REGIME ALL’AMATRICIANA

Quando Tremonti ordinò sanzionate la Gabanelli

«Con la presente il sottoscritto prof. avv. Giulio Tremonti chiede l’immediato esercizio dei poteri sanzionatori». Inizia così l’ultimo affondo del ministro dell’Economia contro l’informazione, avviato ai danni di Milena Gabanelli e la sua «pericolosa» trasmissione Report. Non è piaciuta al ministro la puntata su social card e Tremonti bond, nonostante fosse stato intervistato lui stesso.

Così ha scritto 5 cartelle di esposto-denuncia alla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e alla Commissione parlamentare per l’Indirizzo generale e la Vigilanza dei servizi radiotelevisivi. L’intento è chiaro: dimostrare la poca obiettività del programma, e dunque la lesione del dovere di informazione imparziale e completa imposto dal servizio pubblico. Insomma, non è una rettifica, tantomeno una querela. Ma Tremonti vuole comunque farsi sentire, esercitare «il potere sanzionatorio».

In effetti il rapporto del ministro con giornali e mass media in generale è costellato di eventi leggendari. Rumors più disparati raccontano di telefonate infuocate, battibecchi nervosi, arrabbiature furibonde. Certo, tutti i politici si arrabbiano con la stampa. E tutti vorrebbero averla amica e, se possibile, asservita. Ma Tremonti è tra i pochi (non l’unico, nell’intero arco parlamentare) a prendere iniziative in prima persona, a guerreggiare all’arma bianca con chi si occupa di lui. È quasi un corpo a corpo che il ministro ingaggia a colpi di pressioni indebite e invettive. Anche perché – lo sanno bene anche i non addetti ai lavori – la verve non gli manca.

A scorrere le cinque cartelle anti-Gabanelli traspare un furore montante. Tremonti parla di «lesione dei principi di completezza, correttezza, – si legge – obiettività ed imparzialità dell’informazione». Poi procede per punti, elencandone sette. Nel primo parla di «sintesi deformata di alcuni delicati e rilevanti aspetti dell’attualità, che ha assunto i contorni della propaganda negativa». Si riferisce forse il ministro al fatto che la social card è stata fornita solo a pochi, e che molti l’hanno ricevuta scarica? O che rappresenta anche uno strumento su cui MasterCard riesce a fare un buon business grazie alle commissioni versate dai commercianti? Tremonti parla di «tesi preconfezionata», ma la realtà non è molto lontana da questa tesi. Anzi. Il ministro non dimentica di difendere, naturalmente, il «legittimo esercizio del diritto di critica». Peccato però che questo secondo lui non sia il caso: perché tutto il contesto sarebbe stato creato da Gabanelli attraverso una «capziosa estrapolazione di brani tratti da conferenze stampa».

Si arriva così all’accusa (terzo punto) di «utilizzo strumentale del mezzo televisivo». Tremonti rammenta come «tutte le trasmissioni di informazione devono rispettare la pluralità dei punti di vista e la necessità di contraddittorio». Peccato che (troppo) spesso molti esponenti di governo appaiono in video davanti a un microfono e senza neanche una «faccia» a porgere la domanda. A proposito di contraddittorio. Naturalmente meglio se all’ora di cena, e in una giornata in cui qualcun altro ha lanciato critiche all’operato dell’esecutivo.


°°° La sintesi è questa: la libertà di stampa e la democrazia reale questi cialtroni li disintegrerebbe in due settimane. Ecco perché a loro serve il regime e l’oscuramento delle notizie. BUFFONI!!!

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LA SEGRETARIA DI TVEMONTI

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Che dio vi fulmini!!!

Amici, la tappa più interessante del Giro d’Italia viene interrotta da questa cagata di Tg3 regionale: cloaca massima di servi assolutamente proni e incapaci di gasparri e la russa. Per chi non lo sapesse, il Tg3 delle 19 è l’unico Tg italiano considerato quasi passabile – SECONDO I CANONI OCCIDENTALI DELLA INFORMAZIONE CORRETTA – mentre tutte le altre edizioni, soprattitto quelle regionali, sono nelle mani degli sguatteri suddetti dal 1994. Ci sarebbe da ridere, non fosse perché è la testata “giornalistica” più popolosa del mondo… pensate che ha quasi duemila stipendiati: sette volte più dei notizieri della BBC. Cosa ti sento? Che silvio berlusconi, nominato tre volte, ha raccomandato al sindaco aleMAGNO di porre rimedio ai guasti delle amministrazioni di sinistra, soprattutto contro i graffitari, perché “Roma mi piace, ma sembra una città africana“…

Ora, a parte la volgarità e l’offesa all’Africa e alle città africane (dove non lo vorrebbero nemmeno come spazzino e lo avrebbero condannato a morte a raffica dal 1972: data in cui ebbe la prima indagine per traffico di droga, armi, e riciclaggio) ma io, amici, ho vissuto a Roma PRIMA di Rutelli, quando rubavano e devastavano i compari di silvio berlusconi. Roma era una cloaca a cielo aperto, delinquenza, baraccati, immondezza, monumenti derubati e deturpati continuamente, zero cultura e zero civismo. Il sindaco del Psi, cacciato – per fortuna dopo pochi mesi – intanto si era rubato una villa pubblica e pure i 40 milioni di denaro pubblico per restaurarla, proprio a Villa Borghese. Sto parlando di quel ladro di amico di berlusconi che ha comandato per anni le zozzerie del mondo del calcio. Rutelli prima e Veltroni poi – che come leader di partito non valgono un cazzo – sono satati i migliori sindaci della storia. Hanno aperto e chiuso nei tempi prewvisti – E SENZA RUBARE UNA LIRA! – migliaia di cantieri. Hanno ripulito Roma. Hanno finanziato e creato servizi mai sognati. Hanno creato strade, viadotti, raddoppiato l’infernale Raccordo anulare. Hanno risanato la sanità e aperto tanti nuovi ospedali di eccellenza, in accordo con la regione. Hanno creato cultura e centri di cultura: come La città della musica. Hanno inventato l’Estate Romana (di cui mi onoro di essere uno dei padri). moltiplicando ed espandendo l’idea iniziale di renato Nicolini e del sindaco Vetere. Hanno inventato LA NOTTE BIANCA, che costava 24 milioni (soldi degli sponsor) e portava nelle casse del comune 44 milioni di euro, immediatamente spesi per welfare e opere pubbliche. Insomma… Roma era la più bella, la più pulita, la più vivibile e godibile, la più sicura, la più tranquilla, la più colta delle metropoli di tutto il mondo. In soli didici mesi cos’è Roma? Un posto di merda invivibile, buia, sporca, disordinata, insicura, priva di cultura, inquinata (vogliono addirittura fare un GP di formula uno, che la città impiegherà un anno a smaltire). Roma è una brutta città di provincia, fascista, pericolosa, teatro di orrendi spettacoli e di aggressioni razziste e xenofobe. Ho appena visto un paio di minuti del pedofilo mafioso alla CNN: guardate la postura… nemmeno un bambino che ha sgozzato la sorellina si siede così affannato per difendere le due bugie INDIFENDIBILI!
Silvio., LEVATI DAI COGLIONI IN FRETTA!!!

alemagno

berlusconiimbecille1

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Regalo

VI PIACCIONO I RACCONTI EROTICI? Questo è un soggetto per un film. BUONA LETTURA:

