltre.
MINZOLINI E BERLUSCONI

minzo

Il Tg2 delle 13 e il Tg1 delle 13.30 non hanno dedicato neanche un secondo alle nuove rivelazioni bomba dell’inchiesta barese sul Cime di Rapa Gate. Non soltanto le indiscrezioni sui video di Patrizia in camera da letto con Papi-Silvio, ma neanche le affermazioni messe a verbale dalla nuova testimone Barbara sia in Procura che in un’intervista a Repubblica destano l’interesse dei due tg.

Il fatto che la ragazza abbia confermato sia la storia di soldi sia il sesso tra Papi e Patty non è stato giudicato meritevole di menzione. Se fino a ieri il tentativo era quello di lasciare la vicenda fuori dai titoli (con Dipollina che ha ribattezzato Minzolini “Zero Tituli”), oggi addirittura il caso rimane fuori dai tg. La vicenda, che apre le prime pagine di tutti i giornali con le nuove notizie arrivate da Bari, è passata completamente sotto silenzio. E pensare che il Tg3 ci ha aperto l’edizione delle 14.25…

2 – ANCHE IL FOGLIO DI FERRARA MOLLA MINZOLINI: “AL TG5 ALMENO UN’OMBRA DI PATRIZIA LA SI E’ INTRAVISTA…”
Da “Il Foglio”

Il re dei re del retroscena accusato di mancata messa in scena: forse surreale contrappasso, magari ritrovata saggezza. Fatto sta che Augusto Minzolini manco ha messo piede al Tg1 che è finito sulla graticola. Vero che, appena arrivato, ha fatto sapere che di gossip – avendo a lungo praticato quello politico sui giornali – non se ne sarebbe né visto né sentito.

E’ la metanoia minzoliniana, diciamo, in qualche modo opportuna e dovuta, visto che il Tg1 – tiggì ammiraglio su rete ammiraglia: sta praticamente tra il senso delle istituzioni e la capitaneria di porto – non è cartaccia stampata, e se non è dogma certo si avvicina all’atto di fede. E quindi benissimo si capisce che non può mica mandare i suoi cronisti a inseguire col microfono, vicolo per vicolo, magari in groppa a un motorino, le ragazze di lieve vita come una Sarzanini qualunque.

Non perché potrebbe risultare imbarazzante per il desco famigliare all’ora di cena (se hanno fatto pratica con i programmi televisivi pomeridiani, quelli possono sopportare tutto), ma proprio perché il ruolo del maggior telegiornale del servizio pubblico deve avere, mettiamola così, una compostezza e un’autorevolezza che altri possono più gagliardamente schivare.

Per sua stessa, ovvia natura, il Tg1 è quanto di più vicino alla visione del Conte Zio: sopire, troncare; troncare, sopire – non certo per eludere, diononvoglia, ma quantomeno per non sbracare. Il gossip, dunque, non prevarrà. Come disse con elevato (e meglio: rinnovato) spirito Minzolini nel momento del suo insediamento, ci si occuperà di vita reale, e va a sapere se il sospetto transito di insospettabilmente vivaci fanciulle in casa altrui sia roba da vita reale.

Quindi, è la saggezza di Saxa rubra che strutture la cauta scaletta minzoliniana; non banale e deprecabile opportunismo, ma necessario senso dell’opportunità. Guidare il TG1 è più faticoso che presidiare un ministero, portare un Tir dal Brennero a Bari (al povero Riotta, per dire, non bastava la giornata neanche per infilarsi la giacchetta), e del resto Minzolini per la bisogna è ancora un fresco neopatentato.

Certo, un tiggì di quelli saldamente ancorati tra la vita reale e l’autorevolezza – si potrebbe dire tra il pianerottolo e una discussione all’Aspen – avrebbe allora una scaletta che dall’Ira porta alla Corea, dalla social card alla crisi economica, da Dahrendorf all’enciclica papale; poi volendo, e senza strafare, pure quello che si travestiva come la mamma morta per beccarsi la pensione e qualcosa sulle faccende baresi. Dove si trovano le friselle e “la signora D’Addario” (Fitto dixit).

Con garbo, pian pianino, una parola è poca e due sono troppe – ma se qualcosa si deve dire, che non sia proprio un elaborato da Settimana Enigmistica dove evaporano le signorine e si materializzano i giudici comunisti: a volerci capire qualcosa, erano più facili i misteri nordcoreani.

Così che persino quei malpensanti dell’opposizione (la scossa? Frequentano magistrati? Elettricisti?), hanno finito col compiere il passo inconcepibile: lodare il Tg5 di Mimun, che spigliatamente un giorno ha prodotto un ineccepibile servizio sul fatto se sia meglio il gelato in coppetta o quello sul cono. Ma almeno un’ombra di Patrizia, temerariamente, lì si è intravista.

