Le capre di regime

Bancarotta dello spettacolo. Sciopero contro i tagli

di Luca Del Fra

«Pentiti scellerato, è l’ultimo momento», risposta «No, no, ch’io non mi pento,vanne lontan da me!». In questi giorni sembra di assistere all’ultimo duetto tra il commendatore e Don Giovanni: il mondo dello spettacolo protesta contro i tagli economici che lo stanno mandando in rovina e chiede un ultimo ripensamento, ovvero un reintegro del 35% dei finanziamenti decurtati dal governo Berlusconi, che ha sempre guardato con sospetto la cultura, allontanandola con sdegno.

Monta perciò la protesta: oggi pomeriggio alle 17 sarà una manifestazione davanti a

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TROIAIO

(Dagospia)

DALL’ORGIA DEL POTERE AL PANICO. I POLITICI SOTTO L’OSSESSIONE DELLO SPUTTANAMENTO – DAI LIBRI AI GIORNALI WEB SERPEGGIANO RIVELAZIONI DI AMANTI SADO E DI MINISTRI MASO – “SI ABBASSÒ I PANTALONI E MI CHIESE DI SCULACCIARLO. MI MOSTRÒ ALCUNI “ATTREZZI”” – “LA MAIALITÀ SENILE È ENIGMA E DRAMMA MASCHILE. PIÙ PER DISPERAZIONE CHE PER VIZIO” –

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Dalla satiriasi alla penitenza? Ieri, il Giornale di famiglia è stato l’unico a gridare in prima pagina l’ultima notizia sul Cavaliere di Palazzo G: «Le vacanze? Le passerò nella caserma del G8». Tanta enfasi è stata commentata in modo crudo da un berlusconiano di corte:

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Il malato di mente con la fissa

L’intervista.

Il racconto di Vernola, escluso dalle europee:

tra le candidate-sexy c’era anche Patrizia D’Addario

“La Brambilla chiedeva per le liste
nomi di belle ragazze con il book”

Le foto dovevano valorizzare il lato estetico delle aspiranti europarlamentari
di ANTONELLO CAPORALE

Brambilla

“La Brambilla chiedeva per le liste nomi di belle ragazze con il book”

Michela Vittoria Brambilla, ministro del Turismo

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E’ il suo ultimo giorno da eurodeputato. Raccoglie le sue cose, prima dell’addio a Strasburgo. Marcello Vernola, pugliese e figlio di papà (dc, ministro dei Beni culturali) si è reso protagonista di una plateale contestazione a Berlusconi dopo non essere stato ricandidato. Superlativo il ricordo che ha affidato ai giornali delle ragioni che – a suo avviso – hanno interrotto la brillante carriera politica. Secondo Vernola, Denis Verdini, coordinatore del partito, alle sue rimostranze per l’ingiustizia che stava per subire, gli domandò: “Tu mica c’hai le poppe?”.

Verdini ha smentito.
“Ho buona memoria e ricordo anche che

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MANGERA’ IL PANETTONE?

Marco Damilano per “l’Espresso”

Sa, presidente, Gianni Letta è bravissimo. Mi costa poco meno di Kakà, ma pazienza… Era il 7 maggio, Silvio Berlusconi a colloquio con Giorgio Napolitano al Quirinale si ritrovava a magnificare al solito le qualità del suo sottosegretario: governante eccezionale e per di più, massima soddisfazione, suo dipendente.

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Un mese e mezzo fa, un tempo felice. Oggi Silvio e Gianni sono ancora insieme, ma separati da una invisibile cortina di sfiducia. Alle cene di palazzo Grazioli, il sottosegretario era abituato ad arrivare dopo le nove di sera e ad andarsene intorno alle undici, quando arrivavano le dame e cominciavano le danze.

Negli ultimi mesi, poi, ha deciso di non farsi vedere più neppure nella prima parte della serata: meglio essere prudenti, viste le compagnie non sempre degne di uno statista. Ma nessuno sembrava accorgersi della sua assenza: era ancora la stagione del Berlusconi onnipotente, padrone d’Italia, con il gradimento del 75 per cento degli italiani, almeno nei suoi sondaggi.