Copyright © Lucio Salis 1993
Riproduzione vietata

CARMELA

Carmela guardò la sua figuretta allo specchio. Era in piedi, nuda, e la sua sfarzosa sala da letto tutta bianca e rosa era inondata dal sole mattutino. Si passò lentamente le mani sui fianchi asciutti; non un filo di cellulite, non una smagliatura. La pelle bruna, i seni piccoli e sodi, il ciuffo ordinato e scolpito del pube. Sì, pensò, niente male. Aveva appena ventisette anni ed era già da qualche mese a capo una temibile cosca. Era una femmina d’onore. Mente strategica e, nei primi tempi di militanza, anche implacabile ed infallibile tiratrice aggregata ai gruppi di fuoco. Rispettata ormai dagli altri capi e temuta per la sua scaltrezza e per la sua ferocia, andava dritta per la sua strada. Da un mese abitava nella villa bunker blindata e super protetta, 24 ore su 24, da marchingegni elettronici e da una ventina di picciotti armati sino ai denti, che stravedevano per lei. Intoccabile,. Inavvicinabile. Cominciò a vestirsi. Si fece ancor più bella e desiderabile. Solitamente, faceva venire alla villa una parrucchiera di sua fiducia. Quella mattina aveva deciso di uscire dall’isolamento e andare lei in città. Non voleva dare nell’occhio, anche se la cosa era abbastanza impossibile. Nonostante la sua posizione ed il rispetto reverenziale di cui godeva, erano pur sempre alle falde dell’Etna e non in pieno Sahara. Dopo un’ultima occhiata soddisfatta al grande specchio, aprì la porta della sua stanza. Subito, i due uomini di guardia in fondo al corridoio, scattarono in piedi pronti ad accompagnarla. Uno dei due scese velocemente lo scalone, quasi scivolando, ed uscì nel parco ad impartire degli ordini. Due macchine blindate si misero in moto e si accostarono alla scalinata d’ingresso. Altre quattro auto identiche alle prime e con la stessa targa erano già in moto davanti al pesante cancello. Una grossa moto Honda che fungeva da apripista, identica ad altre due che sostavano all’ingresso del viale, si avvicinò con appena un leggero fruscio al cancello di ferro in fondo al viale d’accesso. I tre uomini di guardia, due giovani e uno sui cinquanta, smisero immediatamente di giocare a pallone e si avvicinarono a parlottare coi due tizi della prima moto. Tutti aspettavano che Carmela montasse sulla seconda Lancia Thema davanti alla scalinata, per azionare il dispositivo d’apertura del cancello. Lei arrivò e finalmente i tre cortei si misero in moto. Ognuno prese una direzione diversa. Meglio essere prudenti. La moto e le auto con a bordo la boss attraversarono una provinciale deserta e una periferia altrettanto deserta. Raggiunsero senza problemi il pretenzioso salone, troppo addobbato per essere in una zona periferica, e uno degli uomini scese ad aprire la portiera per far scendere la boss. Altri tre uomini erano già scesi e scrutavano i paraggi con noncuranza. La Honda arrivò silenziosamente sino all’incrocio e parcheggiò. I due soldati smontarono e si liberarono dai caschi. Anche se non si notava niente, tutti gli uomini erano armati di tutto punto e nei bauli dei mezzi c’era una vera e propria Santabarbara. Non erano in guerra al momento, ma la prudenza non era mai troppa. Troppi soffioni dell’ultim’ora. E appena un boss sapeva di bruciato, troppi erano pronti a prenderne il posto. Quando un albero cade, per grosso che sia, tutti fanno legna. Carmela entrò nel locale, non appena un suo uomo addetto al controllo ne fu uscito per dare la via libera. Come convenuto, non c’erano altre clienti. Venne accolta dal rispettoso calore di Anna, la sua parrucchiera di mezza età, mentre la giovane assistente Isa la salutò chinando appena la testa. Carmela venne fatta accomodare e Isa cominciò a farle lo shampoo. Sentendo le mani della ragazza che le massaggiavano i capelli e la cute, ebbe un brivido di piacere. Isa aveva vent’anni ed era la più bella ragazza del circondario. Era fidanzata con un giovane meccanico da più di un anno e non erano mai andati oltre i baci e qualche palpatina superficiale. Taciturna e discreta, somigliava in maniera impressionante a Claudia Cardinale ventenne. Carmela era pazza di Isa, da quando l’aveva centrata nel mirino del suo sguardo, e la voleva a tutti i costi. Anna sospettava qualcosa del genere: da quando la ragazzina era entrata a lavorare da lei, qualche mese prima, e Carmela l’aveva notata, era stato un susseguirsi di “Come sta Isa? Dove sta Isa? Che fa Isa?” Ogni volta che andava da sola alla villa trovava Carmela agitata e seccata per il fatto di non vedere la giovane aiutante. E partiva colle domande. Anna avrebbe potuto vedere susine nascere da un banano e non si sarebbe stupita. In un primo momento aveva cercato a modo suo di proteggere la ragazzina, poi, temendo ritorsioni, aveva cominciato a cedere. Sperando di ingraziarsi ancora di più quella cliente d’oro, le aveva intonato all’orecchio una dolce melodia: Isa era ai ferri corti col ragazzo e, a causa di questo, anche coi suoi famigliari. Ecco perché Carmela aveva deciso quella visita in città: poteva essere un buon momento per l’attacco. In realtà, Isa era insofferente in famiglia perché i suoi le negavano anche un minimo di libertà ed era un po’ in freddo con Rosario proprio perché a lui non bastava più vederla così poco, e farci ancora meno. Anna le spuntò appena i lunghi capelli neri ancora umidi e applicò dei bigodi, quindi prese il casco a rotelle che Isa aveva avvicinato e lo applicò. “Una mezz’oretta!” gridò, chinandosi, e sparì nel retrobottega. Isa accostò uno sgabello e un carrellino pieno di attrezzi per la manicure, prese posto sul trespolo accanto a Carmela e le sorrise. Lei porse la mano, che Isa le fece mettere a bagno nell’apposita vaschetta con acqua tiepida, sapone liquido e bicarbonato. Anche lei sorrise e la fissò. La ragazzina abbassò gli occhi.
– Scotta? – chiese, indicando il casco. Carmela piegò all’ingiù gli angoli della bella bocca e scosse impercettibilmente la testa.
– Ti trovi bene qui? – chiese. La ragazzina ci pensò un attimo:
– Abbastanza. – dopo un po’ aggiunse: – Non è che c’è tutto sto lavoro in giro.
– Ci verresti a lavorare da me?
– Parrucchiera? – si accorse subito di aver detto una sciocchezza e strinse le labbra. Tolse la mano di Carmela dalla vaschetta e cominciò a lavorare.
– Che belle mani che avete. – disse, quasi a scusarsi.
– Grazie. Sono più belle le tue, però… così bianche… Allora? Ci verresti? Mi fai da dama di compagnia. Una specie… Non ho sorelle. Ho solo un fratello e lavoro con tutti maschi… Che dici? Ti pago bene.
– Non so… – fece una smorfietta. Era decisamente spiazzata. Carmela capì di aver trovato un varco e spinse a fondo:
– Ti do duemila euro al mese. Vitto e alloggio. Bella vita, bei vestiti… Allora?

Isa rise piano e guardò verso il retrobottega:
– Qui guadagno quattrocento euro.
– Vuoi che ci parlo io coi tuoi?
– Non so… – altra smorfietta. – Mi piacerebbe. Glielo dico io a mia mamma.
– Brava. Con Anna ci parlo io. Puoi cominciare pure domani, se vuoi.

Due giorni dopo, accompagnata da uno dei soldati, Isa si presentò al portone della villa. Aveva un borsone da ginnastica colla sua roba e il suo cuore batteva come un tamburo.
Ad Anna fu consegnata una busta con cinquemila euro in contanti, che intascò soddisfatta e riconoscente. Nello stesso momento, Carmela stava facendo visitare la villa alla giovane amica. “Intanto, cominciami a dare del tu. Completamente.” Le aveva detto subito. La condusse prima nella sala hobby: trecento metri quadri di giochi, tra un luna park e un casinò. Strumenti per un’orchestrina su un palchetto d’angolo. Dall’altra parte del salone si accedeva al piccolo cinema privato, tutto in rosso e completamente insonorizzato, con una ventina di poltroncine comodissime. Sempre dal sotterraneo, si scendeva al bunker antiatomico, dotato di provviste, cucina, armeria, sala operatoria modernissima, due confortevoli camere con una decina di letti ciascuna, due stanze da bagno e una camera matrimoniale con servizi e caveau annessi. Lì c’era il tesoro della cosca. Ma il bunker venne escluso dalla visita. Salirono al pianterreno dove, tra un “Oh!” di sorpresa e l’altro, Isa ammirò uno sterminato salone delle feste riccamente arredato, corridoi in marmo che portavano ad una grande sala da pranzo, con annessa anche una saletta più intima e riservata, e bagni e cucine che avrebbero fatto invidia a qualunque buon ristorante. Quindi fu la volta del piano superiore. Quattro camere da letto, tutte arredate con gusto sopraffino e tutte con sala da bagno privata e completa di sauna e idromassaggio. C’erano anche altre cinque porte chiuse, le stanze dei soldati e i loro spogliatoi. Ma quelle vennero saltate. Passarono al solarium, completo di sauna finlandese, palestra, sala massaggi, e centinaia di piante esotiche che contornavano un acquario enorme e bellissimo. C’era anche un fornitissimo bancone bar e quattro tavoli da pranzo, sotto un pergolato. Durante tutta la visita, due dei soldati avevano seguito le ragazze con discrezione e avevano provveduto a richiudere le porte che Carmela lasciava aperte. I due picciotti si appoggiarono al bancone, mentre le due donne si affacciarono alla terrazza, da lì si potevano vedere sia la piscina olimpionica che la piscina coperta, i due campi da tennis, il campetto di calcio completo di porte, le immense voliere popolate da ogni variopinta specie di volatile, le scuderie e giù, verso il limitare di un boschetto, il maneggio. C’era un uomo che faceva passeggiare un baio e gli accarezzava il collo possente. Isa era estasiata e non aveva parole. Carmela se la mangiava cogli occhi, fiera dell’impatto avuto, e già pregustava l’ora X. La prese per mano e la condusse nella sua stanza. Tra la camera e la sala da bagno, c’era un ordinatissimo spogliatoio fornito quanto un negozio del centro di Roma o Milano. Fece scorrere l’anta di un armadio a muro e aprì un cassetto, dentro c’erano una cinquantina di costumi da bagno di ogni foggia e colore.
– Ti va una nuotata? Scegliti quello che vuoi. Dai, non stare così imbambolata! Provatene qualcuno.

