E’ AL POTERE PER CONTINUARE A RUBARE

IL REGIME DI DESTRA (INDOVINA CHI?) HA INCREMENTATO DEL 237% LE CAMPAGNE ISTITUZIONALI SULLE RETI MEDIASET (LA RAI DEVE TRASMETTERLA GRATIS): 3.137 MLN € SU 3.288 MLN € – MENO 98% AI QUOTIDIANI CATASTROFISTI…

Carmelo Lopapa per “la Repubblica”

Investimenti più che triplicati per le tv e per quelle targate Mediaset in particolare. E rubinetti ormai chiusi, giusto poche gocce, qualche spicciolo, per la carta stampata. Palazzo Chigi ha già messo in pratica dall´inizio dell´anno l´indirizzo che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha «suggerito» agli imprenditori che lo ascoltavano sabato a Santa Margherita.

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Il report della Nielsen Company sull´utilizzo dei fondi per pubblicità istituzionale a disposizione della Presidenza del Consiglio dei ministri conferma, numeri alla mano, l´andazzo che era ormai evidente agli addetti ai lavori. E intanto in Rai scoppia il caso Tg1, col Pd che accusa la nuova direzione di Augusto Minzolini di essere nuovo «organo di propaganda berlusconiana».

Il premier Berlusconi lo aveva detto ai giovani imprenditori: «Anche voi, non dovreste dare pubblicità ai media catastrofisti». Anche loro come lui, infatti: catastrofisti o no, i giornali ha deciso di punirli. La tabella della Nielsen, mette a confronto l´utilizzo fatto negli ultimi tre mesi di vita del governo Prodi dei 2 milioni di euro a disposizione del dipartimento Editoria, con il trend nello stesso periodo (gennaio-marzo 2009), quando con Berlusconi il dipartimento è stato guidato da Mauro Masi, oggi alla direzione generale Rai.

Ebbene, la presidenza di centrodestra ha incrementato del 237% gli investimenti a beneficio delle tv private, da 932 mila a 3 milioni 137 mila euro (la Rai deve mettere in onda gratuitamente i messaggi istituzionali). In pratica, quasi l´intero budget (3 milioni 288 mila euro) dirottato sulle emittenti tv.

Con azzeramento o quasi dell´investimento sulla carta stampata: da 369 mila euro del trimestre Prodi a 9 mila euro di quello berlusconiano, meno 98%. Flessione verticale anche per magazines e internet. Ma a balzare agli occhi è soprattutto l´impennata dello stanziamento in favore di Canale5 (da 440 mila a oltre 2 milioni di euro), Italia1 (da 230 mila a 536 mila euro) e Rete4 (da 163 a 253 mila).

«È in atto, da parte dei grandi investitori pubblicitari, uno spostamento dalla Rai e dalla stampa verso i canali Mediaset – spiega Paolo Gentiloni, responsabile Comunicazioni del Pd – temo che non abbia a che fare con dinamiche di mercato. La cosa stupefacente è che lo spostamento viene anticipato dalla presidenza del Consiglio. Siamo ormai alla esibizione, al colmo del conflitto di interessi».

Intanto, sul Tg1 si scatena la polemica. Il Pd, con Piero Martino e Fabrizio Morri, mette sotto accusa la nuova gestione dopo i servizi di politica della sera: «Da ieri è ufficiale, con la direzione Minzolini il Tg1 diventa l´organo dell´offensiva di Berlusconi contro il Pd». Il Pdl fa quadrato: «Intimidite». La direzione del Tg1 si difende: «Reazione scomposta, sono illazioni».