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IO CI CREDO

“Macché overdose
Hendrix fu ucciso”

L’ex fonico: “Me lo disse l’assassino, il suo manager”
FRANCESCA PACI
CORRISPONDENTE DA LONDRA
I fan più irriducibili non si arrendono al finale aperto firmato dal medico legale e continuano ad arrovellarsi sulle ultime ore del grande Jimi Hendrix nella camera spoglia del Samarkand hotel, nel cuore della vulcanica Londra del 1970. Che gli eroi si spengano giovani e spesso in circostanze poco chiare è l’assioma di chi si nutre di leggende. Figurarsi nel caso del rocker rivoluzionario considerato dalla rivista Rolling Stone Magazine il maggior chitarrista della storia della musica. Il libro di un ex tecnico di Hendrix, James «Tappy» Wright, riapre ora il caso svelando un retroscena inedito e destinato a scatenare i patiti della dietrologia. Secondo Wright, che a giugno lancerà in Gran Bretagna Rock Roadie, memorie di un fonico all’ombra dei concerti di Tina Turner e Elvis Presley, l’icona di Woodstock non morì d’overdose, come spesso vagheggiato, ma fu ucciso dal suo manager disposto a tutto pur d’incassarne la polizza sulla vita. A rivelargli il delitto, spiega l’autore nella prefazione, fu lo stesso assassino, Michael Jeffrey, dopo una pesantissima sbronza carica di fantasmi e rimorsi.

«Non riuscivo a sostenere quella conversazione, a guardare l’uomo che conoscevo da così tanto tempo, la sua faccia pallida e la fila dei bicchieri vuoti davanti a lui», scrive «Tappy» Wright. L’episodio risale al ‘71, un anno dopo la scomparsa di Hendrix. La sera del 18 settembre 1970 i medici archiviano il decesso come «intossicazione da barbiturici e annegamento nel vomito» lasciando aperta l’ipotesi sulle cause. Se avessero anche solo menzionata l’eventualità di un suicidio l’assicurazione avrebbe dato battaglia. Invece, forte del mistero, Jeffrey si presenta alla cassa e riscuote, senza colpo ferire, 2 milioni di dollari, l’equivalente di 1,2 milioni di sterline attuali (1,3 milioni di euro).

Un gol a porta vuota. Salvo portarsi dentro il segreto machbetiano fino a un quantitativo di alcol sufficiente a giustificare la confessione: «Dovevo farlo Tappy, capisci non è vero? Dovevo farlo. Sai dannatamente bene ciò di cui parlo. Dovevo farlo, Jimi mi sarebbe stato più redditizio da vivo che da morto. Quel figlio di puttana voleva mollarmi. Se lo avessi perso avrei perso tutto».

La versione ufficiale della storia è rimasta finora sigillata tra le pareti omertose del Samarkand hotel, dove Hendrix viveva all’epoca con Monika Dannemann, una giovane donna conosciuta pochi giorni prima. Una sequenza da mattinale della questura: gli infermieri dell’ambulanza che trovano il corpo del chitarrista riverso sul letto al centro della stanza deserta, il gas acceso, la porta spalancata, nessuna traccia di chi ha chiamato il 999. Lo sfogo di Jeffrey con l’ignaro Wright svelerebbe, se provato, l’anello mancante: «Ero a Londra la notte della sua morte, Tappy. Con alcuni vecchi amici andammo a gironzolare intorno alla camera di Monika. Presi una manciata di pillole, le ficcai in bocca a Jimi e gli versai in gola diverse bottiglie di vino». Hendrix muore alcune ore dopo all’ospedale lasciando al mondo della musica la meteora dei suoi 27 anni e un’ultima chicca, l’album non ancora completato First Rays Of The New Rising Sun.

L’epilogo della storia o l’ennesima puntata d’una leggenda eterna quanto la Jimi Hendrix Experience? Nel ‘92 John Bannister, il chirurgo che aveva seguito Hendrix al pronto soccorso, scrisse in un articolo d’essere convinto che il chitarrista fosse «annegato» nel vino nonostante la scarsa percentuale di alcol trovata nel sangue: «Ricordo nitidamente la quantità di vino che c’era nel suo stomaco e nei polmoni. Pensai che avesse preso sedativi e bevuto moltissimo prima di andare a dormire. Sospetto che si sia strozzato con l’alcol, a casa o lungo la strada per l’ospedale». Inutile sperare che Jeffrey aggiunga nuovi dettagli o smentisca quelli rivelati da «Tappy»: è morto un incidente aereo nel ‘72, neppure il tempo di spendere interamente l’eredità del mito.

jimi

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Altarini

Antonello Caporale per “la Repubblica”

La lunga vita telefonica di Silvio Berlusconi costituisce senza ombra di dubbio un pilastro degli archivi pubblici, quasi un bene demaniale dello Stato. Nel ventennale delle intercettazioni in cui il nome del premier direttamente o indirettamente compare, viene dato alle stampe “B. Tutte le carte del presidente”, un volumone di Gianni Barbacetto (Marco Tropea Editore) che allunga la lista dei libri-inchiesta sul presidente del Consiglio.