Isa stava lì, colla bocca aperta, ancora sconvolta. Troppe cose belle tutte insieme.
– Ehi! Dico a te! Questa è casa tua, adesso. Mi capisti? E’ roba anche tua. Andiamo! – si mise a frugare e ne scelse uno. – Tie’, provati questo. Abbiamo le stesse misure… Questo nero ti dovrebbe stare una favola. E sveglia! –
La incitò, ridendo. Isa, per tutta risposta, le si aggrappò al collo e scoppiò in un pianto dirotto. Era gioia? Non che Carmela se ne preoccupasse, lei badava a stringere quel corpo e a carezzarlo il più possibile, rassicurante. Poi le prese il viso tra le mani e la baciò teneramente sugli occhi allagati.
– Cosa c’è, piccola? – sussurrò col broncetto. – Cosa c’è? Va tutto bene… Ci penso io a te, ora. Mi capisti? Ci sono io qui. Dài, lavati il viso e andiamo in piscina.
La fece voltare e le diede una sculacciata. Prese alcuni costumi e la guidò verso il bagno. Le lavò il viso e glielo asciugò con una immacolata salvietta di lino, quindi cominciò a sbottonarle la camicetta. Isa continuava a piangere di gioia e di dolore. Pensava a tutta quella magnificenza e alle mani nere e callose di Rosario, e a quanto le sarebbe piaciuto se ora al posto di Carmela ci fosse stato lui. Gli avrebbe donato la sua purezza, su quell’immenso letto col baldacchino bianco e rosa. Era nuda. Perfetta. Fuori impazzava il solleone di giugno e lì, in quel vasto bagno fresco e ventilato, Carmela vedeva come l’aveva sempre sognato quel corpo stupendo e desiderato. Le si seccò la lingua, mentre posava il primo dei reggiseni sul petto di Isa. Lei, imbambolata e frignante, lasciava fare.
– Ci facciamo una bella nuotata e poi un buon pranzetto. A proposito, cosa vuoi mangiare?

Isa sembrò tornare in sé in quel momento. Fece spallucce e finalmente un largo sorriso le colorò il volto. Carmela sorrise a sua volta, complice, e le fece cenno di aspettare ; staccò un telefono interno dal bordo dell’immensa Jacuzzi incassata nel pavimento di marmo, premette un tasto e attese, senza distogliere lo sguardo da quel ciuffetto di peluria biondiccia. Dio, cos’era!
– Mari’, che si mangia oggi? – una vocina gracchiò e Carmela cominciò ad annuire, mordicchiandosi le labbra. – Aspetta un momento – disse, e si rivolse ad Isa:
– Ti piacciono gli spaghettini alla pescatora, le oratine… il pesce insomma? – Isa annuì con forza e prese ad indossare un costumino bianco di seta. Carmela approvò con una smorfia di soddisfazione e tornò all’interfono:
– Allora, Mari’, ottimo così. Pronto tra un’ora.

