Maria Novella Oppo

Super-Papi e il nome delle cose

Quello di papi è un governo nominalistico. Basta cambiare nome alle cose e tutto va bene. Certo, perché il sistema funzioni, ci vuole il dominio quasi totale delle comunicazioni, ma, per il resto, non serve neppure avere a disposizione i massimi cervelli della pubblicità. Anzi, va bene perfino Gasparri. Se il boss è un frequentatore abituale di veline pagate e non si riesce a oscurare del tutto i fatti tramite i velinari direttori dei tg, basta dire sorridendo che Berlusconi non è un santo. Se i suoi alleati fanno propaganda razzista e gli episodi di violenza xenofoba dilagano, basta dire che si tratta solo di pacifico volontariato a difesa del territorio. Se si tagliano le risorse scolastiche soprattutto al sud, dove ce n’è più bisogno, basta sostenere che va premiato il merito, notoriamente concentrato al nord per grazia divina. E se poi qualcuno nota che tra i più stretti collaboratori del premier ci sono parecchi avanzi di galera, è chiaro che i giudici sono tutti comunisti.

GLI IDOLI DURANO POCO. SE SONO DI CARTAPESTA, ANCORA MENO.

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Sempre peggio, amici del blog!

Dall’estero ancora critiche e analisi sulla situazione del premier
Il Financial Times sostiene di aver consultato “alte fonti governative
“Gli alleati di Berlusconi
pensano a un futuro senza di lui”

dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI

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LONDRA – “Non siamo ancora al fuggi fuggi, ma importanti alleati di Silvio Berlusconi nella coalizione di governo stanno già contemplando un futuro senza di lui”. E’ uno scoop che in Italia varrebbe la prima pagina, quello che il Financial Times pubblica stamane, dedicando una pagina intera (la nona) al tema “il futuro di Berlusconi”. Parlando con “alte fonti governative” a Roma, il quotidiano finanziario londinese raccoglie un messaggio che a quanto pare qualcuno, dall’interno del centro destra, ha deciso sia tempo di far diventare pubblico, scegliendo come megafono il giornale universalmente riconosciuto come il più autorevole e imparziale d’Europa.

“Sussurri spaventano la coalizione italiana”, s’intitola la news analysis di Guy Dinmore. “Fedeli sostenitori di Silvio Berlusconi negano che si sarà un “fuggi fuggi” (in italiano nel testo originale) come conseguenza degli scandali che circondano la sua vita privata, ma importanti alleati nella coalizione di centro destra italiana stanno già contemplando un futuro politico senza il loro leader”. Parlando con il Ft a condizione di mantenere l’anonimato, queste “alte fonti di governo” premettono di non credere che il 72enne presidente del Consiglio si dimetterà “presto”. Eppure “ministri chiave” stanno iniziando a “posizionarsi” per l’eventualità che rivelazioni più dannose lo inducano a dimettersi. “Questo è uno scenario completamente nuovo, il panorama sta mutando”, dice al quotidiano della City una delle fonti governative.

Un’altra fonte, definita “un collaboratore” di Berlusconi, dice che il governo teme che i magistrati annunceranno l’apertura di un’indagine giudiziaria formale nei confronti del premier proprio mentre egli ospiterà in Italia i leader mondiali per il summit del G8 del mese prossimo. “Paralleli vengono tracciati”, osserva il FT, con il 1994, quando un tribunale inoltrò una comunicazione giudiziaria per corruzione a Berlusconi mentre il premier, all’epoca nel suo primo mandato, ospitava una conferenza internazionale sulla lotta alla criminalità: “il suo governo”, ricorda il giornale, “cadde un mese più tardi, quando la Lega Nord uscì dalla coalizione”.

L’articolo aggiunge che vari ministri hanno paura che le affermazioni di Patrizia D’Addario, la escort che afferma di essere andato a letto con Berlusconi a Palazzo Grazioli la notte dell’elezione di Obama, quando dice di avere foto e registrazioni del suo incontro con il premier, “si rivelino vere e dannose”, o che le accuse che riguardano Giampolo Tarantini, l’imprenditore pugliese che accompagnò la D’Addario da Berlusconi, “si allarghino”.