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Maria Novella Oppo

Che digitale c’è stasera

Grandi servizi nei tg e nei programmi contenitore per illustrare l’arrivo del digitale terrestre in nuove zone d’Italia. Finché la cosa riguardava la Sardegna, nessuno si è scomodato troppo a informare, visto che l’isola è sempre considerata marginale. Al punto che, certe volte, viene dimenticata perfino dalle previsioni del tempo. E figurarsi dai giornalisti appaltati al capo supremo, i quali si sono ben guardati dall’illustrare i risultati elettorali delle europee, che dimostrano come siano bastati pochi mesi di Cappellacci per far capire ai sardi che cosa voglia Berlusconi dalla loro terra: una sorta di zona franca opportunamente isolata, dove allestire un allegro lupanare per sé e altri ricchi e potenti (o magari impotenti). E per il resto, che le fabbriche chiudano, i giovani siano costretti di nuovo a emigrare e le servitù militari ed economiche crescano, a Berlusconi non può interessare di meno. Mentre, per tornare al digitale, ora saranno spese e rotture di scatole continentali.

IL COMUNISMO E’ L’UNICO CHE GRIDA, IN UN’ITALIETTA DI ORECCHIE ADDORMENTATE

comunismo

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Il cazzaro, la cosca e… la dura realtà

Conti Pubblici
COSA CI SARÀ DOPO LA CRISI
di Andrea Boitani e Massimo Bordignon

15.06.2009

E’ la peggiore crisi dagli anni Trenta. Ma è utile guardare più lontano nel tempo, per capire le possibilità del nostro paese, che oltretutto ha beneficiato meno della crescita precedente. Aumenteranno disavanzi e debiti pubblici, in particolare nei paesi avanzati. Si ridurrà la domanda Usa ed è illusorio contare sulla Cina per riavviare un modello fondato sulle esportazioni. Servirebbero una politica fiscale sempre più europea e riforme strutturali. Difficili da realizzare. Ma l’alternativa è una progressiva emarginazione dell’Europa. E dell’Italia.

“Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita”. L’incipit dantesco rappresenta un’eccellente descrizione della situazione economica attuale. La selva è davvero oscura: quest’anno il Pil mondiale si ridurrà dell’1,3 per cento; del 2,8 per cento negli Stati Uniti e del 4,2 per cento nell’area euro, del 4,4 per cento in Italia (il 5 per cento secondo BankItalia). Il tasso di disoccupazione, nell’area euro, salirà sopra il 10 per cento nel 2010: la peggior crisi dagli anni trenta. (1) Perché si sia persa la “diritta via” è ancora dibattuto. Sappiamo ormai tutto sui meccanismi della crisi finanziaria e della bolla del debito. Capiamo meno come vi si sia potuti arrivare, se per imbecillaggine dei controllori, esuberanza irrazionale dei mercati, cecità dei cantori del libero mercato o altro. Non sappiamo neppure quando qualche raggio di luce illuminerà la selva, se già alla fine del 2009, nel 2010 o ancora più lontano nel tempo. Per ora, gli unici segnali di conforto sono che la velocità di caduta del prodotto è diminuita e che le borse hanno un po’ recuperato, aiutate dall’inondazione di liquidità prodotta dalle banche centrali. Ma i prezzi delle materie prime e del petrolio sono in deciso rialzo, probabilmente per le strozzature presenti dal lato dell’offerta, e questo potrebbe far abortire la ripresa prima ancora che si consolidi. Forse, è però utile gettare uno sguardo un po’ più lontano nel tempo, anche per capire quali possibilità abbia un paese come il nostro, che oltre a essere uno dei più colpiti dal fallout della crisi, è anche quello che ha di meno beneficiato della crescita che l’ha preceduto.