Chiuse la comunicazione. Maria era l’unica donna presente nella proprietà, oltre a loro due; aveva sessant’anni ed era una cuoca superba. Le avevano ucciso il marito e due figli, a Trapani, una mattina di tredici mesi prima. Senza motivo, per una lite da bar. Loro non erano dell’onorata società, ma umili pescatori che si erano sempre fatti i fatti loro. Sua sorella, sposata e residente a Catania, era andata a piangere da Carmela. La giovane boss, conosciuta la storia e avuto il consenso del capofamiglia e del capo mandamento locali, era andata personalmente con tre dei suoi dall’altro capo dell’isola, le aveva regalato la vendetta e se l’era portata a casa. Maria si era dimostrata subito grata e affettuosa come e più di una mamma. Faceva funzionare la casa come un orologio.
Isa era di una bellezza e di un’eleganza indescrivibili. Carmela si spogliò velocemente e finse incertezza nello scegliere uno dei quattro costumi rimasti, per permettere alla ragazzina di ammirare il suo corpo perfetto. Centro! Isa la riempì di complimenti. Carmela, soddisfatta, indossò un Parah nero. Gaie come bambinette, prese per mano, corsero verso la piscina. Si tuffarono mille volte. Fecero belle nuotate ristoratrici, poi si abbandonarono esauste e sorridenti sui lettini accanto agli ombrelloni gialli, vicino al tucul – spogliatoio di legno e frasche. Il costumino bianco di Isa, così bagnato, era diventato trasparente. E Carmela la trovava sempre più golosamente intrigante. Pensava a come corteggiarla con successo, non avrebbe sopportato un suo no. Ma non voleva nemmeno impiegare una vita a conquistare la sua fiducia e il suo cuore. E quel suo corpo divino. Il sole non le aveva ancora completamente asciugate, quando Maria si fece sulla porta della cucina e agitò un braccio nella loro direzione. Carmela, dopo uno schiaffetto sul ginocchio dell’amica, si diresse alle vicine docce esterne prontamente imitata da Isa. Poi entrarono nel tucul, indossarono un ricco accappatoio di spugna e andarono a tavola. Non si era visto un solo uomo in giro. Ce n’erano almeno quindici appostati, ma non se ne scorgeva uno. Ordini precisi del capo. Mangiarono con buon appetito, soprattutto Isa, che non perdeva occasione per fare complimenti alla cuoca e magnificare tutto. Erano due buone forchette. Poi Isa insistette per preparare il caffè personalmente e fu molto fiera del risultato. Andarono di sopra per un riposino. Carmela le assegnò la camera attigua alla sua, dove predominava il turchese tra i colori pastello e c’erano stucchi veneziani al posto della stoffa da parati. Le mostrò il guardaroba. Conteneva ancora pochi capi, ma alle sette sarebbe arrivato un furgone col meglio dei capi taglia 42, regolarmente griffati. Ma questa sarebbe stata una sorpresa. La merce faceva parte di un carico diretto a due negozi del centro, che suo fratello ed altri tre dei ragazzi avevano “dirottato” alcuni giorni prima. Il furto di interi Tir era una delle attività marginali della famiglia. I cassetti con la lingerie invece aveva provveduto lei stessa a stiparli il giorno prima. Andava pazza per la biancheria intima di classe e, naturalmente, aveva scelto per la sua Isa i pezzi più eccitanti. Lasciò volutamente sola la ragazzina elettrizzata e raggiunse la propria stanza. Si sarebbe sciolta da sé mano a mano. Si liberò dell’accappatoio e si allungò languidamente sul letto. Prese un telecomando dal cassetto del comodino e azionò l’oscuramento delle vetrate blindate. Prese un altro telecomando e, magicamente, le tende si aprirono e un video wall apparve sulla parete di fronte; e nello schermo di due metri per uno e cinquanta apparve Isa che si provava, civettuola, alcuni capi di biancheria davanti al grande specchio della sua stanza. C’erano sei microcamere ad alta definizione disseminate nella stanza della ragazza. Carmela se la godette per un po’, poi rimise a posto le tende e cominciò a toccarsi. Dedicò l’orgasmo alla piccola Isa. Circa mezz’ora dopo, il suo pisolino venne interrotto da una telefonata di lavoro. Mezzasalma, da un cellulare coperto, la chiamò al numero tre: aveva dodici cellulari, numerati ed intestati a persone insospettabili; a seconda del settore, i suoi vice avevano un numero solo per entrare in contatto diretto con lei, quello. La notizia era pesante: una squadra dei ROS aveva scoperto il covo di suo fratello Antonino e sarebbero andati a prelevarlo all’alba. Lei disse semplicemente: OK, e chiuse. Antonino sarebbe arrivato alle sette col carico dei vestiti, l’avrebbe nascosto alla villa. Chiamò Valenti e gli ordinò di ripulire il rifugio di suo fratello a Catania.
– Vale’, naturalmente ci stanno le baby sitter che fanno il loro lavoro. – disse a conclusione. E Valenti capì che la casa era sotto controllo degli sbirri. Si sarebbe regolato. Carmela sapeva che poteva fidarsi della perizia e dell’esperienza di Valenti e considerò la cosa fatta. Indossò un kimono bianco di seta e andò a rinfrescarsi il viso. Dal bagno comunicante udì il canto melodioso di Isa, aveva una vocina splendida e intonata. Bussò alla porta, blindata, che divideva i due locali, poi senza indugio posò la sua mano aperta sul calco della sua stessa mano: era il terzo da destra in mezzo, tra i ventuno calchi che ornavano la parte laccata della porta, e questa magicamente e silenziosamente cominciò a scorrere. Si poteva aprire soltanto così. Si trovò davanti la ragazza, sorpresa e intenta a coprirsi alla meglio. Stava provando qualche abitino davanti alla grande specchiera. Quando vide che si trattava della padrona di casa, Isa si rilassò e si misero a ridere contemporaneamente. Carmela la pregò di continuare, si accomodò sul divanetto di midollino laccato bianco, tra due giganteschi ficus, e giocarono alla sfilata. Molto, molto eccitante. Anche Isa, infine, indossò un kimono simile a quello che portava lei, nero con ideogrammi rosa, e passarono il resto del tempo a chiacchierare sul letto di Carmela. La ragazzina si aprì e sfogò colla nuova amica un po’ dei suoi crucci. L’altra ascoltava interessata e preparava il suo piano d’attacco. Intorno alle sette, il cicalino informò che c’erano visite. Mandò Isa a vestirsi per la cena, col telecomando regolò l’intensità dell’aria condizionata, indossò jeans e Lacoste in tinta e scese. Era arrivato Antonino coi vestiti. Fece portare gli stander carichi in camera sua e si appartò col fratello. Antonino, un giovanottone di trentuno anni bello e massiccio, ascoltò con irritazione. Il suo colorito olivastro e già abbronzato dal sole marino, sbiancò per la rabbia. Lei lo riportò alla calma, ora paziente, ora aspra. Non sarebbe stata la fine del mondo scomparire per qualche tempo. Le acque si sarebbero chetate. Gli affari prosperavano e lui se ne sarebbe stato tranquillo al coperto, fintanto che gli uomini non avessero preparato un altro rifugio sicuro per lui in città. Alla villa non c’era nulla da temere, da parte degli sbirri almeno: Carmela era incensurata, come il fratello, e loro non sospettavano nemmeno che fosse addirittura un boss. Anche la copertura eccellente, che la dava come azionista di svariate aziende nazionali e internazionali, tutte floride e in espansione, la preservava da sospetti e visite inaspettate. Cenarono insieme sulla terrazza e anche Antonino rimase piacevolmente colpito da Isa. Dopo cena, gustarono una copia regolare di un film appena uscito nelle sale e a mezzanotte si ritirarono. Isa baciò con affetto e gratitudine la sua amica, davanti alla porta aperta della sua stanza. Carmela ricambiò l’abbraccio, ma decise di non andare oltre. Fu dura prendere sonno, a pochi metri da quel corpo da favola. Ricacciò più volte l’impeto di andare nell’altra stanza. La ragazzina le era entrata nel sangue, ma sarebbe stato prematuro e rischioso farsi avanti ora. L’avrebbe spaventata. L’avrebbe perduta per sempre. Provò a guardare una cassetta lesbo, di solito la eccitava e pensava lei a calmarsi. Si frugò quasi con rabbia e venne in maniera quasi dolorosa. Finalmente crollò. Sogni agitati. La mattina dopo, impartiti alcuni ordini, andò a sfogarsi in piscina. Venne raggiunta, intorno alle dieci, da una Isa preoccupatissima: non sapeva se si sarebbe dovuta presentare prima, né quali fossero i suoi doveri.
– Che devo fare? – chiese, maltrattandosi le mani, ritta sul bordo della piscina. Quella sortita rimise Carmela di buon umore. La guardava sputacchiando l’acqua che le entrava in bocca, tenendosi a galla con un leggero stile rana:
– Cosa devi fare?! Intanto, levati subito quella roba e metti un costume.
– E poi?
– E poi, niente. Vieni a farti una nuotata.
– Ma io… Il mio lavoro qual è? Che devo fare?
– Esistere. – scandì Carmela e si inabissò. Isa restò incerta e ammutolita, senza muovere un solo muscolo, finché Carmela non riemerse e le spruzzò dell’acqua addosso, ridendo.
– Allora?! Vuoi fare notte lì? Vai a metterti un costume… o buttati nuda. Dài!

Isa, come in trance, entrò nel tucul e ne uscì col costume bianco del giorno prima. Nuotarono, fecero la doccia, giocarono maldestramente a tennis scalze e scarmigliate. Passeggiarono fino al maneggio, poi fecero una breve gara di corsa fino alla piscina. Fecero un’altra doccia tra le risate e salirono in terrazza per il pranzo. Carmela era raggiante, le avevano comunicato persino l’esito positivo di un grosso affare che aveva in ballo da mesi, a Milano. Isa viveva quelle ore come sospesa, sempre in preda a una specie di vertigine. Ancora non si rendeva pienamente conto della “fortuna” che le era capitata. Sul tavolo troneggiava un secchiello d’argento imperlato, col ghiaccio e una bottiglia di Tattinger appena stappata. Carmela riempì i due bicchieri. Antonino stava a un altro tavolo con alcuni dei ragazzi, oltre un’alta siepe di rosmarino e alloro piantati in mezze botti di rovere, anche loro festeggiavano. Il bel fratellone aveva avuto l’ordine di distribuire a tutti un cospicuo soprassoldo. I soldati mangiavano in una sala apposita, oltre la dispensa. Erano sole. Isa non si abbandonava ancora.
– Brindiamo! – fece allegra Carmela, facendo tintinnare i calici. Isa assunse un’espressione della bambina sorpresa a combinare qualche marachella e bevve un sorso, strizzando gli occhi e arricciando il delizioso nasino:
– Buono! – ammise. Poi fece un ampio gesto colla mano:
– Ma… tutto questo… Non so… Cioè… Se poi mi vuoi dare anche tutti quei soldi di… di stipendio che hai detto… Non riesco a rendermene conto. Non capisco… Questo non è un lavoro, è meglio di una vacanza da ricchi. Non lo capisco…

