Processo Mills: “Berlusconi è colpevole oltre ogni ragionevole dubbio“ QUALCUNO AVEVA DUBBI?

Daniela Gaudenzi

Processo Mills, l’aria non è cambiata

Nonostante il dispiegamento di qualsivoglia strumento dilatorio, oltre ogni ragionevole strategia difensiva e ogni vergogna, è arrivata, pur se incompiuta, la requisitoria del processo Mills che Berlusconi pretendeva di smaterializzare.

Se David Mills con una involontaria freddura aveva definito tutta la

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Bruno Vespa contestato davanti al teatro Valle: “Venduto, la Rai è servizio pubblico”

Bruno Vespa contestato davanti al teatro
Valle: “Venduto, la Rai è servizio pubblico”

La reazione di Cicchitto: “Un gruppetto di estremisti che fa falsa cultura si è impadronito del teatro Valle, gestendolo come una sorta di comune e respingendo la disponibilità del Comune di Roma”

Bruno Vespa

Insulti contro giornalista Rai e conduttore di Porta a Porta Bruno Vespa: è accaduto a Roma, davanti al teatro Valle, luogo storico della capitale che dallo scorso 14 giugno è occupato dai lavoratori del settore dello spettacolo per protesta contro i tagli dell’esecutivo al comparto della cultura. Le contestazioni nei confronti di Vespa sono state filmate (il video è visibile sulla pagina facebook del teatro Valle occupato) : pochi minuti durante i quali un gruppo di persone inferocite ha rivolto al giornalista, che passava a piedi davanti al teatro romano, fischi e parolacce. L’accusa principale: “La Rai è la televisione pubblica”. Il giornalista si è rapidamente allontanato, accompagnato da un coro di “Venduto! Venduto!”

Sull’accaduto è intervenuto il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto: “”Un gruppo di estremisti si è impadronito del Teatro Valle, ha respinto la disponibilità del Comune di Roma e lo gestisce come fosse un sorta di comune, e chi passa per la via adiacente il teatro e non risulta gradito viene regolarmente insultato”, ha commentato il capo dei deputati azzurri. Che ha aggiunto: “Avanziamo anche l’interrogativo se quello che è uno dei teatri storici di Roma debba essere distrutto da questo gruppetto che fa falsa cultura e falso teatro”.

°°° Questo ragliare  stonato del somaro ladro e piduista significa che i compagni di lotta stanno lavorando bene, difendendo il Valle dallo sfascio nazionale della cosca.

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Piduisti d’Italia, i soliti noti. Tutti i nostri mali nascono da loro

Piduisti d’Italia, i soliti noti

Da Silvio Berlusconi a Fabrizio Cicchitto, da Luigi Bisignani a Flavio Carboni. Passando per il giornalista Maurizio Costanzo. Erano negli appunti privati della senatrice Tina Anselmi. E ancora oggi sono al potere

C’è anche una lettera del futuro papa Joseph Ratzinger – prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (quella che un tempo si chiamava Inquisizione) – datata 26 novembre 1983, negli scritti della presidente della commissione d’inchiesta sulla P2 dall’81 all’85, pubblicati da Chiarelettere nel libro La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi a cura di Anna Vinci. Ratzinger spiega il “giudizio negativo” della Chiesa sulle logge massoniche: “I loro principi sono stati sempre considerati inconciliabili con la dottrina della Chiesa e perciò l’iscrizione a esse rimane proibita”.

Silvio Berlusconi

Il premier Silvio Berlusconi, all’epoca già imprenditore in ascesa, vicino ai “laici” socialisti di Bettino Craxi, era iscritto alla loggia di Licio Gelli, ben prima di proporsi anche come paladino del conservatorismo ultracattolico, seppur pluri-divorziato. Tina Anselmi scrive: “Berlusconi tessera n. 625 ha versato £ 100.000 il 5-5-‘78. Documenti Villa Gelli in Uruguay: iniziato con solenne giuramento. Berlusconi afferma che nel 1978 fu convinto ad aderire da Gervasio (Gervaso). Nel 1978 linee di credito aperte da banche controllate da piduisti. Berlusconi collabora al Corriere della Sera, direttore Di Bella (piduista) nel 1978. Il 27 gennaio 1994 Gelli dichiara di averlo incontrato 4-5-10 volte. Agli atti risulta di avere grado di apprendista”. Non mancano rapporti con uomini d’altre cricche, più che d’altri tempi, che poi si ritrovano anni dopo indagati in altre inchieste, per altre “P”. Flavio Carboni, definito “procacciatore d’affari” da Tina Anselmi che il 10 marzo 1983 scrive: “Nel 1980 Berlusconi dà cinquecento milioni a Carboni”. Nell’audizione completa di Emilio Pellicani, segretario di Carboni, viene nominato anche il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, da sempre fedelissimo di Berlusconi: “Fedele Confalonieri, collaboratore di Berlusconi, si portò a Cagliari con cinquecento milioni in contanti…”

