Regioni, per il Partito dei Ladri arriva la piena (Peter Gomez)

Non è che l’inizio. Le dimissioni di Renata Polverini segnano solo un primo giro di boa nello scandalo dei fondi milionari incassati, spesi senza controllo, e spesso rapinati dal Pdl e da altri movimenti politici. Non servono particolari capacità divinatorie per capire che il sistema Lazio, ben  incarnato dalla pantagruelica figura Franco Fiorito, è patrimonio comune di molti consigli regionali. Ovunque l’opacità regna sovrana. Ovunque, appena si tenta di fare qualche domanda, si scopre l’imbarazzo.

Regioni, per il Partito dei Ladri arriva la piena

In Lombardia Pd, Pdl e Lega, non vogliono mostrare ai giornalisti gli scontrini. “Sono cose nostre, c’è la privacy”, dicono all’unisono, sorvolando sul fatto che pranzi e riunioni saranno pure loro, ma i soldi, almeno quelli, sono dei contribuenti. In Emilia Romagna, quando è stata avviata un’indagine interna, è saltato fuori che quattro partiti non avevano depositato le fatture. I documenti sono comparsi dopo un mese e, da un primo esame, la Guardia di Finanza si è resa conto che un ex consigliere dell’Idv (subito cacciato) risultava aver cenato in quattro diversi ristoranti la stessa  sera. Un record. In Campania si trattiene il fiato per un blitz delle Fiamme Gialle: in ballo ci sono un paio di milioni di euro di uscite sospette. In Veneto,  i 60 consiglieri percepiscono ogni  trenta giorni 2100 euro in nero a titolo di rimborso, senza presentare alcun giustificativo.
Insomma, i mattoni della politica italiana cadono uno dopo l’altro. E tra le macerie non finiscono sepolti solo questi partiti (cosa che non è un gran guaio). Ad andarci di mezzo sono le istituzioni – o quello che ne resta – e i cittadini. Servono atti immediati. Almeno tre.
Il primo: Polverini e gli altri consiglieri devono rendere tutto quello che, a vario titolo, hanno incassato. Non perché sia più tempo di gesti simbolici, ma perché con quei soldi si potrà molto più concretamente restituire ai disabili i servizi sociali tagliati dalle Asl del Lazio ed evitare di far pagare loro il ticket.
Il secondo: a Roma, nelle segreterie dei partiti, è saggio che quei politici capaci di conservare ancora la testa sulle sulle spalle comincino finalmente a fare dei calcoli. Attendere che il disastro arrivi dalla periferia al centro – ancora oggi i gruppi del Senato non vogliono controlli su 22 milioni di euro – non conviene. Più furbo e utile, anche per loro, è anticipare la piena. Senza parole, leggi o riforme, a cui a questo punto non crede più nessuno. Ma solo con i comportamenti. Con cose semplici del tipo: rendere pubblica in Rete tutta la contabilità, vietare ai propri eletti di accedere ai rimborsi regionali e magari obbligarli a dirottare parte dei loro super stipendi ai disoccupati.
Il terzo: ci vuole un intervento del governo. Sappiamo infatti bene che, tra i nostri sedicenti rappresentanti, saranno in pochi quelli disposti, solo su base volontaria, ad autoridursi le prebende o a scegliere la via dell’assoluta trasparenza. Tutti, o quasi, diranno: “Queste proposte non sono politica, ma populismo”. E allora bisogna intervenire per decreto. C’è la necessità e ce n’è l’urgenza. La riforma del titolo quinto della costituzione, quello sull’autonomia delle Regioni, lo impedisce solo in parte. Come ha spiegato su questo giornale web il presidente emerito della Consulta, Valerio Onida, l’esecutivo può fissare “un tetto di spesa per i consiglieri regionali”.
Monti, se non vuole passare alla storia come il liquidatore fallimentare della Repubblica Italiana (cosa che cominciamo sempre più a sospettare) il decreto lo faccia adesso. E che il limite stabilito sia bassissimo. Altrimenti, domani, nella disgregazione dello Stato, non lo potrà fare più nessuno.
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“Letta portava le mazzette di B. ai partiti della Prima Repubblica”