FATTI

Intanto, nonostante che il dibattito si sia quasi esclusivamente concentrato sulla crisi finanziaria, all’origine della stessa c’è soprattutto una situazione di perdurante squilibrio internazionale, alimentato dagli Stati Uniti e dagli altri paesi che impiegano più risorse di quante ne producano, e della Cina e di alti paesi, petroliferi, ma non solo, che producono più risorse di quante ne impieghino. La bolla finanziaria aveva reso conveniente (e perciò possibile) il continuo afflusso di risorse dai paesi in surplus ai paesi in deficit, sotto la forma di capitali in cerca di rendimenti e, perciò, la perpetuazione degli squilibri mondiali. Con ciò era stata anche resa possibile una continua crescita della domanda mondiale, trainata dagli Usa, che, a sua volta, aveva consentito la crescita trainata dalle esportazioni di tanti paesi, asiatici ma anche europei, a cominciare dalla Germania. La crescita del valore della ricchezza finanziaria e del credito ha permesso l’espansione della domanda Usa, nonostante che gran parte dei redditi da lavoro siano rimasti costanti in termini reali per molti anni e la distribuzione del reddito sia divenuta sempre più squilibrata. Un fenomeno del genere si era verificato anche negli anni precedenti alla Grande Depressione, almeno negli Stati Uniti.
Per contrastare la crisi, gli Usa, che hanno pochi stabilizzatori automatici, hanno fatto ricorso a massicce dosi di stimolo fiscale discrezionale, il 2 per cento del Pil, al netto di quanto speso per i salvataggi bancari: il crollo della ricchezza finanziaria e il credit crunch minacciavano infatti di far crollare la domanda interna, che non poteva essere alimentata dallo smobilizzo di risparmi privati, ormai da tempo inesistenti presso il ceto medio e le classi popolari. In Europa, lo stimolo fiscale discrezionale è stato complessivamente più contenuto; il Fondo monetario internazionale lo ha di recente giudicato “nel complesso adeguato”, ma in Italia è stato quasi nullo: lo 0,2 per cento del Pil nel 2009. In Cina è stato annunciato uno stimolo di dimensioni simili a quello Usa: 2 per cento del Pil nel 2009 e nel 2010. Ma è difficile sapere in che misura la spesa effettiva corrisponderà agli annunci. Come effetto di questi interventi e della recessione, disavanzi e debiti pubblici cresceranno in tutti i paesi, e in quelli avanzati in particolare, fino a un livello massimo del rapporto debito su Pil del 140 per cento nel 2010, secondo le stime dell’Fmi. Nel marasma, una buona notizia per noi è che il differenziale tra l’Italia e i paesi europei “virtuosi” si va riducendo: mentre prima della crisi si prevedeva per il 2009 un differenziale di 40 punti tra Italia e Germania, ora si prevede un differenziale di “soli” 30 punti. Comunque abbastanza per frenare l’azione di stimolo fiscale “unilaterale” del nostro governo.

SCENARI

1 – Visto che la crisi è dovuta a squilibri internazionali, è probabile che il processo di aggiustamento spinga verso una loro riduzione. La domanda privata interna Usa si ridurrà e, con essa, le importazioni (la domanda pubblica, ammesso che compensi quella privata, dovrebbe essere meno import-intensive). Se verrà a mancare il traino Usa, sembra anche poco sensato contare sulla Cina per riavviare un modello fondato sulle esportazioni. Il Pil cinese è ancora troppo piccolo per trainare e non c’è alcuna garanzia che la Cina abbandoni, lei per prima, la via dell’export-led, che finora le è servito egregiamente.

2 – I paesi europei, presi singolarmente, sono troppo indebitati o troppo piccoli per potersi avventurare nel finanziamento in disavanzo di un volume di spesa pubblica aggiuntiva sufficiente a sostenere la domanda aggregata. Inoltre, c’è un problema di free-riding: un’espansione in un singolo paese, in un’economia fortemente integrata come quella europea, finisce per avvantaggiare soprattutto i partner commerciali, così disincentivando l’espansione stessa.

3 – Non è impossibile che gli Stati Uniti scelgano la via di un’inflazione controllata per bruciare un po’ di debito e di liquidità accumulati in questi anni. Un po’ di svalutazione del dollaro serve a riequilibrare almeno parzialmente i conti con l’estero. Ma gli Usa non possono permettersi un’eccessiva svalutazione della loro moneta se devono, come devono, continuare ad attrarre capitali dall’estero per finanziare i loro debiti interni. In Europa, la via dell’inflazione sembra comunque sbarrata dalla Bce e dalla tradizionale avversione tedesca; ma questo, a sua volta, impedisce una più coraggiosa politica di indebitamento da parte dei singoli stati membri.