Bisignani & Valori

Eminenza grigia tra i più fidati “consiglieri” di Gianni Letta, Luigi Bisignani compare una sola volta negli appunti di Tina Anselmi. Ma in relazione a una vicenda drammatica della storia italiana, l’omicidio nel ‘76 del giudice Vittorio Occorsio, che indagava sui rapporti tra estrema destra e logge massoniche e fu ucciso dai neofascisti di Ordine Nuovo. Negli stessi appunti compare il nome di Giancarlo Elia Valori, potente manager italiano, in passato ai vertici di Autostrade, finito nell’inchiesta “Why not” di Luigi De Magistris. “Occorsio (molto amico di Valori) nel 1974, verso metà maggio, dice a Valori che Gelli era un delinquente. Che aveva le mani nell’Italicus. La sera del 7 luglio, Occorsio ripete la pericolosità di Gelli. Teneva le carte in macchina quando il 9 mattino è stato ucciso. Gelli-Ortolani-Cosentino. Gelli-Grassini-Santovito. Bisignani [Luigi, giornalista, piduista] (Ansa) pagato da Gelli, è ancora in rapporto con Gelli. Sera a Castelporziano con Leone e Gelli”.

Fabrizio Cicchitto

Capogruppo alla Camera del Pdl, riferisce alla commissione guidata da Tina Anselmi, che appunta quanto segue il 10 giugno 1982. F”abrizio Cicchitto: Momento difficile della mia vita personale e politica, lettere anonime che descrivevano nei particolari la mia giornata. Ho rifiutato nel governo Cossiga di diventare ministro, per l’imbarbarimento della vita politica. Entrai nella massoneria per avere protezione, sicurezza. Pedinamenti continuati per un anno, non denunciai il fatto. Le lettere erano su fogli bianchi non firmate. Gelli dava l’impressione di un’intelligenza modesta. Insisteva su ampi rapporti con gli Usa, non mi fece nomi italiani”.

Maurizio Costanzo

Volto arcinoto della televisione, in onda da anni tra Mediaset e Rai, come Cicchitto ha conosciuto Gelli grazie al medico Fabrizio Trecca. Il 2 febbraio 1982 Costanzo riferisce alla commissione di Tina Anselmi: “Ho conosciuto Gelli attraverso Trecca, suo medico. Gelli lo contattò per un’intervista (pubblicata dal Corriere della Sera il 25 ottobre 1980, ndr). Gli parlò sempre di massoneria e delle sue protezioni (…) Valutò Gelli un abile uomo d’affari, che mescolava piccole verità a millanterie”. Il 22 giugno 1982 Enrico Manca, già ministro del commercio estero, a proposito di Costanzo riferisce: “Visita di Maurizio Costanzo, che disse di essere massone, e a nome di Gelli chiese se ero disponibile a aderire alla massoneria. Quando mi vidi negli elenchi di Gelli telefonai a Costanzo, ma questi mi dichiarò di aver telefonato a Gelli la non disponibilità”. Tina Anselmi il 14 marzo 1983 scrive ancora di Costanzo (nel ‘78 direttore della Domenica del Corriere e nel ‘79 del giornale scandalistico l’Occhio edito da Rizzoli) sui diari: “Molte assunzioni volute da Gelli. Maurizio Costanzo voluto da Gelli. Costanzo superprotetto da Gelli”.

Da Il Fatto Quotidiano del 26 marzo 2011

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MANGERA’ IL PANETTONE?