Conti esteri, politici amici e finanzieri distratti: fatti che trascinano in giudizio dirigenti, commercialisti e avvocati della cerchia Fininvest ma lambiscono senza ferire il signor B. Ad alleggerire il clima di queste cupe pagine di indagini giudiziarie ci pensa sempre lui, il protagonista del libro.

Nella mirabile intercettazione del 31 dicembre 1986 (ore 20,52) finalmente entrano in scena le ragazze di Drive In, cult sculettante dell’ epoca. Marcello Dell’ Utri parla con Berlusconi. B: Iniziamo male l’ anno! D. Perché male? B. Perché dovevano venire due di Drive In e ci hanno fatto il bidone! E anche Craxi è fuori della grazia di Dio!. D. Ah! Ma che te ne frega di Drive In? B. Che me ne frega? Poi finisce che non scopiamo più! Se non comincia così l’ anno, non si scopa più! D. Va bene, insomma, che vada a scopare in un altro posto!

Un mese prima un altro lungo colloquio telefonico, questa volta tra l’ ex capo di Publitalia e l’ attuale presidente Mediaset Fedele Confalonieri. Di struscio (e teneramente) viene presa di mira la gelosia di Veronica Lario, la signora Berlusconi. Fedele dice all’amico Marcello: Guarda, ha fatto una scena di gelosia stasera, che era commovente. Io mi sono commosso per Silvio! D: (Ride) C. Davvero, ho detto: guarda che bello avere cinquant’anni ed avere ancora delle scene di gelosia! D. Il massimo della gratificazione! Come si sa,
Berlusconi Silvio

b

Silvio si innamora di Veronica vedendola a teatro, nel suo Manzoni. C’ è la prima di “Magnifico cornuto” di Fernand Cromelynk, con Enrico Maria Salerno. La protagonista della commedia è Miriam Bartolini, in arte Veronica Lario, attrice bolognese ventiquattrenne. Berlusconi verrà rapito dalla sua bellezza. .. Sono gli anni dell’imprenditore rampante e già di successo, dell’ uomo che sente un dovere assoluto per gli affari. E – forse – della concezione della libertà come un’azione più che un diritto. Così, la verità, la verità del Dottore, appare un vascello leggero sbattuto dalle onde.

Di Edilnord, la sua creatura, la società che ha costruito Milano 2, orgoglio perenne e mai taciuto, Berlusconi afferma di essere stato solo un consulente: «Mi è stato affidato l’incarico professionale della progettazione e della direzione generale del complesso residenziale di Milano 2», dice al finanziere che lo interroga, il capitano Massimo Maria Berruti, oggi deputato di Forza Italia. Dimentica di aver pagato l’affiliazione alla P2, dimentica l’anno di nascita della Fininvest, di cui pure è padrone.

La Fininvest. «Contro la volontà del dottor Berlusconi, milanese verace, la Fininvest viene costituita a Roma – spiega agli inquirenti il professor Paolo Iovenitti, consulente della difesa Dell’ Utri al processo di Palermo – e poco dopo segue un’ altra Fininvest, sempre a Roma…».

E’ tutto un po’ strano. E’ tutto un po’ falso o un po’ vero? Al proposito si riporta la diagnosi di Indro Montanelli: «E’ un mentitore professionale: mente a tutti, sempre, anche a se stesso, al punto di credere alle sue stesse menzogne». Questa invece la diagnosi di Bettino Craxi: «Silvio non è un bugiardo, è uno che dice molte bugie. Come deve fare un buon venditore».

E un buon venditore si vede anche dalle piccole cose. Berlusconi compra la Standa e di cosa si occupa personalmente? «Ho innovato nei sistemi promozionali curando anche la parte artistica e la scrittura dei comunicati». Standa, la casa degli italiani, un suo bellissimo spot. Un po’ architetto, un po’ pubblicitario, un po’ editore.