4 – Non sembrano riscuotere grande consenso, né in Italia né in altri paesi europei, quelle manovre “intertemporali” che sarebbero capaci di dare credibilità al consolidamento della finanza pubblica nel medio periodo, a fronte di un più robusto stimolo fiscale oggi. Le raccomandazioni dell’Fmi e del governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi vanno in quella direzione, ma rischiano di rimanere inascoltate. Sebbene i periodi di crisi siano quelli in cui sarebbe più necessario e utile fare le riforme “strutturali”, sembra che proprio in questi periodi governi nazionali siano più timorosi del solito e, perciò, incapaci di vincere le resistenze delle corporazioni.

5 – La crisi avrebbe potuto essere l’occasione per una politica più forte da parte dell’Unione Europea. Ma ciò non è avvenuto. Anche l’idea di una regolazione comune dei mercati finanziari stenta a farsi strada, nonostante le pressanti raccomandazioni degli organismi finanziari internazionali, mentre forme varie di protezionismo mascherato emergono in molti settori. L’idea stessa di mercato unico europeo è ora in difficoltà.

RISCHIO EMARGINAZIONE

Le conclusioni sono ovvie e un po’ sconfortanti. Servirebbe una politica fiscale sempre più “comunitaria” (cioè europea) e sempre meno nazionale. Una politica che, non potendo più contare sul traino delle esportazioni, insista di più su una crescita della domanda interna europea, eliminando le residue barriere agli scambi, soprattutto nei servizi, e sui grandi progetti infrastrutturali europei, provvedendo finanziamenti europei non solo simbolici, come per gli attuali progetti Ten. In questo senso vanno le proposte di molti. Peccato che sembrino di difficilissima realizzabilità. I risultati delle elezioni europee, con l’affermazione delle forze nazionalistiche e anti-europee, sono un pessimo segnale in questo senso. Eppure, non pare che ci siano molte altre possibilità, se l’obiettivo è quello di riuscire presto “a riveder le stelle”. Altrimenti, la progressiva emarginazione dalla storia dell’Europa, e con essa dell’Italia, sembra un rischio molto concreto.

(1) Imf, World Economic Outlook, aprile 2009.

NON SI VEDE LA FINE DELLA CRISI

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IL MALE DELL’ITALIA

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IL PESSIMO PILOTA GEORGE W. BUSH HA CREATO IL DISASTRO:
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Il disincanto di Severgnini

Noemi, quattro cose ovvie

Beppe Severgnini,

Un pesce rosso convinto d’essere un cardinale, gli economisti che ammettono di non averci capito niente, la politica fuori dalla nomine Rai, José Mourinho che lavora gratis. Sono molte le notizie surreali che avrebbero potuto colorare questa torrida primavera, ma è toccato a una ragazzina e ai suoi bizzarri rapporti col presidente del Consiglio.

Bizzari: ecco la parola. Potete essere di destra o di sinistra, atei e cattolici, giovani o meno giovani, ma sarete d’accordo: se uno sceneggiatore avesse scritto un film con quella trama, gli avrebbero detto “Ragazzo, hai bevuto?”. Invece è accaduto. Noemi, le feste, il papi, i genitori, le smentite, i fidanzati che compaiono e scompaiono. I marziani guardano giù dicendo: “E quelli strani saremmo noi?”.

Quattro punti ovvii, per ridurre i litigi e provare a ragionare. Il primo: la frequentazione tra un settantenne e una diciassettenne – al di là del ruolo di lui – è insolita. La famiglia Letizia non sembra stupita, decine di milioni d’italiani sì. Una spiegazione plausibile ancora non l’hanno avuta. Se tanti lavorano di fantasia, a Palazzo Chigi non possono stupirsi.

Ovvietà numero due. Alcune affermazioni del protagonista sono state smentite. “L’ho sempre vista coi genitori”: poi Noemi – ma cosa s’è fatta? era così carina! – salta fuori alla festa del Milan, sbuca al galà della moda, compare in Sardegna. Per cose del genere, nelle altre democrazie, i potenti saltano come tappi di spumante. Noi siamo più elastici – succubi, rassegnati, distratti, disinformati: scegliete voi l’aggettivo – ma un leader politico, perfino qui, dev’essere credibile.