L’ultimo corriere delle tangenti: “Quando Letta mi portava le mazzette di B. al Psdi”

Nel 1993 di Mani pulite è dovuto fuggire in Francia per evitare l’arresto: “Già allora con i pm avevo accennato a Berlusconi, ma nessuno mi ha chiesto di approfondire. Era diventato grande fan di Mani pulite ed è stato salvato da Di Pietro, almeno fino al 1994”

Gianni Letta con Silvio Berlusconi

Per trovare l’ultimo, dimenticato corriere delle tangenti della Prima Repubblica bisogna arrivare fin quassù, in Alta Savoia, panorama mozzafiato, con una corona di
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Santoro fa invecchiare la tv. L’altra

Peter Gomez

Santoro fa invecchiare la tv. L’altra

Un giorno ci renderemo conto di quanto sia stata importante la pagina scritta dalla prima puntata di Servizio Pubblico. All’improvviso il duopolio-monopolio che ha ingessato, impoverito e censurato la televisione in Italia è apparso per quel che è: vecchio e privo di senso.

La trasmissione di Michele Santoro, alla quale il Fatto Quotidiano e questo sito sono orgogliosi di aver dato il loro contributo, dimostra come anche in Italia ci siano spazi (enormi) di libertà che possono essere conquistati. Che il diritto-dovere d’informare (e criticare) può, nonostante tutto, essere ancora praticato da chi ne abbia la voglia e, lasciatecelo dire, il coraggio.

Grazie al sostegno di 100.000 cittadini, all’impegno di un gruppo d’imprenditori un po’ folli e un po’ visionari, alla professionalità di un pugno di cronisti di razza, al talento di Marco Travaglio e di Vauro, grazie alla rete delle tv private e al web, Servizio Pubblico ha rotto lo status quo. Ha spezzato il conformismo di chi sosteneva che contrastare Rai e Mediaset (le tv del presidente del Consiglio e del sistema dei partiti) era impossibile.

Anche per questo ora, pochi minuti dopo la conclusione della puntata, ci piace pensare che la breccia aperta da Servizio Pubblico sia destinata presto ad allargarsi per far passare nuove idee, nuove trasmissioni e, sopratutto, nuove storie e notizie.

Perché esiste un Paese diverso che vuole  (e che merita) di essere raccontato. E chi rinuncia a farlo, avendo da adesso la dimostrazione che quella possibilità c’è, commette un delitto. Dal quale non potrà mai essere assolto.

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Il punto

Bassissima affluenze nei seggi allestiti nel mondo: solo il 7,33%
Confermati i dati dei partiti maggiori, premiate Idv e Sl
Italiani all’estero, sparisce la Lega
sorpresa sinistra e Di Pietro

ROMA – C’è una circoscrizione in cui i dati elettorali delle Europee non seguono il trend nazionale, almeno in alcuni dettagli. E’ il voto degli italiani all’estero, che si sono espressi nei seggi allestiti in tutto il mondo. Innanzi tutto facendo registrare un’affluenza radicalmente più bassa di quella già ridotta rilevata sul territorio nazionale: su oltre 1.200.000 iscritti alle liste, solo 88.500 sono andati a votare, circa il 7,33%.

Il dato generale per i due maggiori partiti rimane sostanzialmente invariato: il Pdl ottiene il 34,9 per cento (contro il 35,3% globale), mentre il Pd registra un più basso 22,8% (contro il 26% totale). La differenza più macroscopica riguarda la Lega nord, che per i connazionali all’estero merita un 2,9%, contro il 10,2% registrato sul totale degli elettori. Mentre Sinistra e libertà e l’Italia dei valori decollano: 7,3% per la formazione guidata da Nichi Vendola (che non ha raggiunto il quorum, attestandosi sul 3,1% su scala nazionale) e ben 13,5% per il partito di Antonio Di Pietro (8%).