Marco Damilano per “l’Espresso”

Sa, presidente, Gianni Letta è bravissimo. Mi costa poco meno di Kakà, ma pazienza… Era il 7 maggio, Silvio Berlusconi a colloquio con Giorgio Napolitano al Quirinale si ritrovava a magnificare al solito le qualità del suo sottosegretario: governante eccezionale e per di più, massima soddisfazione, suo dipendente.

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Un mese e mezzo fa, un tempo felice. Oggi Silvio e Gianni sono ancora insieme, ma separati da una invisibile cortina di sfiducia. Alle cene di palazzo Grazioli, il sottosegretario era abituato ad arrivare dopo le nove di sera e ad andarsene intorno alle undici, quando arrivavano le dame e cominciavano le danze.

Negli ultimi mesi, poi, ha deciso di non farsi vedere più neppure nella prima parte della serata: meglio essere prudenti, viste le compagnie non sempre degne di uno statista. Ma nessuno sembrava accorgersi della sua assenza: era ancora la stagione del Berlusconi onnipotente, padrone d’Italia, con il gradimento del 75 per cento degli italiani, almeno nei suoi sondaggi.

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Oggi invece al primo piano di palazzo Grazioli sventola un moscio tricolore, Apicella non suona più, Berlusconi si ritrova in perfetta solitudine nel momento più difficile della sua avventura politica e umana. È un leader politico sotto ricatto, diffidente perfino nei confronti degli amici di sempre, con la corte dei nuovi favoriti pronta a soffiare sul fuoco per scalare posizioni: il deputato-interprete Valentino Valentini, il deputato-segretario Sestino Giacomoni, il deputato-avvocato Niccolò Ghedini. Un uomo sotto assedio, che vede spegnersi la tradizionale buona sorte, l’ottimismo, “il sole in tasca”.

“Si è trasformato in un Re Mida all’incontrario: quello che tocca sporca”, lo dipinge con ferocia chi gli è stato vicino per anni e ora non se la sente più di seguirlo. Dopo aver infilzato a lungo un avversario dopo l’altro, il Cavaliere per la prima volta si sente preda di una caccia grossa, dove sono in tanti a voler sparare il colpo di grazia.

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Nella stretta cerchia dei berluscones le voci si rincorrono. Complotti interni e internazionali: i servizi italiani e il prefetto Gianni De Gennaro (“sciocchezze”, replica un sottile conoscitore dell’ambiente: “Branciforte è una brava persona, Piccirillo è un servitore dello Stato, De Gennaro non ha grandi poteri”), anzi no, la Cia, Barack Obama che si vuole sbarazzare del leader italiano, troppo amico dei russi, scenari alla Ken Follett agitati da un esperto del ramo, Francesco Cossiga. I poteri forti: Berlusconi ha pestato i piedi alle banche, Cesare Geronzi si vendica. Luca Cordero di Montezemolo scalda i motori con l’associazione Italia Futura, pronta a partire il 1 luglio.

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Fantasmi, come quello di una giovane misteriosamente scomparsa dalle parti di villa Certosa. Assurdo? Certo: ma a invocare Wilma Montesi, la ragazza ritrovata morta sulla spiaggia di Capocotta negli anni Cinquanta, è un ministro in carica, Gianfranco Rotondi.

Lo spettro di un 25 luglio berlusconiano: “Alla caduta del Duce ci fu un solo suicida, il direttore dell’agenzia Stefani Manlio Morgagni, oggi chi potrebbe imitarlo? Sandro Bondi?”, scherza macabro un deputato di An.

E le previsioni catastrofiche sul G8 dell’Aquila che avrebbe dovuto consacrare la figura internazionale del Cavaliere: ecco invece le voci di capi di Stato che vorrebbero evitare di farsi fotografare con il premier. E le first ladies che potrebbero disertare l’evento. Anche se, a spaventare davvero il Cavaliere, sono incubi molto più consistenti: l’inchiesta di Bari, i contatti tra l’amico del premier Giampaolo Tarantini e il capo della protezione civile Guido Bertolaso, fronti che potrebbero aprirsi in altre procure, da Firenze a Napoli.