La “dinamica è cambiata”, dicono le stesse fonti al FT. Primo, “c’è la sensazione che l’ambizione di Berlusconi di diventare presidente della repubblica al termine del suo mandato da primo ministro sia stata infranta”. Secondo, “le elezioni europee hano dimostrato che gli elettori si stanno allontanando” dal Pdl. Infine, “l’immagine internazionale dell’Italia è peggiorata” e la Chiesa cattolica sta cominciando a “fare pressioni”. Nonostante la sua reputazione di anfitrione miliardario che vizia gli amici con doni e fantastiche feste, gli alleati di Berlusconi “lo descrivono come un uomo isolato, con nessuno che si azzarda a dargli consigli”. Il quotidiano londinese coglie una certa “malinconia” nell’intervista rilasciata dal premier al settimanale di sua proprietà “Chi”, quando ricorda che nell’ultimo anno ha perso la madre e la sorella, oltre a sua moglie per il divorzio.

L’articolo si conclude con una suddivisione degli schieramenti all’interno del governo. I ministri la cui sopravvivenza politica dipende da Berlusconi sono i più accesi nel difenderlo: come Maurizio Sacconi (Lavoro), Claudio Scajola (Sviluppo Economico), Franco Frattini (Esteri). Le donne, incluse Mara Carfagna (Pari Opportunità) e Stefania Prestigiacomo (Ambiente), gli sono fedeli, ma nelle “attuali circostanze”, ovvero nel mezzo di uno scandalo a base di call-girls e incontri con minorenni, “sono a disagio a parlare” in sua difesa. “Poi ci sono figure chiave che sono rimaste per lo più in silenzio, vedendo un futuro oltre Berlusconi, con la speranza che una successione sia ordinata”. Gianni Letta, scrive il FT, sta già facendo di fatto le funzioni di primo ministro. Giulio Tremonti, il ministro delle Finanze, ha il vantaggio di stretti legami con la Lega Nord.

Ma le fonti interpellate dal quotidiano della City notano un serio ostacolo alle dimissioni del premier, a parte la sua ostinazione personale: l’immunità dalle incirminazioni, varata dalla sua larga maggioranza in parlamento, “dura solo fino a quando lui rimane in carica”.

Un secondo articolo, sempre sul Financial Times, firmato da James Blitz, ex-corrispondente da Roma e ora corrispondente diplomatico, osserva che la questione critica per i governi occidentali non è tanto che Berlusconi si stia “gravemente danneggiando” a causa dei suoi legami con “modelle e starlette”, non è quello che egli fa nella sua vita privata, ma se può aiutarli a risolvere i pressanti problemi con cui si confrontano gli Usa e l’Unione Europea. Per Barack Obama, Berlusconi è un leader con cui “è necessario mettersi d’accordo”, e il FT cita l’impegno militare italiano in Afghanistan e la recente decisione del premier di accettare nel nostro paese alcuni detenuti di Guantanamo a testimonianza dell’importanza che l’Italia ha per Washington. “Ma Obama è chiaramente meno preso da Berlusconi di quanto fosse George W. Bush”, prosegue l’articolo, rilevando come il presidente americano abbia incontrato vari leader nel suo tour europeo in aprile, ma non il premier italiano.

La minore influenza di Berlusconi sull’America “non è interamente colpa sua”, afferma una fonte diplomatica consultata da Blitz: oggi in Francia e in Germania ci sono governi più pro-americani rispetto a due anni fa, e dunque gli Usa hanno meno bisogno del sostegno italiano. In più, ci sono azioni intraprese da Berlusconi che lo hanno reso “un alleato difficile”. Una è la sua decisione di firmare un accordo con la Russia per portare il gas in Europa, in competizione con un gasdotto occidentale che passerà dal’Asia Centrale. “Il sostegno di Berlusconi per Putin su questo causa molta rabbia a Washington e Bruxelles” dice un diplomatico della Ue. Altri aspetti dello stile di Berlusconi che irritano gli Usa e la Ue sono “la sua ossessione di poter essere un mediatore tra Obama e il suo amico Putin” e il tentativo di stabilire un dialogo autonomo con l’Iran. Non ultima, la sua decisione di tenere il summit del G8 all’Aquila “sta provocando nervosismo” nelle capitali mondiali. Riassume il Ft nel titolo: pur alleato indispensabile, Berlusconi “sta mettendo alla prova la pazienza di Usa e Ue”.