Spunta nei colloqui – auscultato e naturalmente verbalizzato – il nome di Tanzi. La Parmalat e Retequattro. C’ è Dell’ Utri all’ altro capo del filo. Berlusconi inizia: «Sono molto angosciato per questa roba di Retequattro (…) Questo Tanzi è un furbo, in più stupido». D. «Sì, quindi pericoloso». B. «Sì quindi pericoloso, secondo me… la cosa che mi sembra assurda è che lui possa tacere a uno come De Mita il fatto che la società resta a noi. Ma come fa, scusa? Perché lui esiste solo se c’ è De Mita».
Bettino Craxi

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E’ dura essere sempre intercettati, ed è dura rispondere agli assilli dei magistrati. L’ uomo è debole, e tutti siamo uomini. Accade anche ai dirigenti delle banche. Una di queste, la Banca Popolare di Abbiategrasso, interpellata dai professionisti che sono stati incaricati di produrre «una prima nota informativa sui flussi finanziari» delle società del Biscione, comunica che gli estratti conto di tredici Holding, conservati su pellicola microfilmata, risultano essersi bruciati.

E la Banca Popolare di Lodi, che ha incorporato la Banca Rasini, «finanziatrice – scrive Barbacetto nel libro – dei primi passi imprenditoriali di Berlusconi – prima nega di aver intrattenuti rapporti e poi, dopo insistenze, consegna la documentazione richiesta che nell’anagrafe aziendale della banca è catalogata sotto la voce “Servizi di parrucchieri e istituti di bellezza”». Parrucchieri e istituti di bellezza, proprio così.

°°° Faccio notare soltanto le ultime righe e… ma chi cazzo metterebbe in mano miliardi a vagoni per costruire Milano 2 e contratto di consulenza a un cantantino fallito, senza nessuna esperienza specifica né alcuna garanzia fnanziaria?

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Meno che merda: così il mondo giudica Papi

<strong>Sui giornali esteri sempre spazio alle 10 domande poste da “Repubblica”
Così la stampa internazionale chiede al premier di rispondere
Stupore per la mancata solidarietà al nostro giornale

di ALESSIA MANFREDI

ROMA – Il primo ad occuparsene è stato il Times londinese di Rupert Murdoch, poi il caso delle dieci domande poste da Repubblica a Silvio Berlusconi sul suo rapporto con la diciottenne Noemi Letizia, rimaste senza risposta, ha fatto il giro della stampa estera.

Dalla Gran Bretagna alla Spagna ad altri paesi, autorevoli quotidiani hanno mostrato il loro sostegno a Repubblica, dando ampio spazio all’inchiesta, sottolineando il silenzio e l’ira del premier. Altri hanno semplicemente riferito il caso. In un’intervista a Repubblica, il direttore di Die Zeit, Giovanni Di Lorenzo, ha detto che insultare un quotidiano “in Germania provocherebbe l’immediata solidarietà di tutti gli altri media, indipendentemente dal loro orientamento politico”. Alla questione sono stati dedicati diversi articoli e commenti. Ecco i principali.

“Public Duty and Private Vendetta”, The Times, 18 maggio 2009. Le lamentele di Silvio Berlusconi, che si ritiene vittima di diffamazione, non hanno alcun senso, si legge nell’editoriale non firmato del Times, che, secondo la tradizione anglosassone, riflette l’opinione della direzione del giornale. Le domande di Repubblica, continua il Times, non sono un’intrusione nella vita privata, ma sono legate al suo ruolo di politico e magnate dei media. E l’attacco di Berlusconi al giornale è un tentativo di intimidire il dissenso. (L’ARTICOLO)

“Mr. Berlusconi, why don’t you answer the press?”, The Huffington Post, 20 maggio 2009. Il caso approda anche sull’influente sito di informazione online di Arianna Huffington. (L’ARTICOLO)

“In praise of La Repubblica”, The Guardian, 23 maggio 2009. Anche il Guardian dedica un editoriale al caso, intitolato, semplicemente, “Elogio a La Repubblica”. “Nonostante rumori minacciosi da parte di Silvio Berlusconi, il principale quotidiano di centro-sinistra si è rifiutato di smettere di chiedere risposte alle 10 domande poste al premier circa la sua relazione con una adolescente napoletana, Noemi Letizia”, si legge nel testo, che insiste sul diritto della stampa in una società democratica a fare domande e conclude: “Repubblica sta facendo una battaglia solitaria e merita sostegno”. (L’ARTICOLO)

“Papi, en la encrucijada”, El Pais, 20 maggio 2009. “Papi, al crocevia” titola il commento del quotidiano spagnolo, che ripercorre l’origine della crisi, dalle dichiarazioni di Veronica Lario, sottolineando l’anomalia di Berlusconi, capo del governo, “editore del maggior gruppo mediatico del Paese”, il suo controllo quasi totale della informazione televisiva, fino alle domande di Repubblica, seguite da ira e silenzio. Sarebbe salutare per la democrazia italiana, argomenta El Pais, “che Berlusconi prendesse carta e penna e spiegasse al mondo perché lo chiamano papi”. (L’ARTICOLO)