Sembra dunque non pagare la politica anti-immigrazione di Bossi in una constituency composta da immigrati, che lo siano per scelta – come avviene in gran parte per le ultime generazioni – o per necessità. Mentre l’esperienza di Mani Pulite rimane per molti connazionali emigrati negli anni scorsi un punto di svolta nella politica italiana, da utilizzare magari nella difficile opera di spiegazione della politica italiana con i cittadini di altri Paesi. “Questo dato – commenta Maurizio Ciocchetti, coordinatore Pd degli italiani all’estero – ci consegna un voto in controtendenza. La dispersione del centro sinistra è evidente”.

Singolari alcune situazioni europee. In Austria, ad esempio, si registra il sorpasso del Pd sul Pdl (22,1 contro 20,4%), mentre Sinistra e Libertà ottiene il 13,8. Tra gli italiani che hanno votato in Francia, il Pdl ottiene il 29%, tallonato dal Pd al 26, mentre la Lega si attesta sul 3,3, l’Idv sull’11,8 e Sl arriva al 10,9. Altrettanto macroscopico il dato spagnolo, che penalizza fortemente il Partito democratico (20.5%) sul Pdl (36,7%), e dà l’11,2% a Di Pietro, il 9,4% a Sl, il 4% al Prc-Pdci, e solo il 3,5% rispettivamente a Udc e Lega. In Olanda il Pdl prende il 24%, superato dal Pd che ottiene il 28,9% e l’Idv addirittura il 19,5%.
Più allineati con i dati nazionali il Regno Unito e la Germania. Gli italiani che vivono in Gran Bretagna danno alla formazione di Berlusconi le stesse preferenze registrate nel dato nazionale (35,2%), penalizzano il Pd (22,2%) e travasano molto voto di centro-sinistra su Idv (15,5%) e Sl (6,4%). L’Udc rimane sul 3,5% e al 3,3 la Lega. Gli elettori registrati in Germania premiano il Pdl, che qui sfiora il 40%. Così come la Bulgaria, dove il Pdl ottiene il 60,5% e il Pd precipita al 10,7%.


°°° Amici, diciamo subito che il csx più in basso di così non poteva andare. Bossi e burlesquoni NON hanno vinto un cazzo, ma sicuramente il PD e i comunisti hanno perso molto. Perché hanno perso? Per il tafazzismo che attanaglia i dirigenti ormai da decenni. Ma anche per la fame da “salottismo” e da velinificio che ha divorato i capi e capetti. Sono anni che contesto il loro presenzialismo (deleterio) “in casa d’altri”. NON SI VA DA VESPA! Cazzo! NON SI VA A FARE DA COMPRIMARI insieme a zoccole e portaborse! Questi imbecilli, invece, dalla buonanima di bertinotti ai dalemisti… tutti a fare le misere comparse in tv e a parlarsi addosso DEL NULLA! Come ha reagito la base? Mandandoli allegramente a cagare o NON andando a votare oppure – peggio mi sento – votando Lega! Voi credete che abbiano capito la lezione? Mah, ho i miei dubbi. Altro discorso per gli italiani all’estero. Ho figli e amici che vivono all’estero da tanti anni e so. So che, da cittadini svegli e INFORMATI, NESSUNO si sognerebbe di sprecare il suo voto per berlusconi. GLI ITALIANI AL’ESTERO SI VERGOGNANO COME LADRI DI BERLUSCONI! So che ci sono stati macroscopici BROGLI: So che NULLA è arrivato da parte dei partiti del csx nelle loro case, mentre sono stati bombardati da circolari ministeriali e lettere “personali” di silvio burlesquoni (a spese NOSTRE). Lettere piene di minchiate e di fac simile per votare LUI, ovviamente. Tutta cartaccia prontamente gettata nel cestino. Però… Come si fa a vincere le elezioni in queste condizioni? Io e i miei amici abbiamo votato Orlando, De Magistris e Sonia Alfano. E tutti e tre andranno in Europa. Ho chiesto a migliaia di altri amici, PD ma astensionisti irremovibili, di votare Barracciu e Serracchiani e molti di loro mi hanno ascoltato. Per il resto… siamo messi MOLTO MALE!