Si portò i pugni sotto il mento, poggiò i gomiti sul tavolo e attese, guardando la sua ospite. Carmela si pulì le labbra, bevve un altro sorsetto di champagne e agitò le palme aperte davanti al viso:
– Non c’è proprio niente da capire. – disse – E’ così semplice… Io sono molto ricca… E molto sola. Non ho amiche. Tu mi piaci, sto cominciando ad affezionarmi… Niente… Voglio fare qualcosa per te, in cambio della tua amicizia, del tuo affetto, e della tua… fedeltà. Ti sembra strano? Per me non è strano. Tutto questo… Tutto il resto che ho… è inutile se non lo divido con qualcuno. Lo voglio condividere con te. Tutto qui. E adesso mangia i gamberoni ché sennò si freddano e diventano uno schifìo. Anzi, attenta a me, guarda come si fa… vedi? Devi togliere questa schifezza, questa strisciolina nera che hanno sulla schiena. Questa è la cacca… mi capisti?
– Non ci posso credere! – ridacchiò Isa, alle prese con un bel gamberone arrosto. Scuoteva la testa, toglieva la strisciolina con l’aiuto di un coltello, rideva in silenzio e ripeteva:
– Non è possibile… Non ci posso credere mai! –
Dopo il secondo gamberone, si accorse che Carmela la fissava soddisfatta. Come un genitore che gode della soddisfazione del proprio bambino per aver appena ricevuto un bel regalo. La fissò anche lei e le domandò a bruciapelo:
– Ma perché dividere questo con me e non con un uomo? Tu sei bellissima, intelligente, ricca, allegra… Puoi avere tutti gli uomini che vuoi… possibile che non hai un ragazzo?
– Mangia! – Non parlarono più per tutto il pranzo. Isa era certa di aver toccato un tasto dolente e non ebbe il coraggio di approfondire. Forse una forte delusione, pensò, forse… Ma non era affar suo. Carmela si immerse nei suoi pensieri e lasciò quasi tutto nei piatti.
L’atmosfera si rasserenò subito dopo il caffè. Che preparò Isa e porse all’amica, accompagnato da una carezza solidale ai suoi capelli ancora umidi. Carmela abbozzò un sorriso triste e ricambiò sfiorando il braccio della ragazzina. Poi la prese per mano e se la portò in camera sua, lasciandola allibita: dai sei stander di due metri ciascuno pendevano gli abiti più belli che avesse mai visto. Corse al bagno a lavarsi i denti, tornò, e la ragazza stava ancora come l’aveva lasciata, in trance.
– Sono tutti nostri. – le disse, accoccolandosi sul letto. – Provateli e scegli quelli che ti piacciono di più. Isa si fece scivolare l’accappatoio e cominciò a perlustrare su e giù l’esposizione. Aveva un culetto alto e sodo da brivido e i seni colla punta rivolta verso il cielo. Si cominciava a notare il segno del costume sulla pelle ambrata. Man mano che l’estemporaneo show room andava avanti, Carmela continuava a bagnarsi sempre di più. Ora Isa era nuovamente nuda e stava scegliendo un altro capo. Carmela era al culmine. Scivolò fuori dall’accappatoio e si appiattì sul letto a pancia sotto e dimenando piano il culetto. La voleva, la voleva, la voleva! Sfregò il clitoride gonfio contro una piega del lenzuolo.
– Basta ora. – mugolò col viso schiacciato contro il lenzuolo di lino. – Vieni qua, fammi un massaggio alla schiena.
Isa le aveva detto il giorno prima di essersi appena diplomata a un corso di massaggio estetico. La ragazza, felice di poter essere utile, corse a lavarsi le mani. In bagno, scelse una crema adatta e tornò di corsa. Rimase ancora una volta interdetta: Carmela ora era sul dorso, gambe larghe e ginocchia sollevate, e si stava masturbando furiosamente.
– Che fai lì? – il suo tono era roco e imperioso. – Avvicinati. Qui! Vieni qui! – Le tese la mano libera. Isa, ingobbita, scosse la testa incredula e fece dei passetti indietro.
– Avanti! Che aspetti? Non ti mangio mica… E’ una cosa bella. Vieni qua. Ma insomma… – Visto che quella stava impalata contro il pesante tendaggio del muro, scese dal letto e andò a prenderla. La trascinò a forza, la sdraiò e le fu addosso, bloccandola col suo peso, cercando famelica la sua bocca.
La maschera non aveva retto. La maschera era caduta. Carmela era una persona nuova e terribile, una persona che faceva paura e annichiliva la povera Isa. Le ficcò prepotentemente la lingua tra le labbra e prese a mulinarla. Contemporaneamente, le ficcò due dita nella fighetta, ma era asciutta e le fece male. Isa si divincolava come poteva, per puro istinto di conservazione, ma la forza di Carmela era la forza di un bruto infoiato. Carmela scese a leccare quella fica agognata, ma si beccò una ginocchiata sul naso. Rimasero entrambe per un attimo bloccate: Isa perché la sua era una mossa fortuita e non voluta, stava solo cercando di divincolarsi; Carmela perché non si aspettava una risposta tanto irruente ed irriverente. Si fissarono ansanti per un lungo momento. Gocce di sangue rosso, quasi nero, caddero sul lenzuolo candido. La boss ridivenne tale. Una belva impazzita. Andò in bagno senza levare gli occhi di dosso alla preda, mise una salvietta sotto l’acqua fredda e se la pressò sulla nuca, tenendo la testa rovesciata all’indietro. Sempre colla testa piegata, si avvicinò alla Jacuzzi e sollevò la cornetta del telefono interno:
– Antonino. Lo voglio subito da me! – ordinò. L’interlocutore gracchiò qualcosa, ma lei fu perentoria: – Non me ne frega un cazzo se è in piscina! Lo voglio qua ora. Subito!
Isa, raggomitolata su se stessa, piagnucolava tremante:
– Rosario… Rosario mio… che mi ficero? Che mi vogliono fare?

Due minuti dopo, bussarono alla porta della stanza. Carmela andò ad aprire e si trovò suo fratello di fronte, in slip da bagno, intento ad asciugarsi. Lo fece entrare e gli indicò la ragazza sul letto. Richiuse la porta a chiave.
– Prima ti sei fatto il bagno tu, mo’ fai fare un bagno al tuo biscotto. Ti piaceva, no? Fottila!

Antonino, imbarazzato, prese a sfregarsi la testa con più vigore. Sua sorella andò in bagno per lavarsi via il sangue dal naso e dal petto. Indossato il kimono, si guardò allo specchio e si ravviò nervosamente i capelli. “Stronza!” sibilò. Tornata in camera, spinse vigorosamente il ragazzo verso il letto.
– Avanti! Che aspetti?! Mi diventasti frocio? Fottila! Fottila sta stronza!

Isa cercò di coprirsi col lenzuolo e, tenendo un braccio proteso, implorava:
– No! Questo no!… Vi prego… Ma che vi fici? Ti prego, Carmela, sono vergine… Sono ancora vergine!
Antonino recuperò padronanza e sorrise in modo cattivo. I suoi slip azzurri si tesero sul davanti. Se ne liberò velocemente usando entrambe le mani e si sdraiò sulla ragazza. La poveretta provò ancora a dibattersi, ma il giovane era duro; inoltre Carmela la teneva saldamente per i polsi. Non riusciva a penetrarla: troppo asciutta e non stava ferma un secondo. La sorella imprecò e gli ordinò di tenerla lui per le braccia, lei scivolò ad immobilizzarle le gambe. Passò le sue braccia forti sotto il bacino di Isa e la tenne ferma:
– Ora te la preparo io. – disse, e prese a leccarla. Soddisfatta, anche perché la resistenza della ragazzina si era fatta sempre più debole, si impegnò per parecchio tempo in quell’attività che aveva sognato per mesi e mesi. Quando cominciavano a farle male le mandibole, tornò ad occuparsi dei polsi. Questa volta Antonino la infilzò al primo colpo. L’urlo lacerante non venne inteso da nessuno al di fuori di quella stanza. Tutta la casa era blindata ed insonorizzata, ma anche se non lo fosse stata nessuno avrebbe “sentito” niente. Il sacrificio avvenne molto rapidamente. Il giovane sgusciò appena in tempo, alcuni schizzi di sperma raggiunsero addirittura il viso di Isa e il seno di sua sorella. Anche lui si teneva quella voglia in canna da tempo. Adempiuto il suo compito, Antonino venne immediatamente congedato. Carmela, seduta sul letto, prese a carezzare i capelli di Isa e con tono suadente la rimproverò:
– Vedi? Mi hai costretto a diventare cattiva. Io non volevo… Io ti amo… Non voglio farti del male. Isuzza…Mi credi? Io ti amo e voglio farti felice. Voglio vederti felice. Ti voglio coccolare e voglio che tu fai un poco felice a me. Lo so che adesso mi odi… Per quello che ti ho fatto. Ma pensaci… Pensa quanto stai bene con me se fai da brava…

Isa non aveva più lacrime. Il bruciore tra le gambe era nulla se confrontato col bruciore che sentiva all’altezza del cuore. “Perché a me?” si chiedeva. “Che ho fatto io di male? Che ho fatto a questa gente? Voglio morire.” Tremava come una foglia e gemeva piano.
– Perché mi respingi? – continuò Carmela? – Non sono bella? Non ti piaccio? Pensa a come possiamo essere felici. Non ci faremo mancare niente… Ti chiedo solo di essere dolce con me. Soltanto un poco di dolcezza… La prima volta che farai l’amore con me e mi farai soddisfatta, ti intesto una bella casa a Catania. Così ci mandi ad abitare la tua famiglia e la togli da quella catapecchia. Promesso… Sei contenta?