Un altro articolo di rilievo appare oggi sulla stampa britannica: una news analysis di Richard Owen, il corrispondente da Roma, sul Times, che commenta il “grande vantaggio” di cui Berlusconi dispone come proprietario e controllore politico dei media, in particolare televisivi. “Se Berlusconi dovesse dimettersi domani”, comincia l’articolo, “la grande maggioranza degli italiani che ricevono le informazioni solo dalla tivù ne saprebbero poco o nulla”. Owen riporta il fatto, di cui l’opinione pubblica britannica e mondiale non sono perfettamente a conoscenza, che Berlusconi possiede i tre canali televisivi di Mediaset e controlla la maggior parte dell’informazione televisiva della Rai in quanto capo della coalizione di governo.

L’analisi del Times nota che il Tg1, “il principale telegiornale Rai”, ha ignorato o dato un basso profilo alle notizie sullo scandalo che riguarda il premier, e riferisce le critiche espresse dal presidente della Rai, Paolo Garimberti, ad Augusto Minzolini, direttore del Tg1, “per avere mancato di dare ai telespettatori l’informazione completa e trasparente che è richiesta al servizio pubblico”.

Tra gli articoli sul caso Berlusconi pubblicati da altri giornali britannici, spicca poi la vignetta del Sun: un parcheggio pieno di limousine per il summit del G8, ciascuna con una bandierina della nazione che rappresenta sul cofano; quella italiana è letteralmente ricoperta di giovani ragazze maggiorate e seminude, che lavano la macchina brindando con calici di champagne.

L’attenzione è costante su tutta la stampa europea. El Mundo titola: La perdizione di Berlusconi. Un articolo in cui vengono ripropoposte le varie tappe della vicenda, con citazioni molto ampie dell’intervista a Patrizia D’Addario.

E la Cnn ha dedicato a Berlusconi un lungo servizio. “Ci sono abbastanza ragioni per dimettersi”.

°°° Siamo alle solite. Film già visto: scommettiamo che starnazzerà ancora “giustizia a orologeria”… Silvio commette almeno un reato grave al giorno – da quand’era alle elementari – però s’incazza con “le toghe rosse” ognuna delle rarissime volte che lo beccano. La cosa divertente è che le sue condanne, finora, sono state comminate da giudici di destra! Quelli che non è riuscito a comprare, naturalmente, o quelli che non sono saltati per aria come Borsellino.

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Puzza insopportabile

ISSO, ESSA E ‘A MALAVITA
di ROSITA PRAGA [ 29/05/2009]

A Napoli gli investigatori della Direzione Antimafia stanno indagando sui possibili collegamenti fra Elio Benedetto Letizia, il padre dell’ormai celebre Noemi, e il ceppo che a Casal di Principe ha visto per anni egemone il clan capitanato da Armando, Giovanni e Franco Letizia, gruppo di fuoco del boss Giuseppe Setola, area Bidognetti. Tutti alleati degli Scissionisti di Secondigliano. Qui, nell’attesa di sviluppi giudiziari, proviamo a mettere in fila alcune impressionanti coincidenze, con le tessere di un puzzle che vanno al loro posto una dopo l’altra. Ed un Paese che, se le ipotesi investigative fossero confermate, si troverebbe a dover raccogliere la sfida finale.

Potrebbe suonare solo come un’omonimia, un cognome strano, uguale al nome di una donna. E che ricorre. Poi il cerchio delle coincidenze comincia a stringersi. E prende corpo l’ipotesi che Benedetto Letizia detto Elio, padre dell’aspirante starlette Noemi, lungi dall’essere mai stato autista di Craxi o militante di Forza Italia o qualsiasi altra boutade messa in circolazione, sia originario dello stesso ceppo di Casal di Principe dal quale provengono Franco e Giovanni Letizia, gruppo di fuoco del boss Giuseppe Setola. Lo stesso commando capace di sparare in fronte ed ammazzare sei extracomunitari in un colpo solo per avvertire gli altri che, se si intende trafficare droga in zona, bisogna sottostare alle “regole”. E pagare.