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“Dobbiamo tornare a fare politica. Possiamo finire in molti modi, ma non così”, si dispera fino alle lacrime su un divano del Transatlantico la deputata Beatrice Lorenzin, pasionaria azzurra che è arrivata a Montecitorio dalla militanza nelle borgate romane, il contrario della velina. Non può finire così: con l’inedito duello Silvio-Patrizia, lui sull’house organ ‘Chi’ che da vero signore si vanta di non aver pagato una donna (“non sarebbe una conquista”), lei, la sdoganatrice del termine escort, che lo smentisce via agenzia.

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Con la fila delle ragazze che ostentano farfalline e tartarughe, ognuna con il suo regalino da esibire e una indimenticabile serata con Papi da raccontare. Con l’Italia mai così screditata a livello internazionale, come dimostra il flop della candidatura del ciellino Mario Mauro alla presidenza del Parlamento europeo. Berlusconi ne aveva parlato per tutta la campagna elettorale, il settimanale ‘Tempi’ gli aveva già dedicato la copertina (“Il Presidente”), niente da fare, anche Mauro ha pagato la vicinanza a Silvio, il re Mida all’incontrario.

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La caduta è stata appena bloccata dalla vittoria del centrodestra al ballottaggio per la provincia di Milano, per soli quattromila voti, però, e con il centrosinistra che ha superato la coalizione Pdl-Lega in città. Ma il tritacarne si è rimesso subito in azione. Alimentato dalle ambizioni personali dei tanti che fiutano l’odore dell’animale ferito, la precoce fine del berlusconismo, se non ancora di Berlusconi, dopo appena un anno di legislatura, reclamano il loro pezzetto di eredità, si preparano al dopo. Il più rapido a farsi avanti è stato il ministro Claudio Scajola, con un’intervista al ‘Corriere’.

In apparenza di solidarietà con il premier, in realtà carica di richieste e di condizioni. La più pressante: “Rilanciare il Pdl strutturandosi meglio sul territorio”. Quando hanno letto queste parole in via dell’Umiltà hanno sospirato: “Ci risiamo. Berlusconi è in difficoltà e Claudio si candida alla guida del partito…”. Lo scontento dei parlamentari verso il triumvirato che guida il Pdl non si può più arginare. I due ex Forza Italia, Bondi e Denis Verdini, entrambi toscani di Fivizzano, ex vicini di casa a Roma, in piazza dell’Ara Coeli, non si parlano più, alle riunioni se c’è uno manca l’altro.

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Il terzo del trio, il post-missino Ignazio La Russa, è sbeffeggiato quotidianamente dagli amici di An. “I triumviri o quadriumviri hanno sempre fatto una brutta fine: ai tempi di Mussolini uno è caduto dall’aereo, uno è stato fucilato, un altro è diventato partigiano. Tutte cose che non auguro a La Russa”, ridacchia l’ex capo della segreteria di Gianfranco Fini Donato Lamorte. Di certo, il Pdl, il primo partito italiano, si è rivelato più permeabile di palazzo Grazioli: porte girevoli, gente che va gente e che viene, candidature imbarazzanti, nomi arrivati nelle liste per le elezioni europee o amministrative senza nessuna trafila o competenza.

E a immolarsi per difendere il leader-fondatore dalle accuse delle escort sono rimasti il solito Daniele Capezzone e la coppia dei Beni culturali, il ministro Bondi e il sottosegretario Francesco Giro, il bunker del Collegio romano, li chiamano nel partito. Così in tanti invocano un cambio di rotta immediato: un segretario organizzativo al posto di Verdini-Bondi-La Russa da nominare subito, entro l’estate, una macchina da guerra da mettere in campo subito, per non farsi cogliere impreparati quando arriverà il terremoto politico più sconvolgente degli ultimi anni.

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Le prossime settimane, infatti, decideranno il futuro di Berlusconi. Prima il G8, ad alto rischio flop. Poi le leggi più delicate da varare entro la pausa estiva, a partire da quella sulle intercettazioni approvata dalla Camera e ora in discussione al Senato. Infine, il passaggio più a rischio, la sentenza della Corte costituzionale sul lodo Alfano che impedisce i procedimenti a carico del premier fino alla scadenza del mandato: una bocciatura della Consulta sarebbe letale per il Cavaliere, in una maggioranza dove ognuno gioca la sua partita, come se la legislatura fosse al capolinea e non all’inizio.