Ovvietà numero tre. Le abitudini e le frequentazioni di Silvio B. riguardano solo Veronica L. (che peraltro s’è già espressa con vigore sul tema)? Be’, fino a un certo punto. Il Presidente del Consiglio guida una coalizione di governo che organizza il Family Day, mica il Toga Party o il concorso Miss Maglietta Bagnata. Michele Brambilla – vicedirettore del “Giornale”, bravo collega e uomo perbene – spiega che, per il mondo cattolico, contano le azioni politiche, non i comportamenti coerenti. Io dico: mah!

Ovvietà numero quattro. L’opposizione, in tutte le democrazie, cerca i punti deboli dell’avversario, soprattutto alla vigilia delle elezioni. Dov’è lo scandalo, qual è la novità? Se Piersilvio s’indigna, non ha idea di cosa avrebbe passato suo padre in America, in Germania o in Gran Bretagna (dov’è inconcepibile che i capi di governo possiedano televisioni). Non solo in questi giorni: negli ultimi quindici anni.
Bene: quattro cose ovvie, in attesa di sviluppi. Intanto s’è insediato quietamente il governo Letta. Qualcuno che coordini ci vuole. C’è da lavorare, e il Capo è altrove.

Dal Corriere della Sera del 28 maggio 2009

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Meno che merda: così il mondo giudica Papi

<strong>Sui giornali esteri sempre spazio alle 10 domande poste da “Repubblica”
Così la stampa internazionale chiede al premier di rispondere
Stupore per la mancata solidarietà al nostro giornale

di ALESSIA MANFREDI

ROMA – Il primo ad occuparsene è stato il Times londinese di Rupert Murdoch, poi il caso delle dieci domande poste da Repubblica a Silvio Berlusconi sul suo rapporto con la diciottenne Noemi Letizia, rimaste senza risposta, ha fatto il giro della stampa estera.

Dalla Gran Bretagna alla Spagna ad altri paesi, autorevoli quotidiani hanno mostrato il loro sostegno a Repubblica, dando ampio spazio all’inchiesta, sottolineando il silenzio e l’ira del premier. Altri hanno semplicemente riferito il caso. In un’intervista a Repubblica, il direttore di Die Zeit, Giovanni Di Lorenzo, ha detto che insultare un quotidiano “in Germania provocherebbe l’immediata solidarietà di tutti gli altri media, indipendentemente dal loro orientamento politico”. Alla questione sono stati dedicati diversi articoli e commenti. Ecco i principali.

“Public Duty and Private Vendetta”, The Times, 18 maggio 2009. Le lamentele di Silvio Berlusconi, che si ritiene vittima di diffamazione, non hanno alcun senso, si legge nell’editoriale non firmato del Times, che, secondo la tradizione anglosassone, riflette l’opinione della direzione del giornale. Le domande di Repubblica, continua il Times, non sono un’intrusione nella vita privata, ma sono legate al suo ruolo di politico e magnate dei media. E l’attacco di Berlusconi al giornale è un tentativo di intimidire il dissenso. (L’ARTICOLO)

“Mr. Berlusconi, why don’t you answer the press?”, The Huffington Post, 20 maggio 2009. Il caso approda anche sull’influente sito di informazione online di Arianna Huffington. (L’ARTICOLO)

“In praise of La Repubblica”, The Guardian, 23 maggio 2009. Anche il Guardian dedica un editoriale al caso, intitolato, semplicemente, “Elogio a La Repubblica”. “Nonostante rumori minacciosi da parte di Silvio Berlusconi, il principale quotidiano di centro-sinistra si è rifiutato di smettere di chiedere risposte alle 10 domande poste al premier circa la sua relazione con una adolescente napoletana, Noemi Letizia”, si legge nel testo, che insiste sul diritto della stampa in una società democratica a fare domande e conclude: “Repubblica sta facendo una battaglia solitaria e merita sostegno”. (L’ARTICOLO)