Ma chi e’ veramente Benedetto-Elio Letizia? Da Castelvolturno all’Agro Aversano fino a Secondigliano, molti lo sanno fin dall’inizio di questa storia. Ma non parlano. Tacciono di fronte ai tanti cronisti venuti da ogni parte del mondo. Pero’ a Enrico Fierro, inviato dell’Unita’, qualcuno ha detto: lascia stare, su questa storia meglio non metterci le mani. Bolle, scotta. Il cinquantenne Benedetto Letizia, noto finora al Comune di Napoli (dove e’ in servizio) piu’ che altro per un vecchio inciampo giudiziario – fu arrestato nel ’93 nell’ambito di un’inchiesta sulle compravendite di licenze commerciali – per tutti e’ un uomo tranquillo. E anche la gazzarra di visure camerali e catastali messa su dai giornali, non ha potuto scoprire altro che modesti immobili intestati a Noemi e un paio di societa’ dedite al commercio di profumi. Solo una bufala, allora, la storia della parentela? “Non dimentichiamo – dice un attento osservatore di queste dinamiche – che molto spesso i clan si servono proprio di personaggi “puliti”, o quasi, per tenere i contatti con esponenti delle istituzioni”.

A gettare benzina sul fuoco, realizzando la classica “excusatio non petita”, sono poche settimane fa alcuni giornalisti del casertano. Ventiquattr’ore di fuoco, quel 19 maggio. Dopo la cattura in Spagna del boss Raffaele Amato, a Secondigliano un blitz porta in manette quasi cento persone ritenute affiliate agli Scissionisti. In nottata arriva l’arresto a San Cipriano d’Aversa del boss Franco Letizia, uno fra i cento latitanti piu’ ricercati d’Italia. E siamo proprio negli stessi giorni in cui, fra gossip e cronaca, i giornali, le tv e il web sono letteralmente invasi da quel nome: Letizia. Alle 12 e 18 in punto nelle redazioni arriva un lancio Ansa. E’ firmato dalla giovane corrispondente casertana Rosanna Pugliese: nessuna parentela – si legge – tra l’arrestato Franco Letizia ed il papa’ di Noemi, lo affermano “gli inquirenti che operano nel casertano”. Che bisogno c’era di quella perentoria smentita, a fronte di una notizia mai data? E soprattutto, perche’ rifarsi ad un termine generico come “gli inquirenti”, senza precisare se si tratta della squadra mobile, della Procura (di Napoli o di Caserta?) oppure di altre forze dell’ordine? Un sito locale, Caserta Sette, non perde l’occasione per rilanciare la non-notizia. E con tono stizzito se la prende con chiunque osi pensare che esista quella parentela.

Mentre scriviamo, alla Voce risulta invece che sono in corso indagini top secret alla Procura di Napoli proprio per accertare il possibile collegamento fra i Letizia di Secondigliano (Benedetto detto Elio, ma anche altri suoi stretti congiunti) e il clan Letizia affiliato ai Casalesi. Un legame che, se fosse accertato, nella “vicenda Papi”, spiegherebbe tutto. O quasi. Qualcuno, in Campania ed oltre, sa bene da tempo cosa significa pronunciare alcuni grossi nomi. E perche’, se telefona uno con quel nome, se si spinge fino a chiedere a un leader politico di mostrarsi alla nazione intera, intervenendo ad una festa di paese, lui potrebbe essere costretto ad acconsentire. Ma in ossequio alla ragion di stato sarebbe obbligato a far credere – perfino alla moglie e ai figli – che si tratti d’una storia di corna e minorenni, piuttosto che rivelare al Paese e al mondo la verita’.