“How one newspaper’s shameful questions have rattled Silvio Berlusconi”, The Observer, 24 maggio 2009. Il giornale inglese ripercorre in un lungo articolo l’intera vicenda Noemi, le domande “vergognose” di Repubblica che hanno innervosito il presidente del Consiglio, provocato una dura reazione da parte della stampa di destra, e innescato gli insulti del premier al cronista di Repubblica. (L’ARTICOLO)

“Les questions sur les starlettes font enrager Silvio Berlusconi”, La Tribune de Geneve, 16 maggio 2009. E’ un Silvio Berlusconi “sull’orlo di una crisi di nervi” quello che se la prende con il principale quotidiano di Roma, secondo il quotidiano svizzero. Le domande di Repubblica, per far luce sulle molte zone d’ombra sono rimaste senza risposta perché il Cavaliere ha invocato il complotto, si legge sul quotidiano.(L’ARTICOLO)

“L’origine des liens entre Berlusconi et la jeune Noémie”, Le soir, 24 maggio 2009. Il giornale belga riprende il caso usando un servizio della France Presse. (L’ARTICOLO)

“L’affaire Noemi poursuit Berlusconi”, Le Figaro, 25 maggio 2009. Anche il quotidiano francese conservatore, che ieri sul caso titolava “La Repubblica mette in imbarazzo Berlusconi” continua a dare spazio alla vicenda Noemi, che “sta perseguitando il presidente del Consiglio”, dando conto della campagna di Repubblica, delle incongruità rivelate dall’inchiesta sul rapporto fra la ragazza ed il presidente del Consiglio e della richiesta di spiegazioni in Parlamento da parte dell’opposizione. (L’ARTICOLO)

“L’insubmersible”, Slate.fr, 25 maggio 2009. Sul sito di informazione online diretto da Jean Marie Colombani, un lungo articolo di Marc Lazar riflette sull’enigma Berlusconi: accerchiato dai guai, dalla “strana relazione con la ragazza napoletana”, incalzato dalla stampa d’opposizione, “accusata di aver rivelato informazioni su di lui e di chiederne conto, come è normale in democrazia”, e ancora dal caso Mills e dall’economia in rosso. Eppure inaffondabile. (L’ARTICOLO)

“Italie: la vie privée de Silvio Berlusconi continue de troubler la campagne”, Le Monde, 25 maggio 2009. Aumentano i guai per Silvio Berlusconi, si legge sul quotidiano francese. “Le spiegazioni contraddittorie date dal presidente del Consiglio” su Noemi Letizia “sono state smentite da un ex fidanzato della ragazza”. (L’ARTICOLO)

“Sa liaison dangereuse”, La dernière heure, 25 maggio 2009. Berlusconi non ha finito di spiegare la sua relazione con un’adolescente, si legge sul quotidiano belga. (L’ARTICOLO)

“Berlusconi e la 18enne: Cos’è successo veramente?”, Die Welt, 25 maggio 2009. Il quotidiano tedesco riprende le rivelazioni di Repubblica e rileva come la crisi “privata” in casa Berlusconi sia diventata ormai affare di stato. (L’ARTICOLO) .

Sulla stessa linea la Suddeutsche Zeitung, “Berlusconi, das model und die “lüge”, Berlusconi, la modella e la “bugia”. (L’ARTICOLO)

E Bild:”So lernte Berlusconi die 18-Jährige wirklich kennen”, Così Berlusconi conobbe davvero la diciottenne. (L’ARTICOLO).

“Ex Noemi klapt uit school over Berlusconi”, De Telegraaf, 25 maggio 2009. “L’ex di Noemi rivela”, si legge sul quotidiano olandese, che riprende l’intervista a Repubblica di Gino Flaminio. (L’ARTICOLO)

Anche De Volkskrant parla delle rivelazioni dell’ex fidanzato di Noemi: “‘Berlusconi loog over relatie met minderjarige”‘, “‘Berlusconi ha mentito sulla sua relazione con la minorenne'” è il titolo del pezzo. (L’ARTICOLO)

(25 maggio 2009)

°°° DIFFONDETE. DIFFONDETE. DIFFONDETE!!!

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Bandito corruttore, DIMETTITI!!!

Un leader in fuga dalla verità
di GIUSEPPE D’AVANZO

È giusto ricordare che, se Silvio Berlusconi non si fosse fabbricato l’immunità con la “legge Alfano”, sarebbe stato condannato come corruttore di un testimone che ha protetto dinanzi ai giudici le illegalità del patron della Fininvest. Condizione non nuova per Berlusconi, salvato in altre occasioni da norme che egli stesso si è fatto approvare da un parlamento gregario.

