Messina, che?!

Messina un mese dopo

«Senza risposte né solidarietà»

«L’alluvione catalogata come un affare di negligente abusivismo. Come se le vittime fossero di serie B»

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L’alluvione a Messina

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Pubblichiamo la lettera e le foto inviate a Corriere.it da un lettore originario di Giampilieri, uno dei paesini nel Messinese più colpiti dall’alluvione e dai crolli dei primi di ottobre

È passato quasi un mese dall’alluvione di Messina e a Giampilieri e negli altri paesi colpiti dalle frane del primo ottobre non ha mai smesso di piovere. Prima la pioggia che ha fatto crollare le montagne sulle case. Poi quella dei media arrivati da Roma e da Milano a documentare la tragedia. Poi è rimasta soltanto la pioggerellina d’autunno, forse un po’ più insistente degli altri anni. Intervallata da qualche rara giornata di sole. Visto che in quei luoghi ci sono nato, sono andato più volte in questi giorni a vederli e a fotografarli.

Volevo parlare con i miei amici e con i miei parenti. La sensazione che ne ho tratto è che queste persone, dopo essere state travolte dall’alluvione vera e poi da quella mediatica, oggi sono tornate in un silenzio ancor più irreale del frastuono fangoso di qualche settimana fa. Solo due cose non sono piovute. La prima, a distanza di quasi un mese, sono le risposte. Ad esempio sulle modalità di gestione e risoluzione dello stato di emergenza, come da giorni chiede il neo-comitato «Salviamo Giampilieri». La seconda, curiosamente, sono gli sms di solidarietà. Come per altre tragedie analoghe è stato attivato un numero (il 48580) dove chi voleva poteva mandare un sms del valore di un euro. Ma questo numero fantasma, di cui nessuno dei grandi media ha parlato, è stato disattivato già da diversi giorni. Come a confermare l’amara constatazione che la tragedia di Messina è stata frettolosamente catalogata come un affare di negligente e colpevole abusivismo. Come se quelle vittime fossero un po’ di serie B. Vittime, ma anche un po’ colpevoli, in fondo.

Biagio D’Angelo

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Berlusconi e le cazzate di Messina

“Nessuno aveva previsto”

Messina, si scava ancora

Nel bollettino della Protezione civile il rischio era “ordinario”: il documento smentisce il premier. Contestato Matteoli: “Assassini” (audio). Il capo dei vigili: “Chiesi 120 demolizioni, non ne hanno fatta nessuna“. Ventiquattro morti e 39 dispersi. Berlusconi promette “case come in Abruzzo”

b-cAZZARO

b-idiota

b+capello

°°° Ormai è quasi noioso smentire le minchiate che spara questo delinquente fuori di testa. Si sa, se dovesse dire UNA SOLA VERITA’  gli cadrebbe immediatamente il topo morto che la parrucchiera gli incolla sul testone ogni mattina.

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I Dimenticati

Balsorano, tra gli sfollati che aspettano una casa dal 1915
di Marco Bucciantini

Quando Lucia scendeva dal paese vecchio verso la valle tenendosi alla sottana della madre, sentiva sempre i vecchi preoccuparsi per quelle case aggrappate alla terra della Marsica. In quei giorni, Giovanni Giolitti supplicava gli interventisti di evitarsi guai con l’Austria. Nessuno fu ascoltato, Balsorano venne giù, l’Italia entrò in guerra, Lucia finì in questa casa bassa e quadrata, fatta di mattoni forati e cemento, costruita simile ad altre duecento dal Corpo reale del genio civile. Aveva sette anni. Adesso ne ha 101, un dente solo, nel mezzo alla bocca sempre sorridente, un filo di peluria bianca sul mento, una memoria intermittente ma affidabile. “Crollava tutto, mamma prese in braccio mia sorella più piccola, e mi tirò fuori di casa a pedate. Corremmo giù per la collina e ci salvammo. Fossimo passati per la strada saremmo morti: si sbriciolò, inghiottì tutti”. Il terremoto del 13 gennaio del 1915 cancellò la vita nella terra dei cafoni di Silone. Il cuore del Fucino cessò di battere, la morte sghignazzò per ore, ovunque, scrisse il sindaco di Tagliacozzo (altro paese di queste mezze montagne) in una lettera disperata al ministro dell’Interno. Fra i marsicani, se ne salvò uno ogni dieci. Questo fu il dazio anche di Balsorano, paese in odore di Ciociaria. I paesi dalla montagna furono spostati a valle, vicino alla ferrovia, sul greto dei fiumi. I pochi sopravvissuti furono sistemati nelle baracche costruite in fretta, provvisorie ma tenaci, solide.