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Oggi invece al primo piano di palazzo Grazioli sventola un moscio tricolore, Apicella non suona più, Berlusconi si ritrova in perfetta solitudine nel momento più difficile della sua avventura politica e umana. È un leader politico sotto ricatto, diffidente perfino nei confronti degli amici di sempre, con la corte dei nuovi favoriti pronta a soffiare sul fuoco per scalare posizioni: il deputato-interprete Valentino Valentini, il deputato-segretario Sestino Giacomoni, il deputato-avvocato Niccolò Ghedini. Un uomo sotto assedio, che vede spegnersi la tradizionale buona sorte, l’ottimismo, “il sole in tasca”.

“Si è trasformato in un Re Mida all’incontrario: quello che tocca sporca”, lo dipinge con ferocia chi gli è stato vicino per anni e ora non se la sente più di seguirlo. Dopo aver infilzato a lungo un avversario dopo l’altro, il Cavaliere per la prima volta si sente preda di una caccia grossa, dove sono in tanti a voler sparare il colpo di grazia.

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Nella stretta cerchia dei berluscones le voci si rincorrono. Complotti interni e internazionali: i servizi italiani e il prefetto Gianni De Gennaro (“sciocchezze”, replica un sottile conoscitore dell’ambiente: “Branciforte è una brava persona, Piccirillo è un servitore dello Stato, De Gennaro non ha grandi poteri”), anzi no, la Cia, Barack Obama che si vuole sbarazzare del leader italiano, troppo amico dei russi, scenari alla Ken Follett agitati da un esperto del ramo, Francesco Cossiga. I poteri forti: Berlusconi ha pestato i piedi alle banche, Cesare Geronzi si vendica. Luca Cordero di Montezemolo scalda i motori con l’associazione Italia Futura, pronta a partire il 1 luglio.

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Fantasmi, come quello di una giovane misteriosamente scomparsa dalle parti di villa Certosa. Assurdo? Certo: ma a invocare Wilma Montesi, la ragazza ritrovata morta sulla spiaggia di Capocotta negli anni Cinquanta, è un ministro in carica, Gianfranco Rotondi.

Lo spettro di un 25 luglio berlusconiano: “Alla caduta del Duce ci fu un solo suicida, il direttore dell’agenzia Stefani Manlio Morgagni, oggi chi potrebbe imitarlo? Sandro Bondi?”, scherza macabro un deputato di An.

E le previsioni catastrofiche sul G8 dell’Aquila che avrebbe dovuto consacrare la figura internazionale del Cavaliere: ecco invece le voci di capi di Stato che vorrebbero evitare di farsi fotografare con il premier. E le first ladies che potrebbero disertare l’evento. Anche se, a spaventare davvero il Cavaliere, sono incubi molto più consistenti: l’inchiesta di Bari, i contatti tra l’amico del premier Giampaolo Tarantini e il capo della protezione civile Guido Bertolaso, fronti che potrebbero aprirsi in altre procure, da Firenze a Napoli.

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“Dobbiamo tornare a fare politica. Possiamo finire in molti modi, ma non così”, si dispera fino alle lacrime su un divano del Transatlantico la deputata Beatrice Lorenzin, pasionaria azzurra che è arrivata a Montecitorio dalla militanza nelle borgate romane, il contrario della velina. Non può finire così: con l’inedito duello Silvio-Patrizia, lui sull’house organ ‘Chi’ che da vero signore si vanta di non aver pagato una donna (“non sarebbe una conquista”), lei, la sdoganatrice del termine escort, che lo smentisce via agenzia.

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Con la fila delle ragazze che ostentano farfalline e tartarughe, ognuna con il suo regalino da esibire e una indimenticabile serata con Papi da raccontare. Con l’Italia mai così screditata a livello internazionale, come dimostra il flop della candidatura del ciellino Mario Mauro alla presidenza del Parlamento europeo. Berlusconi ne aveva parlato per tutta la campagna elettorale, il settimanale ‘Tempi’ gli aveva già dedicato la copertina (“Il Presidente”), niente da fare, anche Mauro ha pagato la vicinanza a Silvio, il re Mida all’incontrario.

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La caduta è stata appena bloccata dalla vittoria del centrodestra al ballottaggio per la provincia di Milano, per soli quattromila voti, però, e con il centrosinistra che ha superato la coalizione Pdl-Lega in città. Ma il tritacarne si è rimesso subito in azione. Alimentato dalle ambizioni personali dei tanti che fiutano l’odore dell’animale ferito, la precoce fine del berlusconismo, se non ancora di Berlusconi, dopo appena un anno di legislatura, reclamano il loro pezzetto di eredità, si preparano al dopo. Il più rapido a farsi avanti è stato il ministro Claudio Scajola, con un’intervista al ‘Corriere’.