Le leggi ad personam, è vero, sono un lacerto dell’anomalia italiana che trova il suo perno nel conflitto di interessi, ma la legislazione immunitaria del premier è soltanto un segmento della questione che oggi l’Italia e l’Europa hanno davanti agli occhi. Le ragioni della condanna di David Mills (il testimone corrotto dal capo del governo) chiamano in causa anche altro, come ha sempre avuto chiaro anche il presidente del consiglio. Nel corso del tempo, il premier ha affrontato il caso “All Iberian/Mills” con parole definitive, con impegni che, se fosse coerente, oggi appaiono temerari: “Ho dichiarato pubblicamente, nella mia qualità di leader politico responsabile quindi di fronte agli elettori, che di questa All Iberian non conoscevo neppure l’esistenza. Sfido chiunque a dimostrare il contrario” (Ansa, 23 novembre 1999, ore 15,17). Nove anni dopo, Berlusconi è a Bruxelles, al vertice europeo dei capi di Stato e di governo. Ripete: “Non conoscevo Mills, lo giuro sui miei cinque figli. Se fosse vero, mi ritirerei dalla vita politica, lascerei l’Italia” (Il sole24ore. com; Ansa, 20 giugno 2008, ore 15,47). È stato lo stesso Berlusconi a intrecciare consapevolmente in un unico destino il suo futuro di leader politico, “responsabile di fronte agli elettori”, e il suo passato di imprenditore di successo. Quindi, ancora una volta, creando un confine indefinibile tra pubblico e privato. Se ne comprende il motivo perché, nell’ideologia del premier, il suo successo personale è insieme la promessa di sviluppo del Paese. I suoi soldi sono la garanzia della sua politica; sono il canone ineliminabile della “società dell’incanto” che lo beatifica; quasi la condizione necessaria della continua performance spettacolare che sovrappone ricchezza e infallibilità.

Otto anni fa questo giornale, dando conto di un documento di una società internazionale di revisione contabile (Kpmg) che svelava l’esistenza di un “comparto estero riservato della Fininvest”, chiedeva al premier di rispondere a qualche domanda “non giudiziaria, tanto meno penale, neppure contabile: soltanto di buon senso. Perché questi segreti, e questi misteri? Perché questo traffico riservato e nascosto? Perché questo muoversi nell’ombra? Il vero nucleo politico, ma prima ancora culturale, della questione sta qui perché l’imprenditorialità, l’efficienza, l’homo faber, la costruzione dell’impero ? in una parola, i soldi ? sono il corpo mistico dell’ideologia berlusconiana” (Repubblica, 11 aprile 2001). Berlusconi se la cavò come sempre dandosi alla fuga. Andò a farsi intervistare senza contraddittorio a Porta a porta per dire: “All Iberian? Galassia off-shore della Fininvest? Assolute falsità”.

La scena oggi è mutata in modo radicale. Se il processo “All Iberian” (condanna e poi prescrizione) aveva concluso in Cassazione che “non emerge negli atti processuali l’estraneità dell’imputato”, le motivazioni della sentenza che ha condannato David Mills ci raccontano il coinvolgimento “diretto e personale” di Silvio Berlusconi nella creazione e nella gestione di “64 società estere offshore del group B very discreet della Fininvest”. Le creò David Mills per conto e nell’interesse di Berlusconi e, in due occasioni (processi a Craxi e alle “fiamme gialle” corrotte), Mills mentì in aula per tener lontano Berlusconi dai guai, da quella galassia di cui l’avvocato inglese si attribuì la paternità ricevendone in cambio “enormi somme di denaro, estranee alle sue parcelle professionali”, come si legge nella sentenza.

È la conclusione che ha reso necessaria l’immunità. Berlusconi temeva questo esito perché, una volta dimostrato il suo governo personale sulle 64 società off-shore, si può oggi dare risposta alle domande di otto anni fa, luce a quasi tutti i misteri della sua avventura imprenditoriale. Si può comprendere come è nato l’impero del Biscione e con quali pratiche. Lungo i sentieri del “group B very discreet della Fininvest” sono transitati quasi mille miliardi di lire di fondi neri; i 21 miliardi che hanno ricompensato Bettino Craxi per l’approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi (trasformati in Cct) destinati non si sa a chi (se non si vuole dar credito a un testimone che ha riferito come “i politici costano molto? ed è in discussione la legge Mammì”). E ancora, il finanziamento estero su estero a favore di Giulio Malgara, presidente dell’Upa (l’associazione che raccoglie gli inserzionisti pubblicitari) e dell’Auditel (la società che rileva gli ascolti televisivi); la proprietà abusiva di Tele+ (violava le norme antitrust italiane, per nasconderla furono corrotte le “fiamme gialle”); il controllo illegale dell’86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l’acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche; la risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma; gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato, favorirono le scalate a Standa, Mondadori, Rinascente. Sono le connessioni e la memoria che sbriciolano il “corpo mistico” dell’ideologia berlusconiana: al fondo della fortuna del premier, ci sono evasione fiscale e bilanci taroccati, c’è la corruzione della politica, delle burocrazie della sicurezza, di giudici e testimoni; la manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio in Italia e in Europa.