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Premier: ‘No Italia multietnica’

Ma come ti permetti, stronzo?! IL MONDO… è multietnico!!! ma come può un vecchio mafioso, ignorante e schizzato di mente, decidere con questo disprezzo della vita – della cultura – del futuro dei migranti e del nostro Paese?! Questo delinquente e la sua cosca hanno di nuovo e a tempo di record devastato TUTTO: i conti, le leggi, l’informazione, il lavoro, la scuola, la sanità, l’ambiente, l’oggi e il domani di tutti noi cittadini. Lui e la sua minoranza fascista e buzzurra possono fare e disfare a “suo” piacimento ancora per molto? Io dico di no. Io dico che sarebbe ora che noi cittadini mettessimo a punto un’azione FORTE e GLOBALE per chiederne IMMEDIATE DIMMISSIONI! Non aspettiamo i partiti, amici. Quelli dormono o fanno sofismi, QUI BISOGNA AGIRE! O questa distruzione ce la porteremo dietro per almeno 30 anni!

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riecco il cazzaro: ennesima truffa

L’Aquila e il decreto abracadabra
E’ stato ribattezzato “decreto abracadabra” per le innumerevoli devianze creative con le quali accompagna il processo di ricostruzione dell’Aquila e dei paesini circostanti. La luna di miele tra gli abruzzesi e Silvio Berlusconi ha subito una prima e significativa increspatura. La lettura approfondita del decreto legge, e la verifica che i soldi all’Abruzzo in gran parte (4,7 miliardi di euro) saranno racimolati dall’indizione di nuove lotterie, dagli interventi sul lotto, e dai sempreverdi provvedimenti anti-evasione, soldi veri niente, e che in più le risorse saranno spalmate su un periodo lunghissimo (da oggi al 2033) hanno creato fremiti di rabbia dapprima isolati e poi sempre più partecipati.

Il tam tam (“Berlusconi ci inganna!”) è iniziato, e non è una novità, sui blog. Prima Facebook e poi i partiti. Prima i conclavi nelle tende poi le riunioni istituzionali. Una giovane donna, Rosella Graziani, che sa far di conto, ha messo a frutto tutto il tempo ritrovato e fino alla settimana scorsa inutilizzato per radiografare il decreto legge e poi bollarlo in una lettera pubblica: “Mai nella storia dei terremoti italiani avevamo assistito a una ingiustizia tanto grande e a un tale cumulo di menzogne che ha ricoperto L’Aquila più di quanto non abbiano fatto le macerie”.

Quali le menzogne e dove l’inganno? I soldi veri, il cash disponibile che Tremonti rende immediatamente spendibile si aggira sul miliardo di euro. Tolte le spese per l’emergenza, restano 700 milioni di euro destinati alla costruzione delle casette temporanee. E qui il primo punto: 400 milioni saranno spesi per edificarle nel 2009 e 300 milioni nel 2010. Se ne dovrebbe dedurre che la totalità delle case provvisorie sarebbero, è bene riusare il condizionale, realizzate totalmente entro l’anno prossimo. Dunque qualcuno avrebbe un tetto a settembre, qualcuno a ottobre, qualche altro a gennaio, o nella primavera che verrà. E’ così? E’ il dubbio, maledetto, che affligge e turba.