Si avvicinò alle sue labbra, ma Isa si ritrasse schifata e impaurita. Carmela le mollò un poderoso manrovescio:
Ahn! Ma allora non capisci! Non vuoi capire allora! Ora mi hai rotto i coglioni! Vedrai che ti domo. Ci puoi giurare che ti domo!
Indossò jeans e maglietta e uscì, chiudendola dentro. Prima chiuse il pannello colla rastrelliera che conteneva i cellulari e disattivò gli apparecchi normali. Isa era prigioniera. Carmela raggiunse di buon passo il maneggio, calzò giusto un paio di stivali e dei guanti leggeri e si sfogò con una lunga galoppata. Poi fece una doccia e dedicò un po’ di tempo agli affari. Cenò col fratello, al quale ordinò di tenersi a disposizione e, anche se superfluo, gli intimò di glissare su qualunque argomento riguardasse la ragazzina. Sapeva bene che tra uomini… Giocò un po’ a biliardo coi ragazzi e, intorno alla mezzanotte, tornò in camera sua con una tazza fumante di buon brodo ristretto. Il brodo l’aveva preparato Maria, lei aveva solo aggiunto una sostanza che avrebbe ammorbidito un puledro da rodeo. Era una specie di Valium non in commercio in Italia. Trovò Isa sotto le lenzuola, gli occhi sbarrati e in preda al tremore.
– Bevi questo, ti farà bene. Maria ha detto che se mangi, agitata come sei, rivedi tutto. Questo ti farà bene e ti tirerà un po’ su. Forza… giuro che non ti tocco. Se non vuoi, ti lascio in pace. Avanti!
Le porse la tazza. Isa, seppur riluttante la prese e mandò giù l’intero contenuto. Poi ricadde e si coprì. Batteva i denti.
– Voglio tornare a casa mia. – riuscì ad articolare. Fece una smorfia di dolore e ripeté la frase.
– Ti fa male… lì? Appena starai meglio, te ne potrai andare. Adesso fammi vedere dove ti fa male. – la scoprì. La ragazza non si era neppure lavata. Non si era proprio mossa dal letto. Carmela chinò il capo di lato e le sorrise:
– Andiamo a darci una lavata, su… Ti do un buon sapone intimo, che ti disinfetta e ti passa tutto. L’aiutò ad alzarsi e la sorresse fino al bidet. Isa era docile come un agnellino. La pozione cominciava a fare effetto. La pupilla era dilatata. Praticamente la lavò lei. Con grande piacere. La riportò quasi di peso sul letto e stette un po’ ad ammirarla. Si avvicinò per controllare i danni: le allargò le grandi labbra, ma non vide niente che non andasse. Non aveva perso nemmeno sangue. Isa era come tramortita. Decise di approfittarne e si mise a leccarla dolcemente. Nonostante non provocasse nessuna reazione nella ragazzina, lei si era bagnata tutta. Salì e si mise a cavalcioni sul viso di Isa. Le strofinò la fica sulla bocca semiaperta.
– Tira fuori la lingua… leccamela. – le disse piano. Isa eseguì, come un automa. Visto che funzionava, Carmela cambiò posizione e diede via ad un sessantanove. Estenuante. Piano piano, la fighetta di Isa cominciò a cambiare odore e sapore: si stava bagnando di piacere. Carmela ebbe un orgasmo violento, ma fu costretta ad aiutarsi colle dita. La lingua della ragazzina era meccanica e monotona. “Le avrebbe insegnato lei…” Finalmente, anche Isa ebbe il suo bell’orgasmo. Strinse le cosce e agitò i piedi in su e in giù. Ebbe un sospiro di piacere che fu musica per le orecchie di Carmela.

La storia andava avanti da oltre un mese ormai. Solamente una volta, smaltito l’effetto della sostanza, Isa si era ribellata e Carmela aveva deciso di punirla facendola stuprare ancora da Antonino. E questo era bene che accadesse quando la ragazzina era ben lucida: se ne sarebbe ricordata. Ultimamente, Isa, volente o nolente, aveva avuto parecchi orgasmi durante le sollecitazioni della lingua e delle dita di Carmela. La boss, peraltro, aveva provveduto a tranquillizzare la famiglia di Isa ed a fargli pervenire una busta con cinquemila euro e un biglietto della ragazza. Biglietto scritto sotto effetto della solita sostanza. Arrivò una telefonata da un altro dei suoi vice: c’era bisogno della presenza di Carmela ad un summit che si sarebbe tenuto a Palermo, la settimana successiva. La boss organizzò meticolosamente la trasferta. Chiamò anche “U Lebbrosu”, un pappa che le doveva un favore, e gli ordinò di farle trovare una bella ragazzina nuova e disponibile, nella casa che avrebbe costituito il suo rifugio durante la permanenza nella capitale. “Contaci.” Fu la risposta dell’uomo. “Sempre a disposizione.”
Aveva bisogno di una fighetta attiva e consapevole. Questa gatta morta la stava annoiando. Non c’era più traccia d’amore in lei. Se amore era stato e non solo desiderio di possesso. Otto giorni dopo, partì per Palermo. Si portò solamente due uomini di scorta, non voleva dare nell’occhio. Partirono appena buio e arrivarono prima di mezzanotte. Aveva lasciato Antonino a guardia di Isa, con disposizioni precise. Se la scopasse pure a volontà, ma lei non avrebbe mai dovuto lasciare la stanza. Davanti al motel Conca d’Oro trovarono l’auto civetta ad attenderli. A bordo, due uomini che fecero appena un cenno di saluto e partirono. Fecero strada fino a una masseria diroccata, in aperta campagna, che sembrava abbandonata da tempo. Naturalmente non era così: dentro era tutt’altra cosa. U Lebbrosu era già lì per rendere omaggio alla boss. Consegnò una cassa di Tattinger a uno dei suoi uomini e a lei disse in un orecchio che il pensierino era già in camera. Salutò con reverenza e scomparve, accompagnato da uno degli uomini del posto. L’altro uomo rimase a disposizione e mostrò a Carmela delle luci oltre l’aranceto: era l’altra masseria dove avrebbe avuto luogo la riunione del giorno dopo. Trecento metri, non di più. I tre uomini si sistemarono all’inizio dell’ala abitabile, mentre a Carmela fu indicata la camera padronale, in fondo al corridoio. Lei aprì la porta con una certa emozione. Trovò una stanza moderna e confortevole. Chiuse la porta blindata e si guardò in giro: non vedeva nessun pensierino. Il letto era intatto e cambiato di fresco. Stava già per essere assalita da un’ondata di stizza, quando una pesante tenda si aprì e lasciò passare due splendide creature. Viva l’abbondanza! Una negretta stupenda sui diciotto e una biondissima ragazzina slava avanzarono verso di lei. Indossavano soltanto biancheria intima di gran classe e profumi adeguati. U Lebbrosu la sapeva lunga. La biondina andò a baciarle le mani e le disse, in un italiano quasi corretto, che erano in due perché lei potesse scegliere a seconda dell’umore e del desiderio. Carmela fece una risatina e le disse:
– Perché scegliere? – passò il resto della notte a farsi coccolare. Per quanto ne sapeva, avrebbe dovuto trattenersi almeno tre giorni. Hai voglia!