Scrive Fierro sull’Unita’ del 22 maggio: “La camorra, soggetto da maneggiare con cura in questa storia. Anche se i tanti set di questo reality non aiutano a tenerla a debita distanza. Secondigliano (il quartiere monstre dove i Letizia hanno alcune loro attivita’); Portici, la citta’-quartiere dove vivono Noemi e sua madre, e Casoria, il paesone della festa. In ognuno di questi luoghi i clan hanno un controllo ferreo del territorio. Sanno tutto. Di tutti”. In attesa delle conclusioni alle quali giungeranno i pm della Dda, noi qui proviamo a mettere insieme le tessere del puzzle. Che cominciano a combaciare in maniera impressionante. Se risultasse provato il collegamento fra i Letizia, sarebbe allora piu’ realistico immaginare quale sia stato il vero motivo di quell’appuntamento cui il premier, suo malgrado, non poteva mancare, pur avendo cercato con ogni mezzo fin dalla mattina – e poi nelle frenetiche telefonate fatte in quei misteriosi 50 minuti di sosta dentro l’aereo, a Capodichino – di sottrarsi. Alla fine va. E resta per quasi un’ora a colloquio “riservato” – dice chi c’era – con Elio Benedetto Letizia, prima di darsi in pasto ai fotografi.

. IL POTERE DI GOMORRA

Troppo forte, il potere d’intimidazione di quella holding multinazionale che, come ci ha raccontato Gomorra, comunica i suoi messaggi attraverso i simboli. L’uomo accusato di essersi portato via la donna di un boss, per esempio, viene crivellato non alla testa o al cuore, ma “mmiez ‘e palle”; quello che ha tradito gli accordi, facendo catturare uno del clan, dovra’ essere “incaprettato”, legato come un capretto sul banco della macelleria, e fatto ritrovare nella posa piu’ grottesca e mostruosa che si possa immaginare per un essere umano. Cosi’ anche la presenza fisica di una personalita’, in certi luoghi ed occasioni, vale piu’ di cento rassicurazioni verbali. Magari arriva a suggello di un condizionamento che durava gia’ da mesi. E del quale la bella – e quasi certamente ignara – Noemi non era che un altro “segnale”. La sua presenza al fianco del primo ministro (come nell’ormai famoso ricevimento di fine anno a Villa Madama) serviva per affermare all’esterno che il rapporto con gli uomini del napoletano e del casertano stava andando avanti.

Del resto, lo strapotere finanziario raggiunto dalle imprese dei clan camorristici – anche attraverso la presenza di loro vertici nelle logge massoniche coperte – praticamente non ha uguali. Lo ha spiegato poche settimane fa Roberto Saviano agli studenti della Normale di Pisa nel corso di una lezione: nessuna, fra le altre mafie del mondo (russa, cinese o slava che sia) e’ autonoma rispetto alle cosche italiane. Tutte hanno come modello di partenza Cosa Nostra, ‘Ndrine e Camorra. Ma i gruppi esteri non si sono mai del tutto affrancati: sullo scacchiere internazionale, nei paradisi fiscali, per muovere da un capo all’altro dei contimenti denaro, armi, stupefacenti, organi ed esseri umani, devono sempre e ancora in qualche modo “dare conto” ai clan italiani.

Dal punto di vista dell’economia criminale, poi, che interi pezzi dell’Italia siano ormai ricattabili da parte dei clan camorristici, non e’ una novita’. Una holding multinazionale, ma pur sempre malavitosa; forze strutturate e uomini che, pur trovandosi ormai a gestire le leve del potere finanziario (il giro di affari delle mafie, secondo uno studio recente di Confesercenti, e’ pari a 125 miliardi di dollari l’anno, circa il 7% del Pil nazionale), non rinunciano ai vecchi e collaudati metodi per affermare il loro potere. Un commando di fuoco pronto a sequestrare, a sparare in faccia, tenere in ostaggio magari i figli di un alto esponente politico. Ed e’ cosi’ che possono maturare, per i posti chiave di governo – ad esempio la presidenza di una strategica Provincia o un sottosegretariato – le nomine di personaggi ritenuti gia’ nelle lore stesse zone di origine impresentabili, per i legami con la camorra dei loro uomini piu’ stretti.