“Papi, en la encrucijada”, El Pais, 20 maggio 2009. “Papi, al crocevia” titola il commento del quotidiano spagnolo, che ripercorre l’origine della crisi, dalle dichiarazioni di Veronica Lario, sottolineando l’anomalia di Berlusconi, capo del governo, “editore del maggior gruppo mediatico del Paese”, il suo controllo quasi totale della informazione televisiva, fino alle domande di Repubblica, seguite da ira e silenzio. Sarebbe salutare per la democrazia italiana, argomenta El Pais, “che Berlusconi prendesse carta e penna e spiegasse al mondo perché lo chiamano papi”. (L’ARTICOLO)

“How one newspaper’s shameful questions have rattled Silvio Berlusconi”, The Observer, 24 maggio 2009. Il giornale inglese ripercorre in un lungo articolo l’intera vicenda Noemi, le domande “vergognose” di Repubblica che hanno innervosito il presidente del Consiglio, provocato una dura reazione da parte della stampa di destra, e innescato gli insulti del premier al cronista di Repubblica. (L’ARTICOLO)

“Les questions sur les starlettes font enrager Silvio Berlusconi”, La Tribune de Geneve, 16 maggio 2009. E’ un Silvio Berlusconi “sull’orlo di una crisi di nervi” quello che se la prende con il principale quotidiano di Roma, secondo il quotidiano svizzero. Le domande di Repubblica, per far luce sulle molte zone d’ombra sono rimaste senza risposta perché il Cavaliere ha invocato il complotto, si legge sul quotidiano.(L’ARTICOLO)

“L’origine des liens entre Berlusconi et la jeune Noémie”, Le soir, 24 maggio 2009. Il giornale belga riprende il caso usando un servizio della France Presse. (L’ARTICOLO)

“L’affaire Noemi poursuit Berlusconi”, Le Figaro, 25 maggio 2009. Anche il quotidiano francese conservatore, che ieri sul caso titolava “La Repubblica mette in imbarazzo Berlusconi” continua a dare spazio alla vicenda Noemi, che “sta perseguitando il presidente del Consiglio”, dando conto della campagna di Repubblica, delle incongruità rivelate dall’inchiesta sul rapporto fra la ragazza ed il presidente del Consiglio e della richiesta di spiegazioni in Parlamento da parte dell’opposizione. (L’ARTICOLO)

“L’insubmersible”, Slate.fr, 25 maggio 2009. Sul sito di informazione online diretto da Jean Marie Colombani, un lungo articolo di Marc Lazar riflette sull’enigma Berlusconi: accerchiato dai guai, dalla “strana relazione con la ragazza napoletana”, incalzato dalla stampa d’opposizione, “accusata di aver rivelato informazioni su di lui e di chiederne conto, come è normale in democrazia”, e ancora dal caso Mills e dall’economia in rosso. Eppure inaffondabile. (L’ARTICOLO)

“Italie: la vie privée de Silvio Berlusconi continue de troubler la campagne”, Le Monde, 25 maggio 2009. Aumentano i guai per Silvio Berlusconi, si legge sul quotidiano francese. “Le spiegazioni contraddittorie date dal presidente del Consiglio” su Noemi Letizia “sono state smentite da un ex fidanzato della ragazza”. (L’ARTICOLO)

“Sa liaison dangereuse”, La dernière heure, 25 maggio 2009. Berlusconi non ha finito di spiegare la sua relazione con un’adolescente, si legge sul quotidiano belga. (L’ARTICOLO)

“Berlusconi e la 18enne: Cos’è successo veramente?”, Die Welt, 25 maggio 2009. Il quotidiano tedesco riprende le rivelazioni di Repubblica e rileva come la crisi “privata” in casa Berlusconi sia diventata ormai affare di stato. (L’ARTICOLO) .

Sulla stessa linea la Suddeutsche Zeitung, “Berlusconi, das model und die “lüge”, Berlusconi, la modella e la “bugia”. (L’ARTICOLO)

E Bild:”So lernte Berlusconi die 18-Jährige wirklich kennen”, Così Berlusconi conobbe davvero la diciottenne. (L’ARTICOLO).