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C’è il presidente della Camera Gianfranco Fini, sempre più compreso nel suo ruolo istituzionale. Pronto a passare da un convegno sul parlamentarismo con la tedesca fondazione Adenauer a un incontro a Madrid con il think tank dell’ex premier Josè Maria Aznar, dalla benedizione per l’associazione ‘Italia Decide’ presieduta da Luciano Violante al lavoro sul ‘patriottismo costituzionale’, tra frasi di Habermas, Daherendorf, Piero Calamandrei, Giuseppe Mazzini e Rousseau: “La patria non esiste senza virtù”. Citazione perfetta per un aspirante inquilino del Quirinale, soprattutto ora che il candidato naturale, Berlusconi, su vizi e virtù manifesta qualche segnale di evidente confusione.

Con i suoi interlocutori il presidente della Camera giura di non essere disponibile per eventuali governi istituzionali, in caso di caduta di Berlusconi: la sua strada lo porta verso il Colle più alto, ogni deviazione rischia di allontanarlo dall’obiettivo. Per questo, segretamente, tifa perché Berlusconi resista ancora un po’ al suo posto: un premier ferito, azzoppato, per mandare avanti la legislatura di qualche anno. Non a caso, dopo la polemica sulle veline in lista che provocò la reazione della signora Veronica Berlusconi, il sito della fondazione finiana Fare Futuro è rimasto silenzioso: meglio non infierire ora che il risultato di far precipitare Silvio tra i comuni mortali è stato raggiunto. Mentre l’ex sdoganato Fini, al contrario, sta ascendendo tra i padri della patria.

Silenzio condiviso dall’altro big della maggioranza, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Non ha speso una parola per difendere Silvio. È toccato a un amico, un deputato veneto del Pd, raccogliere il suo sfogo nell’emiciclo di Montecitorio: “Mi parli di federalismo? Ma non vedi che qui sta crollando tutto…”. E in pochi ricordano che la rottura con Berlusconi si è consumata non sulla politica economica, ma su un terreno più politico.

Durante la seduta del Consiglio dei ministri chiamato ad approvare il decreto che avrebbe imposto l’alimentazione a Eluana Englaro, lo scorso gennaio, Tremonti fu l’unico ministro a mettere in guardia sulle conseguenze del provvedimento: “Attenzione, se Napolitano non firma il decreto andiamo dritti allo scontro istitzionale”. Berlusconi non gradì per niente, e da allora Tremonti è entrato nella lista nera dei potenziali traditori. Ma anche in testa ai possibili candidati per la guida di un governo di emergenza nazionale in caso di caduta di Berlusconi, con l’appoggio di Massimo D’Alema e del Pd.

Il favorito a Palazzo Chigi, se la situazione dovesse precipitare, resta però l’attuale sottosegretario Gianni Letta. L’unico in grado di garantire la tregua tra i poteri dello Stato dopo un cataclisma di tale portata. Non a caso Sua Eminenza da Avezzano è finito sotto gli attacchi neppure tanto velati di una parte del Pdl. Fabrizio Cicchitto e Gaetano Quagliariello ne hanno chiesto l’audizione al comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti come responsabile politico dell’intelligence e dunque della sicurezza e della privacy del premier.

“Letta è troppo istituzionale per occuparsi di servizi segreti, qui siamo in guerra, serve un personaggio che abbia la mentalità del militare”, detta un falco ex Forza Italia, esponente della corrente che spinge Berlusconi verso la linea dura e vorrebbe bloccare la strada verso un eventuale governo delle larghe intese, presieduto dallo stesso Letta. Ma sulla reazione allo scandalo delle escort, per la prima volta, gli azzurri appaiono spaccati. Il dopo-Berlusconi non è un tabù, neppure nel Pdl.

C’è chi se la prende con i più scalmanati del governo: “Ministri come Sacconi o Brunetta che in tempi di crisi invocano la spaccatura con i sindacati. Gente che ha i glutei al posto della testa”. E c’è chi invoca il ritorno dei vecchi saggi, i padri nobili, i Pisanu, i Martino, i Pera, da affiancare a Berlusconi: una specie di cordone sanitario, un collegio di badanti per il premier sull’orlo di una crisi di nervi.