MARONI ALLA CARICA

Come s’inscrive, nello scenario che stiamo ipotizzando, l’autentica impennata nella lotta ai clan camorristici impressa nelle ultime settimane da Roberto Maroni, ministro degli Interni, e da Antonio Manganelli, capo della Polizia? “Berlusconi – dice un esperto di intelligence che preferisce restare anonimo – probabilmente sara’ presto lasciato al suo destino. Lo dimostra il livello di fibrillazione da cui e’ stato colto dopo l’episodio di Casoria, gli errori a raffica, le dichiarazioni avventate. A reggere saldamente il timone dello Stato che non si arrende e’ ora il Viminale, da cui non a caso negli ultimi mesi e’ partito un pressing senza precedenti nel contrasto ai Casalesi e ai loro alleati, gli Scissionisti di Secondigliano. Operazioni che hanno liquidato quasi interamente il clan Letizia”.

L’escalation nella lotta alla malavita organizzata del casertano ha inizio esattamente dopo la strage di Castelvolturno, il 19 settembre dello scorso anno, quando sei nordafricani residenti nella vasta area a rischio della Domiziana, sul litorale di Caserta, vengono massacrati in un raid di camorra teso – si capira’ in seguito – a riaffermare il predominio sulla zona del boss dei Casalesi Giuseppe Setola, al cui clan sono affiliati i Letizia. Appena dieci giorni dopo, il 30 settembre, i Carabinieri del comando di Caserta arrestano gli artefici dell’eccidio. Sono Alessandro Cirillo, Oreste Spagnuolo ed il ventottenne Giovanni Letizia, gia’ ricercato per un altro omicidio collegato alla connection politica-rifiuti: quello dell’imprenditore Michele Orsi. I militari li sorprendono in due villini di villeggiatura a Quarto, sempre in zona domizia. “Secondo il pentito Oreste Spagnuolo – scrivera’ Roberto Saviano – Giovanni Letizia quando uccise Michele Orsi indossava una parrucca e ai piedi aveva un paio di Hogan di tela. Poi gli venne fame e andarono a mangiare con Letizia che aveva ancora le scarpe sporche di sangue ma preferiva pulirle con la spugnetta anziche’ buttarle. Quando il suo capo chiese perche’ perdesse tempo a lavarle rischiando di essere beccato, Giovanni Letizia gli rispose che Orsi non valeva le sue scarpe”. 14 gennaio 2009. In un edificio diroccato di Trentula Ducenta, al confine con il Lazio, finisce la latitanza del boss Giuseppe Setola. Con lui viene fermata la moglie, Stefania Martinelli. Fra il 9 e l’11 marzo la Dda partenopea mette a segno un altro colpo mortale per i Casalesi con l’arresto di altri uomini legati a Franco Letizia, cugino di Giovanni, considerato il reggente del clan. Fra loro anche il trentatreenne Vincenzo Letizia detto ‘o schizzato. 3 aprile 2009. La Mobile di Caserta arresta Armando Letizia, 56 anni. Considerato elemento di spicco del clan, Armando e’ zio di Giovanni Letizia e padre del latitante Franco. Il cerchio si stringe intorno a quest’ultimo, che sara’ tratto in manette il 19 maggio. Ma quella domenica 26 aprile, il giorno dell’arrivo di Berlusconi a Casoria per il compleanno di Noemi, un’altra e piu’ rilevante cattura forse e’ gia’ nell’aria. All’alba del 29 aprile la Direzione Investigativa Antimafia di Napoli sorprende Michele Bidognetti, fratello del boss Francesco Bidognetti (detenuto al 41 bis eppure ancora in grado – secondo gli inquirenti – di impartire ordini), ma soprattutto parente del collaboratore di giustizia Domenico Bidognetti.

Un gruppo criminale strettamente collegato a quello dei Setola e, quindi, ai Letizia. “Una storia – fanno notare in ambienti giudiziari del casertano – che puzza lontano un miglio di rifiuti. Non va dimenticato che per i Bidognetti questa e’ stata sempre una fra le piu’ lucrose attivita’. E che molte operazioni messe a segno recentemente dalle forze dell’ordine nascono dalle rivelazioni su quel maleodorante business rese da una gola profonda del settore come Gaetano Vassallo”. Senza contare, su tutto, la presenza degli imprenditori-camorristi del settore rifiuti Michele e Sergio Orsi: il primo ucciso proprio per mano del clan Letizia quando era in procinto di collaborare con la magistratura. Il secondo, arrestato nell’ambito di un’operazione anticamorra di febbraio scorso, era invece stato prosciolto nel 2007 da analoghe accuse. Al suo fianco, come penalista, c’era l’avvocato Ferdinando Letizia dello studio Stellato di Santa Maria Capua Vetere. Casertano, 35 anni, Ferdinando Letizia e’ anche consigliere comunale a Castelvolturno e capogruppo della lista “Liberamente”, sul cui sito internet si esaltano le gesta del leader Silvio Berlusconi. Il colpo inferto ai trafficanti di rifiuti con l’apertura dell’inceneritore di Acerra, il timore di perdere gli appalti da milioni di euro che ruotano intorno all’affare munnezza, potrebbero insomma essere fattori non del tutto estranei al clima rovente delle ultime settimane.