“Ex Noemi klapt uit school over Berlusconi”, De Telegraaf, 25 maggio 2009. “L’ex di Noemi rivela”, si legge sul quotidiano olandese, che riprende l’intervista a Repubblica di Gino Flaminio. (L’ARTICOLO)

Anche De Volkskrant parla delle rivelazioni dell’ex fidanzato di Noemi: “‘Berlusconi loog over relatie met minderjarige”‘, “‘Berlusconi ha mentito sulla sua relazione con la minorenne'” è il titolo del pezzo. (L’ARTICOLO)

(25 maggio 2009)

°°° DIFFONDETE. DIFFONDETE. DIFFONDETE!!!

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LE TUE IDEE CAMMINANO

OMAGGIO A GIOVANNI E A TUTTE LE VITTIME DELLE MAFIE:

23 maggio 1992. Subito dopo pranzo ad Arcore, Berlusconi e dell’utri si chiudono nello studio del boss e Mafiolo ordina di non essere disturbato per nessun motivo. Dopo qualche ora, irrompe il segretario fuori di sé.
– Ma cribbio! Avevo detto che NON volevo essere disturba…
– Dottore – lo interrompe il domestico – è successa una tragedia. E’ appena saltato per aria il giudice Falcone con tutta la scorta!
Burlesquoni guarda dell’utri e fa:
– Cribbio, ma sono già le sei meno un quarto?
(Battuta che ho fatto in tv per due volte e per due volte mi è stata segata. Non mi hanno mai più richiamato)
lucio

falcone-borsellino

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I tempi cambiano

In aumento le donne che versano l’assegno. In 10 anni +74% di addii
Pochi i grandi patrimoni. In media gli sposi si spartiscono 2300 euro
Il divorzio all’italiana è più rosa
adesso è lei a mantenere l’ex

L’85% dei coniugi si lascia in modo consensuale per dimezzare tempi e spese
“Trent’anni fa le mogli cercavano di riavere il marito, ora chiedono di soffrire di meno”
di MARIA NOVELLA DE LUCA

Il divorzio all’italiana è più rosa adesso è lei a mantenere l’ex
ROMA – C’è un giorno in cui si dividono vite e patrimoni, figli e ricordi, elettrodomestici e sentimenti. Sono le donne a dire addio se le cose non vanno, se l’amore è svanito, se qualcuno ha tradito, ma poi è l’uomo a chiedere il divorzio, e a riallacciare nuove nozze. Mentre i figli, nel mezzo, sperimentano oggi l’affido congiunto a mamma e papà. Fotografia dell’instabilità coniugale nell’Italia che cambia, a 35 anni dal referendum che con 19 milioni di voti rese definitiva la legge sul divorzio, mentre il numero delle famiglie che si rompono è in vertiginosa ascesa. In 10 anni i divorzi sono aumentati del 74% e le separazioni del 57,3%, dal 2000 in poi la salita non s’è mai arrestata, nel 2006 ogni mille matrimoni ben 3 si sono chiusi in modo definitivo.

All’ombra delle star, mentre la questione Lario-Berlusconi è soltanto all’inizio, l’istituto del divorzio in Italia cambia pelle. Gli esperti dicono che per fortuna il tabù sociale è (quasi) morto e sepolto, l’85% delle coppie si lascia in modo consensuale per dimezzare tempi e spese, con la novità che in misura crescente anche le donne, se si trovano ad essere il coniuge “più forte”, iniziano a versare l’assegno di mantenimento all’ex marito. Attenzione, però: la società si evolve ma il crac emotivo è sempre lo stesso. Più lungo è stato il matrimonio più dura è riprendersi, e per i figli, avverte Anna Oliverio Ferraris, docente di Psicologia dello sviluppo, “la separazione resta un terremoto, e spetta ai genitori aiutarli a superare un cambiamento così radicale”.

“Non siamo ancora ai livelli francesi, dove 4 matrimoni su 10 vanno in frantumi – spiega il demografo Massimo Livi Bacci – di certo però in Italia l’instabilità coniugale cresce di anno in anno, cambiando profondamente la struttura stessa della famiglia. Da un matrimonio che si rompe nasce infatti una “galassia” di nuove unioni.
Dal nucleo monoparentale alla famiglia allargata fino al bambino-staffetta, affidato ad entrambi i genitori, con il suo tempo diviso tra due case, due situazioni, due realtà”.