Antonino, in bermuda amaranto e canotta nera, aprì la porta della camera di Carmela con una mano, con l’altra spingeva un carrello carico di cibarie, sui due ripiani, ed un secchiello con ghiaccio e Tattinger. Erano da poco passate le nove di sera. Sua sorella mancava da due giorni ed erano due giorni che lui trasgrediva ai suoi ordini: non aveva più drogato la bella Isa. Non l’aveva più sfiorata. Aveva riservato il piacere a quella sera: la voleva ben sveglia. Era un bel ragazzo, cazzo! Le donne morivano per lui. Come poteva questa respingerlo e fare la smorfiosa?! Lei lo accolse piangendo. Cominciò ad implorarlo affinché la lasciasse tornare a casa sua.
– Perché no? – convenne lui: – Basta che la smetti di piangere e di fare la stupida. Siamo nel 2000 e tu fai ancora tante storie per una ficcata! Tu fai l’amore con me, bene… Ci divertiamo e, quando mi fai contento, se vuoi te ne puoi anche andare.
Lei parve rifletterci sopra. Antonino, che scemo non era, provò a sciogliere i dubbi della ragazza:
– Di che hai paura? Questa volta non ti voglio violentare. Carmela non c’è… Ah, ah! Certo che l’hai fatta proprio incazzare a mia sorella! Ma io sono diverso. Lei quando s’incazza senza cuore diventa. Io no… Se tu collabori, sarà bellissimo e piacerà molto anche a te. Vedrai. E nessuno ne saprà mai niente.
Mentre parlava suadente, il giovane apparecchiava il tavolino accanto al paravento cinese. Si misero a mangiare e lui fu servizievole e tenerissimo. Lei rifletteva in fretta. Quei pochi attimi di lucidità doveva sfruttarli a fondo. Decise di cedere. Avrebbe preferito ucciderlo. O morire. Ma bevve mezza bottiglia di champagne e fu pronta al sacrificio. Accettò persino di prenderglielo in bocca e di seguire tutti i suoi consigli per fare un pompino di gran livello. Era ubriaca persa e nulla aveva più importanza. “Finisci presto.” Pensò.
Avrebbe rivisto i suoi. Avrebbe presto rivisto Rosario e l’incubo sarebbe finito. Se ne sarebbero scappati all’estero, magari. Lontano. Non avrebbe più voluto avere niente a che fare con quella gente. Il ragazzo la stantuffò a lungo e poi finalmente le venne sulla pancia e sul seno. Le spalmò ben bene lo sperma sulla pelle vellutata e la invitò la leccarglielo per bene. Lei eseguì. Naturalmente, una volta soddisfatto, Antonino si preparò ad andarsene, lasciandola con un palmo di naso. Ma lei era risoluta, doveva solo conquistare un po’ della sua fiducia, poi gliel’avrebbe fatta pagare. A Tutti e due. Gli sorrise e , prima che lui chiudesse la porta, gli chiese:
– Lo facciamo anche domani? Avevi ragione tu, così è diverso. Così mi piace.
– Lo vedi? – le strizzò l’occhio e uscì soddisfatto. Una volta chiusa la porta, lei fu presa da una furia incontenibile. Cominciò a buttare all’aria tutto quello che le capitava. Finalmente le venne l’idea giusta. Uscita dalla doccia, trovò quello cercava: un pesante sottovaso di marmo. Era un po’ più grande di un piatto e bello pesante. La mattina successiva, vestita come il giorno che aveva messo piede in quella casa maledetta, aspettava che Antonino arrivasse con la colazione. Aspettava dietro l’uscio, col sottovaso ben stretto tra le mani. Lui non si accorse di nulla. Un colpo secco, un rumore sordo, e il giovane si accasciò senza nemmeno un gemito. “Spero di averti ammazzato.” Pensò freddamente Isa e, con molta cautela, uscì dalla casa.
– Attraversò il retro del giardino e si diresse, quasi senza respirare, verso il boschetto. Riuscì non si sa come a non essere vista da nessuno. Salendo sopra un vascone rovesciato e reggendosi ai rami di un vecchio olmo, riuscì a scavalcare l’alto muro di cinta. Era fatta. Rischiò di rompersi le gambe nel salto, ma riuscì ad ammortizzare bene il peso del corpo. Due ore dopo era tra le forti braccia di Rosario. Lui ebbe non poco da combattere per convincere il suo datore di lavoro a lasciarlo libero per il resto della giornata, alla fine la spuntò. Salirono sulla vecchia vespa e si allontanarono verso il mare. Lungo la strada, Rosario si fermò per comprare dei panini e delle bibite fredde. Una volta sulla litoranea, prese per un sentiero che portava alla caletta rocciosa che conoscevano in pochi ed era quasi sempre deserta. Nessuno. Isa gli raccontò tutto, tra le lacrime. Piansero a lungo tutti e due. Ricompostisi, fecero l’amore per la prima volta. E fu bellissimo. Il posto era completamente deserto, tranne una barchetta al largo, così i ragazzi decisero di fare il bagno nudi. Si asciugarono al sole e mangiarono i panini. Avevano deciso, di comune accordo, di tenere la bocca chiusa. Conoscevano i rischi. Però se ne sarebbero andati da quel posto di merda. Al più presto. La madre di Isa si ammalò gravemente e il progetto venne rimandato, almeno sino a quando non si fosse ristabilita.

Quasi due mesi dopo, migliorata la salute della madre e rimarginate un po’ le ferite dell’anima, Isa stava uscendo da un cinema del centro con Rosario. Ancora ridevano per il finale comico del film appena visto. Erano allegri e spensierati e non si accorsero di una potente auto che frenò e per poco non li investì. Per loro, distratti e troppo presi dalla loro intimità, fu una cosa da nulla, giusto un “vaffanculo” del ragazzo all’indirizzo dell’autista. Ma dietro i vetri azzurrati della Lancia Thema lo sguardo assassino di Carmela li incenerì. La boss si era accorta di essere nonostante tutto ancora innamorata di Isa. Molto più di prima. Di notte ci piangeva. Non l’aveva fatta cercare perché ne avrebbe sofferto lei per prima. Ma quello smacco non lo tollerava. Preferire a lei quel cogghiunazzu! Strinse forte le mascelle, mentre i suoi occhi a fessura seguivano i due innamorati attraverso il lunotto posteriore.

Il venerdì successivo, un cadavere con la testa spappolata dalle pallottole venne trovato in una discarica abusiva di periferia. Il cadavere venne riconosciuto dai famigliari ed era quello di un giovane incensurato. Non aveva mai avuto nessun legame con la malavita. Un bravo ragazzo come tanti, gran lavoratore senza grilli per la testa. Era il corpo di Rosario Friccicanò. La polizia brancolava nel buio. Il commissario Crocitti ci aveva lavorato sopra anche quella notte. Niente. Buio. Crocitti era il miglior investigatore della Sicilia. Nessuna traccia. Nessun indizio. Buio. Disfatto, Crocitti alle nove del mattino stava lasciando l’ufficio per fare ritorno a casa; non si reggeva in piedi. Non fece nemmeno caso a quella ragazza che aveva quasi travolto sulla porta della questura. Eppure era una bellissima ragazza, anche se disfatta dal pianto. Somigliava in maniera impressionante a Claudia Cardinale giovane.

cavallona

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Un pizzico di verità

Frottole e calunnie
di GIUSEPPE D’AVANZO

Frottole e calunnie
Silvio Berlusconi, pur in questo momento difficile della sua avventura politica, dovrebbe trovare un maggior controllo per riconciliarsi con una realtà che, nei suoi monologanti flussi verbali, diventa ogni ora di più leggenda, fiaba, sceneggiatura da scrivere e riscrivere secondo l’urgenza del momento. Il premier deve fare questa fatica, se ne è in grado, nel rispetto soprattutto di chi lo ascolta (e anche di se stesso).

Da giorni, il premier urla a gola piena e in qualsiasi occasione propizia contro Nicoletta Gandus, presidente del collegio che ha condannato David Mills testimone corrotto dal premier. Berlusconi con ostinazione ne vuole screditare la credibilità, la reputazione, l’imparzialità e umiliandola, senza un contraddittorio, pensa di salvare la faccia dinanzi al mondo; di cancellare con la sola forza della sua voce onnipotente e delle sue frottole indiscutibili (e mai discusse dai media) l’illegalità che il processo Mills ha ricostruito e la serena indipendenza che ha ispirato il giudizio. Il premier, da anni e da tre giorni tutti i giorni, dipinge quel giudice come “un nemico politico”, come “un avversario in tutti i campi”, come “un’estremista”. I suoi avvocati sono giunti a rimproverare a Nicoletta Gandus “attacchi e insulti contro il premier”. Quali?

L’aver firmato un appello di “condanna della politica di repressione violenta e di blocco economico messa in atto dal governo israeliano nei confronti della popolazione palestinese” senza dire che la Gandus è ebrea e quell’appello era firmato da ebrei e “in nome del popolo ebreo”. Il capo del governo sostiene che quel giudice “ha dimostrato avversione nei suoi confronti”. La prova? La Gandus ha firmato un appello contro la legge sulla fecondazione assistita o, con centinaia di giuristi e accademici, un appello alla politica – a tutta la politica – per riequilibrare leggi che avrebbero distrutto “il sistema giudiziario e compromesso il principio della ragionevole durata dei processi”, come poi è stato. Da quell’appello vengono maliziosamente estratte, a proposito della legge berlusconiana che modifica i tempi della prescrizione (la “Cirielli”), due sole parole, “obbrobrio devastante”. Le due parole sono gettate sul viso della Gandus come se fossero state dette o scritte da lei e non dal presidente della Corte di Cassazione, Nicola Marvulli.

Nel corso del tempo, Berlusconi si è spinto fino alla calunnia. Al devoto Augusto Minzolini, neodirettore del Tg1, riferisce di avere un asso nella manica per dimostrare la faziosità di quel giudice. “Ho un testimone che ha ascoltato una conversazione tra il presidente del Tribunale Nicoletta Gandus, e un altro magistrato. La Gandus ha detto questa frase al suo interlocutore. “A questo str… di Berlusconi gli facciamo un c… così. Gli diamo sei anni e poi lo voglio vedere fare il presidente del Consiglio”” (la Stampa, 18.06.08). Dov’è finito questo testimone? Perché non ha mai raccontato in pubblico e a un altro giudice la volontà pregiudiziale della Gandus? Di questo testimone non si è avuta più notizia né nelle carte della ricusazione presentata dai legali del capo del governo né, dopo un anno, ora che Berlusconi è ripartito lancia in resta contro la magistratura.
Quel testimone non è mai esistito, quella conversazione non c’è mai stata. Berlusconi ha inventato l’una e l’altra di sana pianta calunniando il giudice milanese, mentendo a tutti coloro che lo hanno ascoltato e magari lo hanno preso sul serio.