Sulla capacità di tenuta di Berlusconi di fronte alla raffica di inchieste, rivelazioni, interviste, memoriali, fotografie, aspiranti ragazze immagine, trans, slave vestite da babbonataline e altri colpi di scena (“la coca, quella no!”, giura un forzista della prima ora, forse per darsi coraggio) si regge la possibilità della legislatura di proseguire. La minaccia di riportare il Paese alle elezioni anticipate, per l’ennesima ordalia, il referendum pro o contro Berlusconi, è sempre sul tavolo, un copione già ripetuto con successo in altre occasioni.

La Lega di Umberto Bossi lo spinge a sfidare i nemici, sicura di sopravvivere al cataclisma, una parte del Pdl lo invita a dare la caccia al traditore interno. Ma il Cavaliere sembra colto da un’improvvisa esitazione, da una malinconia. L’effetto che fanno le luci che si spengono al termine di una festa, come quelle che allietavano il premier al primo piano di palazzo Grazioli. Un’atmosfera deprimente da spettacolo concluso, uno show che si interrompe all’improvviso, un’emozione spezzata. Ma il timore di Silvio è che ora la giostra possa finire anche a palazzo Chigi.

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Da Travaglio

Il reality show

Sui siti internet c’è da tempo una rubrica fissa dedicata ai «cappelli di Berlusconi». È una photogallery con le immagini del premier-pompiere, del premier-esploratore-artico, del premier-cow boy, del premier-giocatore-di-baseball etc etc. Ieri s’è aggiunta quella del premier-cuoco-delle-tendopoli. E presto la galleria sarà arricchita da un premier-primo-ufficiale nelle crociere sul Mediterraneo che ieri ha promesso ai terremotati abruzzesi. Sono cose che succedono qua da noi, a Berlusconistan, come la nostra povera Italia è stata appena ribattezzata dal Time.

La rubrica sui cappelli è nata da un’evoluzione di quella sui capelli, con una p, che fu inaugurata dallo storico trapianto del 2004 e dalla conseguente bandana che, per la gioia della famiglia Blair, andò a coprire i follicoli in fiore. Sono passati appena cinque anni, ma sembrano mille. La bandana creò un po’ di stupore. Oggi il premier potrebbe sistemarsi sul cranio la Nike di Samotracia o Mara Carfagna o, perché no?, Fabrizio Cicchitto e pochi ci farebbero caso.
Il travisamento è la condizione ordinaria del presidente dello Stato libero di Berlusconistan. A volte è fisico, ed ecco i cappelli, i capelli, il cerone e i tacchi a spillo, altre volte si estende all’intera realtà che lo circonda e, ahìnoi, ci circonda. A volte ha la funzione di nasconderla, la realtà, altre di obbligarci a distogliere lo sguardo da essa per rivolgerlo altrove. Scoppia il penoso caso-Noemi ed ecco un furibondo attacco al Parlamento, ai giudici, alla moglie e al composito fronte della «stampa comunista»: da Famiglia Cristiana al Financial Times. La crisi economica divampa ed eccolo – il giorno in cui il governatore della Banca d’Italia nella sua relazione annuale dà le cifre di un’autentica catastrofe – tra le consuete macerie abruzzesi. È un po’ nervoso. Forse teme che qualcuno, tra la folla, possa gridare qualcosa di inopportuno. Chissà. Fatto sta che sferra un attacco preventivo alla magistratura «eversiva» che vuole «cambiare il voto popolare». A cosa si riferisce? Niente. Riprende il controllo, cambia maschera. Ed ecco il cappello da cuoco e le promesse a vanvera. Gli allegri campeggiatori abruzzesi potranno proseguire la vacanza sul mare. Già, andranno in crociera. Sul Titanic.

Le cifre del naufragio parlano di una disoccupazione destinata a superare il 10 per cento. Di due milioni di precari che a fine anno resteranno senza lavoro. Di un milione e 600mila lavoratori che non avranno alcun sostegno se perderanno il posto. Di altri 800mila che devono sopravvivere con 500 euro al mese. E parlano, sia pure con molta prudenza, dell’inadeguatezza di una politica economica che ha trascurato le prime e più fragili vittime della crisi: i lavoratori precari e le piccole imprese.
Com’era naturale, il premier si è detto soddisfatto. Ha definito il discorso del governatore «molto berlusconiano». E subito dopo è rientrato nel camerino per preparare la prossima puntata di quello che l’organo del Partito comunista americano, il New York Times, ieri ha definito «un reality show».

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