Questo è il quadro che dovrebbe convincere Berlusconi ad affrontare con coraggio, in pubblico e in parlamento, la sua crisi di credibilità, la decadenza anche internazionale della sua reputazione. Magari con un colpo d’ala rinunciando all’impunità e accettando un processo rapido. Non accadrà. Il premier non sembra comprendere una necessità che interpella il suo privato e il suo ufficio pubblico, l’immagine stessa del Paese dinanzi al mondo. Prigioniero di un ostinato narcisismo e convinto della sua invincibilità, pensa che un bluff o qualche favola o una nuova nebbia mediatica possano salvarlo ancora una volta. Dice che non si farà processare da questi giudici e sa che non saranno “questi giudici” a processarlo. Sa che non ci sarà, per lui, alcun processo perché l’immunità lo protegge. Come sa che, se la Corte Costituzionale dovesse cancellare per incostituzionalità lo scudo immunitario, le norme sulla prescrizione che si è approvato uccideranno nella culla il processo. Promette che in parlamento “dirà finalmente quel che pensa di certa magistratura”, come se non conoscessimo la litania da quindici anni. Finge di non sapere che ci si attende da lui non uno “spettacolo”, ma una risposta per le sue manovre corruttive, i metodi delle sue imprese, i sistemi del suo governo autoreferenziale e privatistico. S’aggrappa al solito refrain, “gli italiani sono con me”, come se il consenso lo liberasse da ogni vincolo, da ogni dovere, da ogni onere. Soltanto un potere che si ritiene “irresponsabile” può continuare a tacere. Quel che si scorge in Italia oggi ? e non soltanto in Italia ? è un leader in fuga dalla sua storia, dal suo presente, dalle sue responsabilità. Un leader che non vuole rispondere perché, semplicemente, non può farlo.

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I tempi cambiano

In aumento le donne che versano l’assegno. In 10 anni +74% di addii
Pochi i grandi patrimoni. In media gli sposi si spartiscono 2300 euro
Il divorzio all’italiana è più rosa
adesso è lei a mantenere l’ex

L’85% dei coniugi si lascia in modo consensuale per dimezzare tempi e spese
“Trent’anni fa le mogli cercavano di riavere il marito, ora chiedono di soffrire di meno”
di MARIA NOVELLA DE LUCA

Il divorzio all’italiana è più rosa adesso è lei a mantenere l’ex
ROMA – C’è un giorno in cui si dividono vite e patrimoni, figli e ricordi, elettrodomestici e sentimenti. Sono le donne a dire addio se le cose non vanno, se l’amore è svanito, se qualcuno ha tradito, ma poi è l’uomo a chiedere il divorzio, e a riallacciare nuove nozze. Mentre i figli, nel mezzo, sperimentano oggi l’affido congiunto a mamma e papà. Fotografia dell’instabilità coniugale nell’Italia che cambia, a 35 anni dal referendum che con 19 milioni di voti rese definitiva la legge sul divorzio, mentre il numero delle famiglie che si rompono è in vertiginosa ascesa. In 10 anni i divorzi sono aumentati del 74% e le separazioni del 57,3%, dal 2000 in poi la salita non s’è mai arrestata, nel 2006 ogni mille matrimoni ben 3 si sono chiusi in modo definitivo.

All’ombra delle star, mentre la questione Lario-Berlusconi è soltanto all’inizio, l’istituto del divorzio in Italia cambia pelle. Gli esperti dicono che per fortuna il tabù sociale è (quasi) morto e sepolto, l’85% delle coppie si lascia in modo consensuale per dimezzare tempi e spese, con la novità che in misura crescente anche le donne, se si trovano ad essere il coniuge “più forte”, iniziano a versare l’assegno di mantenimento all’ex marito. Attenzione, però: la società si evolve ma il crac emotivo è sempre lo stesso. Più lungo è stato il matrimonio più dura è riprendersi, e per i figli, avverte Anna Oliverio Ferraris, docente di Psicologia dello sviluppo, “la separazione resta un terremoto, e spetta ai genitori aiutarli a superare un cambiamento così radicale”.