La Gandus accoglie da anni in silenzio gli insulti del capo del governo, ascolta imperturbabile le frottole che sparge sul suo conto. Fa bene a tacere. Berlusconi chiede soltanto la rissa per superare le curve che lo stanno screditando (o rivelando). Il premier ci va a nozze nel discorso pubblico che si fa nebbia e rissa. Ne ricava la radicalizzazione del suo consenso, e questo è l’unica cosa che gli serve e vuole. E tuttavia, anche per Berlusconi, ci deve essere un limite alla manipolazione della realtà e proporgli quel limite, la necessaria coerenza delle sue parole alle cose, ai fatti, alla storia delle persone, deve essere fatica quotidiana di chi lo ascolta. Può continuare, il premier, a ripetere senza che alcuno lo interrompa di non aver mai conosciuto David Mills nonostante l’avvocato inglese abbia detto e scritto di averlo incontrato, per lo meno, in due occasioni? Quando Berlusconi verrà a spiegarci che la seconda guerra mondiale è scoppiata perché un dissennato Belgio ha invaso il distratto Terzo Reich? O che il Sole gira intorno alla Terra immobile? Può credere il premier di essere sempre nella poltrona bianca di Porta a Porta?


°°° Ed ecco, amici, dopo le minchiate di ghedini, di gasparri, di lupi, e di tutti i picciotti della cosca – A RETI UNIFICATE – il serio e documentato D’Avanzo ci porta un po’ di verità su questi attacchi volgari, mafiosi, e falsi di silvio berlusconi nei confronti di una giudice ESEMPLARE, corretta, e di onestà specchiata. Fate girare.

gandus

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A proposito del latrin lover

Scandali e dimissioni all’estero
di Cesare Buquicchio

Esistono motivi di opportunità morale, prima che politica. Pressioni di alleati. Richieste formali degli oppositori politici. Spinte dell’opinione pubblica. Sollecitazioni della stampa. Sono tanti i percorsi che hanno portato i politici di mezzo mondo a rassegnare le dimissioni se coinvolti in scandali sessuali più o meno gravi.

Ilkka Kanerva, ministro degli Esteri del governo finlandese, sposato e padre di due figlie trentenni, è stato costretto a rassegnare le dimissioni, nell’aprile 2008, in seguito alle rivelazioni di una spogliarellista di 29 anni, che ha fatto sapere di essere stata bombardata di sms a sfondo sessuale. Solo sms.

Jin Renging, ministro delle Finanze del governo cinese si è dimesso nell’agosto del 2007 ufficialmente per ragioni personali. Secondo un giornale di Hong Kong, sarebbe legato costretto a rassegnare l’incarico a causa dello scandalo sessuale in cui era coinvolto con la sua amante.

Moshe Katsav, presidente dello Stato di Israele, si è autosospeso dall’incarico nel gennaio 2007 dopo uno scandalo sessuale. Andrzej Lepper, vicepremier e ministro dell’Agricoltura in Polonia, è stato licenziato dal Capo di Stato nel settembre 2006 a causa di uno scandalo sessuale. E si potrebbe continuare a lungo.

Il caso più celebre di tutti rimane quello del presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, coinvolto nel 1998 in un eclatante scandalo sessuale dopo le rivelazioni di Monica Lewinsky, una ex stagista della Casa Bianca. Il Presidente fu sottoposto a formale richiesta di “impeachment” dai suoi oppositori politici e fu giudicato “non colpevole” dal Senato. Secondo stampa e opinione pubblica, a pesare sulla decisione fu il “perdono” di sua moglie, l’attuale segretario di Stato, Hillary Clinton.

Chissà come sarebbe finita per un presidente con la moglie “contro”…

clinton_monica

carfagna-berlusconi

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Va,va, che ce ne liberiamo…

(da Dagospia)

GIOVEDì è prevista UNA DRAMMATICA RESA DEI CONTI TRA BERLUSCONI E IL RIBELLE FINI – LA STRATEGIA DEL CAV.: elezioni anticipate, TRIONFO, RIFORMA PRESIDENZIALE, QUIRINALE – RAI-NOMINE STOP FINO ALLE EUROPEE: GIANFRY CONTRO MINZOLINI AL TG1, VUOLE MAZZA
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La resa dei conti è prevista per giovedì a pranzo quando Silvio Berlusconi e
Gianfranco Fini si incontreranno per un faccia a faccia che si preannuncia drammatico.

Il Nano Rialzato si è ormai convinto che Fini porta avanti un suo progetto personale d’intesa con parte della sinistra e particolarmente con la detestata Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Troppi i segnali di guerra elencati dal Cavaliere del Cialis: l’appoggio incondizionato di Fini alle esternazioni a volte improprie di Giorgio Napolitano soprattutto in materia di decreti legge, la paralisi sulle nomine Rai che An tiene bloccate, i veti e le critiche alle candidature nelle liste per le europee sfociate addirittura con l’editoriale di “Fare Futuro”, che Gianfry ha smentito ma che è considerata la vera arma in mano al presidente della Camera.
Fini e Berlusconi

Disagio e sbando anche tra i colonnelli di An, spiazzati in ogni momento dalle esternazioni di Fini. L’unico a tenersi fuori dalla bagarre è Altero Matteoli che ha preso le distanze dai vari La Russa, Gasparri, Alemanno.

Lo scontro a cosa può portare? Ad una resa dei conti dentro la Pdl. Berlusconi non vuole fare l’errore commesso con Casini e forte della sua popolarità si sta convincendo che bisogna far saltare il tavolo e cominciare a pensare ad elezioni anticipate da abbinare alle regionali dell’anno prossimo.

Una vittoria schiacciante gli consentirebbe di puntare dritto al Quirinale facendo una riforma presidenziale a sua immagine e somiglianza. Su questa linea si muoverebbero compatti non solo tutti i dirigenti di Forza Italia stufi delle prepotenze di An ma gran parte anche dei peones aennini sempre più lontani da Fini.
Altero Matteoli

I FINI DELLA RAI
L’attuale stop alle nomine Rai è sopravvenuto allorquando sono spuntati questi nomi per le direzioni dei Telegiornali: se al Tg2 il nome conclamato è Mario Orfeo e al Tg3 è benvisto l’arrivo di Bianca Berlinguer, la novità riguarda il solito Tg1: tramontato il nome di Mimun è sbucato quello dell’inviato de La Stampa, Augusto Minzolini.

A questo punto, Fini ha fatto saltare tutto. E no, ha ribattutto Gianfry al Reuccio di Arcore, se è Minzolini il vostro candidato e non Mimun, allora è mejo il mio Mauro Mazza (destinato a RaiUno). E su tale diatriba, Berlusconi ha di fatto rinviato tutto a dopo le Europee che dovrebbero premiarlo con un plebiscito di voti. A quel punto, con la corona i testa, non c’è Fini che tenga e la mazza ce l’avrà in mano lui.

°°° E se invece Franceschini recupera, ma perde le europee e si dimette? E se arriva Bersani che ricompatta tutto e arriva al 35% ? E se Di Pietro arriva al 10% e la sinistra comunista a un altro 10% e… SI UNISCONO E GLI FANNO IL CULO COME UNA CASA E LO CACCIAMO FINALMENTE AFFANCULO?

bdimissioni11

fini-tonto2

SILVIO, CIàPA UN HOT DOG E VAI A CASA!

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La beffa della beffa

‘Rate mutuo: il debito resta anche se la casa non c’è più’
di Bianca Di Giovanni

Rate del mutuo sospese per un anno. Il governo ha annunciato il provvedimento in pompa magna, anche se molti istituti erano già pronti a intervenire. Il primo ad annunciare l’iniziativa è stato il Montepaschi: gli altri sono venuti dietro uno a uno. Ma nessuno ha chiarito bene cosa accade se la casa per cui ci si è indebitati è crollata. Rate solo sospese, o debito azzerato? Davanti a questa domanda si apre un buco nero. «In punta di diritto il debito esiste ancora», replica qualcuno. Dunque, tra 12 mesi si dovrà riprendere a pagare per un cumulo di macerie. Niente interessi, per carità, niente penali né commissioni, come promette l’ordinanza del governo. Ma pagare si deve: anche se la casa non c’è più.

http://www.lunita.it/news/83884/rate_mutuo_il_debito_resta_anche_se_la_casa_non_c_pi

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