IL MILAN? ALL’OLIMPIA

Ma torniamo ai segnali. A quegli avvenimenti forse solo in apparenza “curiosi” che avevano preceduto la famosa sera del 26 aprile. Quella domenica a giocare sul campo del San Paolo c’era stata l’Inter. Ma il 22 marzo a Napoli per una sfida di campionato era sbarcato il Milan. Che per la prima volta aveva abbandonato i consueti, sfavillanti hotel del lungomare partenopeo con vista sul golfo, per andare ad alloggiare in una delle piu’ desolate periferie dell’hinterland: Sant’Antimo, Hotel Olimpia. Terra di inceneritori, ecoballe e Cdr. Al confine col triangolo della morte Nola-Marigliano-Acerra. Comune, Sant’Antimo, due volte sciolto per infiltrazioni camorristiche. Area infestata da sversamenti illegali di materiali tossici. E non lontana da quell’agro aversano da cui trae le sue origini il gruppo Setola-Bidognetti-Letizia.

L’Hotel Olimpia rientra nell’impero economico della famiglia Cesaro, che in zona possiede anche l’unico presidio sanitario disponibile per uno fra i territori piu’ densamente popolati d’Italia, il Centro Igea, ed una serie di altre lucrose attivita’. Leader della famiglia e’ Luigi Cesaro, deputato Pdl, candidato in pole position per la presidenza della Provincia di Napoli. Sui suoi pregressi legami coi clan della zona si soffermava a lungo (come la Voce ha ricordato nel numero di maggio scorso) la relazione di fuoco redatta dai commissari prefettizi inviati a Sant’Antimo dopo lo scioglimento per camorra del 1991.

Ecco i passaggi chiave. “I collegamenti di taluni degli amministratori con la malavita organizzata – clan Puca e Verde – si estrinsecano attraverso rapporti di parentela e/o cointeressi in attivita’ economiche e patrimoniali”. “La cointeressenza in attivita’ economiche si coglie soffermandosi sugli accordi in materia di appalti fra i clan di Pasquale Puca ed il clan Verde, che operano rispettivamente attraverso le cooperative “La Paola” e “Raggio di Sole”, addivenendo in tal modo ad una spartizione dei settori dell’economia locale. Della Cooperativa “Raggio di Sole” e’ socio il consigliere comunale Antimo Cesaro unitamente ai fratelli Raffaele (legale rappresentante) e Luigi”. Ancora: “Lo stesso consigliere Aniello Cesaro risulta citato a comparire dalla Autorita’ Giudiziaria in ordine a molteplici attivita’ estorsive messe in atto da Pasquale Puca, capo dell’omonimo clan camorristico operante in Sant’Antimo e Casandrino; risulta avere in atto procedimenti per truffa, interesse privato in atti d’ufficio, omissione in atti d’ufficio e peculato”. Diciannove anni dopo, di Luigi Cesaro (e del suo “gemello” politico Nicola Cosentino, sottosegretario all’Economia), parla Gaetano Vassallo, come ricorda l’Espresso in un’inchiesta di settembre 2008. E qui tornano le coincidenze. Perche’ se le verbalizzazioni del pentito dovessero trovare conferma, a favorire l’attivita’ imprenditoriale dei Cesaro non sarebbe stato un clan qualsiasi. Ma il gruppo di Francesco Bidognetti, alias Cicciotto ‘e mezzanotte.

APTOPIX ITALY BERLUSCONI

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CRIBBIO!