“Non siamo ancora ai livelli francesi, dove 4 matrimoni su 10 vanno in frantumi – spiega il demografo Massimo Livi Bacci – di certo però in Italia l’instabilità coniugale cresce di anno in anno, cambiando profondamente la struttura stessa della famiglia. Da un matrimonio che si rompe nasce infatti una “galassia” di nuove unioni.
Dal nucleo monoparentale alla famiglia allargata fino al bambino-staffetta, affidato ad entrambi i genitori, con il suo tempo diviso tra due case, due situazioni, due realtà”.

Cambiano le relazioni, i sentimenti, piuttosto che sposarsi si preferisce convivere, dire “per sempre” fa paura a molti, le nozze sono diminuite del 32,4% negli ultimi trent’anni, in particolare il rito religioso. “Eppure – ragiona Livi Bacci – nonostante uno scenario così cambiato la Chiesa mantiene ferma la sua posizione di condanna nei confronti del divorzio”, vietando ad esempio l’eucarestia ai divorziati che non abbiano scelto di “vivere in castità”, e facendo affondare nel 2003 la legge sul “divorzio breve”, che puntava ad abbassare da tre a un anno il periodo della separazione legale, al termine del quale è possibile chiedere il divorzio.

“L’impennata di separazioni e divorzi, – precisa Marina Marino, avvocato matrimonialista e presidente dell’Aiaf, l’Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori – non vuole dire che si arrivi alla fine di un matrimonio con meno sofferenza. E tra le coppie che si siedono nel mio studio vedo che la fascia d’età in cui è più doloroso lasciarsi è quella tra i 55 e i 65 anni, in particolare per le donne, che spesso restano isolate nella vita sociale, e per le quali è più difficile ricominciare”.

Con l’affido congiunto, precisano gli avvocati, le conflittualità sulla custodia dei figli si sono attenuate. Non così i contenziosi sulla divisione dei patrimoni. “Mi è capitato decine di volte di incontrare uomini notoriamente facoltosi che poi presentavano dichiarazioni dei redditi da nullatenenti quando si doveva decidere l’assegno per la moglie e i figli. Ma il problema dei grandi patrimoni riguarda una ristrettissima élite. La realtà è la famiglia media dove in caso di divorzio si devono spartire 2.300 euro di reddito. Allora sì che si diventa poveri”.

Racconta Gianna Schelotto, psicoanalista e psicoterapeuta, che è sulla separazione che ci si deve soffermare “perché il divorzio arriva dopo, quando i momenti più strazianti sono passati”. “Ci si lascia per molti motivi, ma il più duro da sopportare è il tradimento. E’ una ferita quasi insopportabile, un sentimento comune sia ai maschi che alle femmine, ma diversa è la reazione. Trent’anni fa le donne arrivavano da me chiedendomi: “Come faccio a riportarlo a casa”, oggi vogliono riuscire a non soffrire, sono quasi sempre loro a pretendere la separazione, e si aggrappano al lavoro, ai figli. Trent’anni fa erano indifese, sole di fronte al dolore e colpevolizzate dalla società, oggi sono sostenute, salvaguardate dalle leggi”.

Del resto seppure con i numeri di un’avanguardia, le donne hanno oggi un ruolo “paritario” nel divorzio. A volte, addirittura, predominante. “Si tratta di un’élite benestante, spesso di libere professioniste – ha spiegato di recente Gian Ettore Gassani, presidente dell’Associazione matrimonialisti italiani – che alla fine di un matrimonio si ritrovano ad essere il coniuge più forte e più ricco. E sono loro, se l’ex partner ne ha diritto, a dover versare l’assegno…”. Nel 2007 e nel 2008, secondo i dati del centro studi Ami, il 3,5% delle sentenze ha dichiarato che spettava alle mogli il mantenimento dell’ex marito. “Nella mia carriera finora ne ho viste poche – dice però Marina Marino -ma di certo è una tendenza”.

Aggiunge Anna Oliverio Ferraris: “Oggi è difficile far durare una coppia. Per le attese implicite, perché si cerca il partner perfetto, perché si fugge dall’idea che la famiglia sia anche una costruzione. Con l’affido congiunto i genitori sono responsabili in egual modo della crescita dei figli e questa è stata una vera rivoluzione. Finora infatti il genitore non affidatario restava sullo sfondo, i padri si trasformavano nei papà della domenica. I figli si sentono abbandonati da chi se ne va, la chiave invece è non farli sentire soli, fargli capire che seppure non più coppia, i genitori restano genitori”.

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