Secondo punto: le casette sono sì temporanee ma il decreto le definisce “a durevole utilizzazione”. Durevole. Moduli abitativi condominiali, magari lindi e comodi, a due o tre piani. In legno. Ecocompatibili, risparmiosi, caldi. Perfetti. Possono durare decenni.
E dunque: sarebbero provvisori ma purtroppo paiono proprio definitivi. E, questa è una certezza, sono le uniche costruzioni ad avere pronta una linea di finanziamento. Piccole e sparse new town. New town aveva detto Berlusconi, no? E le case vere? Quelle di pietra?

Qui la seconda questione campale: sembra, a scorrere gli allegati al decreto, che Berlusconi non possa concedere più di 150 mila euro per la ricostruzione dell’abitazione principale. E per di più questi soldi sarebbero veri fino a un certo punto, perciò la definizione di decreto abracadabra. 50 mila euro li concederebbe – cash – il governo; 50 mila li tramuterebbe in credito di imposta (anticipata dalla famiglia terremotata e ammortizzata in un arco temporale di 22 anni); altri cinquantamila sarebbero coperti con un mutuo a tasso agevolato a carico però del destinatario del contributo.

Non si sa bene ancora se sarà così strutturato il fondo. Le norme del decreto possono subire fino al prossimo giovedì emendamenti e correzioni. Quel che comunque sembra chiaro è che la somma ipotizzata (150 mila euro) ammesso che venga confermata, sarà sufficiente per una casa di tipo popolare e di nuova costruzione, ma totalmente sottodimensionata per finanziare i lavori di recupero e restauro conservativo. Nel centro storico dell’Aquila ci sono 800 edifici pubblici e 320 edifici privati, sottoposti a vincoli per il loro pregio.

Recuperi dispendiosi economicamente e, secondo questo decreto, sostanzialmente a carico dei privati.
Così ieri i sindaci delle aree terremotate si sono ritrovati in conclave e hanno iniziato in un borbottio che è poi sfociato in un documento di dura protesta. “Vogliamo vedere nero su bianco i soldi per la ricostruzione e non solo quelli per le casette transitorie. L’Aquila va costruita dov’era e com’era. Così non sarà: a leggere il decreto i tempi sono dilatati fino al 2033, una data ridicola”, ha dichiarato la presidente della Provincia Stefania Pezzopane.

Ai dubbi che già gonfiano i primi timori si aggiunge poi l’offesa istituzionale subita dagli enti locali. Il governo, promotore della prima legge costituzionale a vocazione federalista, ha accentrato ogni potere di spesa negando finanche al sindaco dell’Aquila, città epicentro del terremoto e capoluogo di regione, le funzioni commissariali esecutive. Penserà a tutto, come al solito, Guido Bertolaso…

(5 maggio 2009)

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CRIBBIO!

Nella sfida per la carica di sindaco il vice primo cittadino uscente
stacca nettamente Morandini del Pdl. La leghista Giuliani terza
Trento, Andreatta verso la vittoria
E i democratici sono il primo partito

TRENTO – Le sezioni scrutinate sono 53 su 97. E portano buone notizie per il Partito democratico e i suoi alleati. Alessandro Andreatta, vicesindaco uscente e candidato primo cittadino a Trento, è in nettissimo vantaggio sullo sfidante Pino Morandini del Pdl: 64,15% contro il 21,01%. La candidata leghista, Bruna Giuliani, si attesta sul 7,56%.

“Sono molto soddisfatto, il nostro progetto è stato premiato, è una vittoria di tutta la coalizione”, è stato il primo commento a caldo di Andreatta. Che rappresenta il centrosinistra autonomista: Pd, Upt, Di Pietro-Idv, Patt, Udc, Verdi, Socialisti democratici e Leali. Morandini, invece, rappresenta il Pdl e una lista civica col suo nome. Tra i partiti il più votato è il Pd, che si attesta sopra il 31%, seguito dall’Unione per il Trentino 15,5% e dal Pdl 11,9%. La Lega è all’8%, l’Idv al 3,6% e l’Udc al 2,55%.

