Eugenio Scalfari

Il Cavaliere ha bisogno

di una lunga vacanza

di EUGENIO SCALFARI

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A l’Aquila la terra continua a tremare, lo sciame sismico non dà tregua, sotto le tende un giorno si crepa dal caldo e il giorno dopo si galleggia sotto il nubifragio, ma Bertolaso ha l’aria contenta. “Andrà tutto benissimo” dice in Tv “e poi se non avessimo trasportato qui il G8 chi parlerebbe ancora del terremoto?”

Il popolo delle tendopoli in realtà se ne frega che si parli di lui anzi ne è decisamente irritato, ma Bertolaso è felice, ogni giorno compare alla destra dell’Onnipotente ed ha anche scansato un brutto processo sui rifiuti, trasferito a Roma e iscritto a nuovo ruolo.

Comunque, in caso di bisogno, è pronto il piano B per evacuare i Potenti in elicottero. Teatro. Puro teatro. Non è forse questa la regola

generale? Preparare un piano B è diventato una mania. Ce n’è uno per L’Aquila, un altro per il disegno di legge sulle intercettazioni contestato dal presidente Napolitano per palesi vizi di incostituzionalità e ieri messo in opera dal ministro della Giustizia; un altro ancora per il lodo Alfano se la Corte ne invaliderà alcune parti, infine un quarto se la Corte lo invalidasse interamente.

Quest’ultimo piano B tuttavia è ancora da studiare, si va da una legge non più ordinaria ma costituzionale che però lascerebbe il Cavaliere esposto al corso della giustizia, ad una crisi istituzionale vera e propria con conseguente appello al popolo in stile Caimano.
Berlusconi, a differenza del suo Bertolaso, ha invece la faccia sempre più scura. Gli hanno suggerito di parlar poco e di farsi vedere il meno possibile e lui ci prova ma con evidente fatica.

Da quel 25 aprile, quando raggiunse l’apice della popolarità e del consenso abbigliandosi da padre della Patria con al collo la sciarpa da partigiano, sembra passato un secolo. Molte cose sono cambiate nel suo pubblico e nel suo privato, nel suo modo di gestire, nel suo eloquio e forse nei suoi pensieri.

Ma una cosa non è cambiata nonostante gli appelli del Quirinale ad una tregua almeno fino al G8: continua ad insultare la sinistra “un cadavere che ingombra, un branco di comunisti, un’accozzaglia senza idee”. E continua ad indicare al pubblico ludibrio “i giornali eversivi ai quali gli imprenditori dovrebbero negare la pubblicità”.

Nel frattempo gli incidenti di percorso si susseguono.
L’ultimo, forse il più grave, è stato l’improvvida cena in casa del giudice costituzionale Mazzella il quale, insieme all’altro suo collega Napolitano, ha anche reagito pubblicamente con una lettera al premier con lui stesso concordata.

Non staremo qui a ripetere le considerazioni su questo comportamento irrituale e su quell’incontro gastronomico tra “compagni di merende” come li ha giustamente definiti il collega Massimo Giannini. Sarebbe stato grave anche se il solo convitato dei due giudici della Corte fosse stato il presidente del Consiglio, vecchio amico ed elettore di entrambi; ma c’erano anche il ministro della Giustizia e il presidente della Commissione parlamentare, Vizzini, dando a quell’incontro un inequivocabile colore di cena di lavoro.

La conseguenza è che la Corte faticherà non poco a scrollarsi di dosso il peso che gli è stato caricato sulle spalle da due dei suoi componenti.

* * *

Dicono i bene informati che la principale occupazione del premier nelle poche settimane che lo dividono da una lunga vacanza sarà l’economia, a cominciare dal G8 del prossimo 8 luglio. E c’è da crederci perché la crisi è ancora tutta davanti a noi.

Il G8 deciderà ben poco. Non è più lì che si gioca la partita, ormai trasmigrata nei consessi dove si misurano i veri grandi della scena economica mondiale.
L’intervista ad un giornale italiano in vista del G8 Barack Obama l’ha data all’Avvenire. Non vende molto l’Avvenire ma rappresenta la Conferenza episcopale e Obama voleva parlare dell’incontro che avrà col papa sabato prossimo appena liberatosi dal meeting dell’Aquila.

Obama non appartiene alla categoria berlusconiana e tremontiana di quelli che sostengono che il peggio sia passato. Al contrario: lui sostiene che il peggio viene adesso con una valanga di disoccupati e con una secca diminuzione dei redditi di lavoro.
Ci siamo già occupati domenica scorsa di questo problema.

Ieri ne ha scritto con la competenza che gli è propria Luigi Spaventa, perciò non ripeterò i suoi giudizi e la sua analisi. Aggiungo soltanto che, dai documenti inviati in Parlamento dallo stesso Tremonti risulta quanto segue:

1. I dati sull’andamento del deficit, del fabbisogno, delle entrate, delle spese, del debito pubblico, forniti dal Tesoro sono esattamente quelli anticipati dall’Istat, dalla Banca d’Italia, dall’Ocse, dalla Commissione di Bruxelles, che il ministro aveva definito “congetture inutilmente allarmistiche”.

2. Tra quei dati segnalo una spesa che cresce a ritmo sostenuto, un deficit che supererà il 5 per cento sul Pil, un debito pubblico a 119 per cento sul Pil, le entrate tributarie in forte calo, la disoccupazione in netto aumento.

3. Quelle congetture oggi interamente accolte dal Tesoro avrebbero dovuto suggerire al ministro di scusarsi con chi aveva dileggiato. Ovviamente non si è scusato.

4. Quanto ai provvedimenti per stimolare il sistema produttivo avevo scritto che entreranno concretamente in vigore tra l’inverno e l’estate del 2010 e così risulta dalle carte rese pubbliche da Tremonti. Scrissi che si trattava di salvagenti gettati in mare a qualche chilometro di distanza dai naufraghi. Ed è esattamente così.

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