Cambiano le relazioni, i sentimenti, piuttosto che sposarsi si preferisce convivere, dire “per sempre” fa paura a molti, le nozze sono diminuite del 32,4% negli ultimi trent’anni, in particolare il rito religioso. “Eppure – ragiona Livi Bacci – nonostante uno scenario così cambiato la Chiesa mantiene ferma la sua posizione di condanna nei confronti del divorzio”, vietando ad esempio l’eucarestia ai divorziati che non abbiano scelto di “vivere in castità”, e facendo affondare nel 2003 la legge sul “divorzio breve”, che puntava ad abbassare da tre a un anno il periodo della separazione legale, al termine del quale è possibile chiedere il divorzio.

“L’impennata di separazioni e divorzi, – precisa Marina Marino, avvocato matrimonialista e presidente dell’Aiaf, l’Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori – non vuole dire che si arrivi alla fine di un matrimonio con meno sofferenza. E tra le coppie che si siedono nel mio studio vedo che la fascia d’età in cui è più doloroso lasciarsi è quella tra i 55 e i 65 anni, in particolare per le donne, che spesso restano isolate nella vita sociale, e per le quali è più difficile ricominciare”.

Con l’affido congiunto, precisano gli avvocati, le conflittualità sulla custodia dei figli si sono attenuate. Non così i contenziosi sulla divisione dei patrimoni. “Mi è capitato decine di volte di incontrare uomini notoriamente facoltosi che poi presentavano dichiarazioni dei redditi da nullatenenti quando si doveva decidere l’assegno per la moglie e i figli. Ma il problema dei grandi patrimoni riguarda una ristrettissima élite. La realtà è la famiglia media dove in caso di divorzio si devono spartire 2.300 euro di reddito. Allora sì che si diventa poveri”.

Racconta Gianna Schelotto, psicoanalista e psicoterapeuta, che è sulla separazione che ci si deve soffermare “perché il divorzio arriva dopo, quando i momenti più strazianti sono passati”. “Ci si lascia per molti motivi, ma il più duro da sopportare è il tradimento. E’ una ferita quasi insopportabile, un sentimento comune sia ai maschi che alle femmine, ma diversa è la reazione. Trent’anni fa le donne arrivavano da me chiedendomi: “Come faccio a riportarlo a casa”, oggi vogliono riuscire a non soffrire, sono quasi sempre loro a pretendere la separazione, e si aggrappano al lavoro, ai figli. Trent’anni fa erano indifese, sole di fronte al dolore e colpevolizzate dalla società, oggi sono sostenute, salvaguardate dalle leggi”.

Del resto seppure con i numeri di un’avanguardia, le donne hanno oggi un ruolo “paritario” nel divorzio. A volte, addirittura, predominante. “Si tratta di un’élite benestante, spesso di libere professioniste – ha spiegato di recente Gian Ettore Gassani, presidente dell’Associazione matrimonialisti italiani – che alla fine di un matrimonio si ritrovano ad essere il coniuge più forte e più ricco. E sono loro, se l’ex partner ne ha diritto, a dover versare l’assegno…”. Nel 2007 e nel 2008, secondo i dati del centro studi Ami, il 3,5% delle sentenze ha dichiarato che spettava alle mogli il mantenimento dell’ex marito. “Nella mia carriera finora ne ho viste poche – dice però Marina Marino -ma di certo è una tendenza”.

Aggiunge Anna Oliverio Ferraris: “Oggi è difficile far durare una coppia. Per le attese implicite, perché si cerca il partner perfetto, perché si fugge dall’idea che la famiglia sia anche una costruzione. Con l’affido congiunto i genitori sono responsabili in egual modo della crescita dei figli e questa è stata una vera rivoluzione. Finora infatti il genitore non affidatario restava sullo sfondo, i padri si trasformavano nei papà della domenica. I figli si sentono abbandonati da chi se ne va, la chiave invece è non farli sentire soli, fargli capire che seppure non più coppia, i genitori restano genitori”.

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