Un secolo “tampone”
Quelle baracche sono ancora la casa di settanta marsicani. Alcuni la tengono per appoggio, vivendo altrove per lavoro (Roma, Frosinone, Avezzano). I più ci vivono: l’Italia che sanguina all’Aquila ha ancora ferite aperte ovunque e deve costruire la casa agli sfollati del 1915. Il sindaco Francesca Siciliani giusto sabato scorso, 24 ore prima della tragedia che ha straziato l’Abruzzo, ha incontrato l’assessore ai Lavori Pubblici della Regione “per chiedere di accelerare il recupero urbanistico di questa zona”. Per chiudere, dopo 94 anni, una parentesi aperta per un attimo. In questo paese, una parentesi è per sempre. Sono casette di 40 metri quadri circa, una camera da letto è di sei metri quadri, ma le famiglie hanno aggiunto qualcosa, davanti, di lato, dietro, dove c’era spazio. “Qui ci stiamo in sette”, ci fa accomodare Luigia Tuzzi, uno dei cognomi cardini di questo paese di tremila abitanti: o si chiamano Tuzzi, o Buffone, o Razzauti. Tetti bassi che d’estate le trasformano in un forno. Qualcuna ha ancora il cesso all’esterno. Ogni vent’anni (nel 1959, nel 1979, nel 1999) si sbloccano i finanziamenti per un’edilizia popolare che permetta di abbattere questi monumenti al terremoto, o meglio, alle infinite ricostruzioni, qui come in Belice, in Irpinia, a Messina. Ma l’ultima volta su 74 appartamenti 20 rimasero sfitti: la gente non si muove. Per affetto, per abitudine, perché sono anziani e preferiscono queste case rasoterra. E perché dovrebbero andarsi a pagare un affitto, basso, risibile, ma qui si fanno i conti: lavoro ce n’è poco, qualcosa nell’edilizia, la Tuzzi Costruzioni ha assorbito molti ragazzi e li ha portati sulle ferrovie in Lombardia.

Monumenti d’Italia
Santina legge il calendario delle messe e si prepara per quella delle quattro e mezzo. Luigia è incerta se stendere il bucato. Guarda il cielo cambiare colore, lascia i panni nella tinozza. Anche le baracche cambiano colore: i Razzauti le hanno dipinte di rosso acceso, e hanno le finestre di alluminio. I Tuzzi mantengono le persiane di legno e l’intonaco grigio. La giovane Jessica (Buffone) passeggia in tuta, annoiata, “non so che fare, non studio da sei anni, non c’è lavoro”. I suoi genitori hanno ereditato la casa dai nonni: in molti se la tramandano, come unico bene da lasciare. Altri la vendono. Il gruppo di Luigia (lei, il marito, il padre che guarda una piccola tv, lo zio allettato, il figlio) ha acquista la casa per 150 mila lire, 35 anni fa, da una famiglia che si trasferì nelle case popolari.“E mo’ duve te-n-r’ueeè”: e adesso dove vai, dice Michele, vedovo, che spazza la strada. Anche lui – sono cinque famiglie in tutto – si è comprato la baracca da altri compaesani. A loro il comune dovrà dare una piccola somma d’esproprio, se e quando riusciranno a sistemarli altrove. Le campane annunciano la messa del giovedì santo. Don Riccardo sta preparando la predica, fa un cenno cortese per negarsi, ha un naso d’altri tempi. Due bar chiudono la piazza sugli angoli, c’è il pronto soccorso, ci sono le scuole fino alle medie, un campo di calcio spelacchiato, ragazzi che prendono a pallonate il Municipio, la caserma. C’è un paese vero, con una ferita indelebile. Quando le campane tacciono, comincia a piovere.

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Dc, Psdi, Psi, Pdl, Udc… stessa minestra

Le leggi «pressappoco»
nel Paese sempre a rischio
Vulcani, terremoti, frane. Il dossier: abitati i due terzi delle aree a rischio

Troppo facile, fare il ponte di Messina. Detta così, certo, può sembrare solo una provocazione: anche chi non apprezza affatto, per mille motivi, l’idea di realizzare quel sogno deve ammetterlo: una grande nazione deve darsi grandi obiettivi. Non per megalomania: per mettersi alla prova. Dio sa quanto l’Italia abbia bisogno di credere in se stessa e scavalcare lo Stretto potrebbe essere un obiettivo formidabile. Ma vuoi mettere la sfida vera? Risanare un Paese disastrato: quella sarebbe la sfida vera. La più dura. La più difficile. La più doverosa. Tanto più dopo la catastrofe in Abruzzo.
http://www.corriere.it/cronache/09_aprile_09/gian_antonio_stella_le_leggi_pressappoco_del_paese_sempre_a_rischio_ca8216ec-24c9-11de-a682-00144f02aabc.shtml

Gian Antonio Stella

°°° Come sempre, questo raro esempio di ottimo giornalismo, mette lucidamente il dito nella piaga. Ieri sera ho sentito Padoa Schioppa a 8 e mezzo, su La 7… beh, cari concittadini, non avete idea di cosa abbiamo perso col governo Prodi! In cinque anni sarebbe stata battuta l’evasione fiscale: se non cancellata, almeno riportata a livelli fisiologici e tollerabili. Ma con tutti i miliardi recuperati (circa 200), con le ottime leggi Bersani, col controllo mastino di Di Pietro… beh, l’Italia srebbe stata messa in sicurezza, le mafie messe all’angolo, le tariffe e le tasse diminuite di molto, ecc. LA CRISI NON CI AVREBBE NEMMENO SFIORATO! E invece eccoci qui: nelle mani di un pazzo pericolosissimo, di un regimetto da farsa, con un governicchio ladro e pasticcione che NON SA e NON VUOLE FARE NULLA PER IL PAESE! Non finirò mai di maledire i malavitosi e le scimmiette decerebrate che hanno votato per questo sfascio, che ci penalizzerà tutti per molti e molti anni ancora.

VOGLIO MORIRE!!!

addio

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