Nella sfida per la carica di sindaco il vice primo cittadino uscente
stacca nettamente Morandini del Pdl. La leghista Giuliani terza
Trento, Andreatta verso la vittoria
E i democratici sono il primo partito

TRENTO – Le sezioni scrutinate sono 53 su 97. E portano buone notizie per il Partito democratico e i suoi alleati. Alessandro Andreatta, vicesindaco uscente e candidato primo cittadino a Trento, è in nettissimo vantaggio sullo sfidante Pino Morandini del Pdl: 64,15% contro il 21,01%. La candidata leghista, Bruna Giuliani, si attesta sul 7,56%.

“Sono molto soddisfatto, il nostro progetto è stato premiato, è una vittoria di tutta la coalizione”, è stato il primo commento a caldo di Andreatta. Che rappresenta il centrosinistra autonomista: Pd, Upt, Di Pietro-Idv, Patt, Udc, Verdi, Socialisti democratici e Leali. Morandini, invece, rappresenta il Pdl e una lista civica col suo nome. Tra i partiti il più votato è il Pd, che si attesta sopra il 31%, seguito dall’Unione per il Trentino 15,5% e dal Pdl 11,9%. La Lega è all’8%, l’Idv al 3,6% e l’Udc al 2,55%.

Con circa il 64% dei voti, Andreatta si colloca praticamente allo stesso livello del suo predecessore, Alberto Pacher, sindaco storico e leader del Pd trentino che, nel maggio del 2005, arrivò al 64,3%. In quell’occasione, il Pd non c’era ancora: i democratici per l’Ulivo raggiunsero circa il 18% e la lista civica per Pacher arrivò al 28%. Alle politiche del 2008, gli elettori del comune di Trento diedero il 38% al Pd, il 6,3% all’Idv, il 25,7% al Pdl e il 12,1% alla Lega Nord.

Ma questa tornata amministrativa – che ha coinvolto anche altri cinque comuni del Trentino, e quattro dell’Alto Adige – è stata caratterizzata anche dalla bassa affluenza. A Trento, ha espresso il proprio voto il 60,15% degli elettori. Alle precedenti comunali del 2005 aveva votato il 70,16% degli aventi diritto.

PARTE LA DéBACLE?

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A proposito del latrin lover

Scandali e dimissioni all’estero
di Cesare Buquicchio

Esistono motivi di opportunità morale, prima che politica. Pressioni di alleati. Richieste formali degli oppositori politici. Spinte dell’opinione pubblica. Sollecitazioni della stampa. Sono tanti i percorsi che hanno portato i politici di mezzo mondo a rassegnare le dimissioni se coinvolti in scandali sessuali più o meno gravi.

Ilkka Kanerva, ministro degli Esteri del governo finlandese, sposato e padre di due figlie trentenni, è stato costretto a rassegnare le dimissioni, nell’aprile 2008, in seguito alle rivelazioni di una spogliarellista di 29 anni, che ha fatto sapere di essere stata bombardata di sms a sfondo sessuale. Solo sms.

Jin Renging, ministro delle Finanze del governo cinese si è dimesso nell’agosto del 2007 ufficialmente per ragioni personali. Secondo un giornale di Hong Kong, sarebbe legato costretto a rassegnare l’incarico a causa dello scandalo sessuale in cui era coinvolto con la sua amante.

Moshe Katsav, presidente dello Stato di Israele, si è autosospeso dall’incarico nel gennaio 2007 dopo uno scandalo sessuale. Andrzej Lepper, vicepremier e ministro dell’Agricoltura in Polonia, è stato licenziato dal Capo di Stato nel settembre 2006 a causa di uno scandalo sessuale. E si potrebbe continuare a lungo.

Il caso più celebre di tutti rimane quello del presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, coinvolto nel 1998 in un eclatante scandalo sessuale dopo le rivelazioni di Monica Lewinsky, una ex stagista della Casa Bianca. Il Presidente fu sottoposto a formale richiesta di “impeachment” dai suoi oppositori politici e fu giudicato “non colpevole” dal Senato. Secondo stampa e opinione pubblica, a pesare sulla decisione fu il “perdono” di sua moglie, l’attuale segretario di Stato, Hillary Clinton.

Chissà come sarebbe finita per un presidente con la moglie “contro”…

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