Con circa il 64% dei voti, Andreatta si colloca praticamente allo stesso livello del suo predecessore, Alberto Pacher, sindaco storico e leader del Pd trentino che, nel maggio del 2005, arrivò al 64,3%. In quell’occasione, il Pd non c’era ancora: i democratici per l’Ulivo raggiunsero circa il 18% e la lista civica per Pacher arrivò al 28%. Alle politiche del 2008, gli elettori del comune di Trento diedero il 38% al Pd, il 6,3% all’Idv, il 25,7% al Pdl e il 12,1% alla Lega Nord.

Ma questa tornata amministrativa – che ha coinvolto anche altri cinque comuni del Trentino, e quattro dell’Alto Adige – è stata caratterizzata anche dalla bassa affluenza. A Trento, ha espresso il proprio voto il 60,15% degli elettori. Alle precedenti comunali del 2005 aveva votato il 70,16% degli aventi diritto.

PARTE LA DéBACLE?

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Il regime incalza

Punirne uno, per educarne cento

di Peter Gomez

La censura scattata contro Vauro e l’ordine impartito a Michele Santoro di “riequilibrare” nella puntata di domani di Annozero quanto raccontato giovedì scorso nei servizi sul terremoto, sono un crimine contro la libertà di parola. In qualsiasi democrazia liberale idee e opinioni possono essere sempre espresse. L’unico limite è quello dettato dal codice penale: posso dire quello che voglio, ma non posso calunniare o diffamare chi critico.

Nessuno ad oggi è stato in grado non di affermare, ma nemmeno di ipotizzare, che Vauro o i giornalisti di Annozero abbiano commesso qualche reato o detto falsità occupandosi del sisma in Abruzzo. Molte, se non tutte, le domande sollevate durante la trasmissione sono anzi rimaste senza risposta.

L’intervento del direttore generale della Rai, Mauro Masi, è dunque semplicemente sbagliato e dimostra ancora una volta come l’azienda radiotelevisiva di Stato non sia più un servizio pubblico, ma solo una tv al servizio dei partiti. I partiti sono i padroni di viale Mazzini e visto che più o meno tutti i partiti (compreso il Pd) hanno detto che la puntata non era piaciuta, l’editore, come avrebbe fatto qualsiasi altro editore privato, è corso ai ripari. Vauro è stato “sospeso” e ai collaboratori e ai dipendenti Rai è stato dato un segnale preciso: qui si fa come vogliamo noi.

Restano due problemi. Il primo: il servizio pubblico è del pubblico, cioè dei telespettatori. Tra di essi vi sono milioni di persone che, pur essendo in minoranza nel Paese, hanno diritto di veder rappresentato il loro punto di vista. Annozero e Vauro hanno insomma il diritto di andare liberamente in onda esattamente come ha il diritto di andare in onda Bruno Vespa o Gianluigi Paragone.

Ovviamente sia Santoro, che Vespa, che Berlusconi, Di Pietro o Franceschini, sono criticabili. Personalmente non condivido una parola del pensiero di Aldo Grasso che dalle colonne de “Il Corriere della Sera” ha accusato Annozero di «abuso di libertà» dando di fatto il via all’intervento in stile sovietico della politica italiana. Ma credo che Grasso abbia tutto il diritto di esprimere ciò che pensa e, parafrasando Voltaire, sarei disposto a dare la vita per difendere il suo diritto.

E qui veniamo al secondo problema: quanti tra i sedicenti liberali alle vongole protagonisti della vita pubblica italiana, politici, editorialisti, direttori di giornali, capitani d’industria, prenderanno posizione per difendere non Santoro o Vauro, ma un principio? Io credo pochi. Perché la libertà di parola nasce nel ‘700 per poter parlare male di chi stava al potere. Per parlarne bene, infatti, c’erano già i cortigiani. C’erano allora e ci sono ancora.

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