In apparenza di solidarietà con il premier, in realtà carica di richieste e di condizioni. La più pressante: “Rilanciare il Pdl strutturandosi meglio sul territorio”. Quando hanno letto queste parole in via dell’Umiltà hanno sospirato: “Ci risiamo. Berlusconi è in difficoltà e Claudio si candida alla guida del partito…”. Lo scontento dei parlamentari verso il triumvirato che guida il Pdl non si può più arginare. I due ex Forza Italia, Bondi e Denis Verdini, entrambi toscani di Fivizzano, ex vicini di casa a Roma, in piazza dell’Ara Coeli, non si parlano più, alle riunioni se c’è uno manca l’altro.

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Il terzo del trio, il post-missino Ignazio La Russa, è sbeffeggiato quotidianamente dagli amici di An. “I triumviri o quadriumviri hanno sempre fatto una brutta fine: ai tempi di Mussolini uno è caduto dall’aereo, uno è stato fucilato, un altro è diventato partigiano. Tutte cose che non auguro a La Russa”, ridacchia l’ex capo della segreteria di Gianfranco Fini Donato Lamorte. Di certo, il Pdl, il primo partito italiano, si è rivelato più permeabile di palazzo Grazioli: porte girevoli, gente che va gente e che viene, candidature imbarazzanti, nomi arrivati nelle liste per le elezioni europee o amministrative senza nessuna trafila o competenza.

E a immolarsi per difendere il leader-fondatore dalle accuse delle escort sono rimasti il solito Daniele Capezzone e la coppia dei Beni culturali, il ministro Bondi e il sottosegretario Francesco Giro, il bunker del Collegio romano, li chiamano nel partito. Così in tanti invocano un cambio di rotta immediato: un segretario organizzativo al posto di Verdini-Bondi-La Russa da nominare subito, entro l’estate, una macchina da guerra da mettere in campo subito, per non farsi cogliere impreparati quando arriverà il terremoto politico più sconvolgente degli ultimi anni.

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Le prossime settimane, infatti, decideranno il futuro di Berlusconi. Prima il G8, ad alto rischio flop. Poi le leggi più delicate da varare entro la pausa estiva, a partire da quella sulle intercettazioni approvata dalla Camera e ora in discussione al Senato. Infine, il passaggio più a rischio, la sentenza della Corte costituzionale sul lodo Alfano che impedisce i procedimenti a carico del premier fino alla scadenza del mandato: una bocciatura della Consulta sarebbe letale per il Cavaliere, in una maggioranza dove ognuno gioca la sua partita, come se la legislatura fosse al capolinea e non all’inizio.

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C’è il presidente della Camera Gianfranco Fini, sempre più compreso nel suo ruolo istituzionale. Pronto a passare da un convegno sul parlamentarismo con la tedesca fondazione Adenauer a un incontro a Madrid con il think tank dell’ex premier Josè Maria Aznar, dalla benedizione per l’associazione ‘Italia Decide’ presieduta da Luciano Violante al lavoro sul ‘patriottismo costituzionale’, tra frasi di Habermas, Daherendorf, Piero Calamandrei, Giuseppe Mazzini e Rousseau: “La patria non esiste senza virtù”. Citazione perfetta per un aspirante inquilino del Quirinale, soprattutto ora che il candidato naturale, Berlusconi, su vizi e virtù manifesta qualche segnale di evidente confusione.

Con i suoi interlocutori il presidente della Camera giura di non essere disponibile per eventuali governi istituzionali, in caso di caduta di Berlusconi: la sua strada lo porta verso il Colle più alto, ogni deviazione rischia di allontanarlo dall’obiettivo. Per questo, segretamente, tifa perché Berlusconi resista ancora un po’ al suo posto: un premier ferito, azzoppato, per mandare avanti la legislatura di qualche anno. Non a caso, dopo la polemica sulle veline in lista che provocò la reazione della signora Veronica Berlusconi, il sito della fondazione finiana Fare Futuro è rimasto silenzioso: meglio non infierire ora che il risultato di far precipitare Silvio tra i comuni mortali è stato raggiunto. Mentre l’ex sdoganato Fini, al contrario, sta ascendendo tra i padri della patria.

Silenzio condiviso dall’altro big della maggioranza, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Non ha speso una parola per difendere Silvio. È toccato a un amico, un deputato veneto del Pd, raccogliere il suo sfogo nell’emiciclo di Montecitorio: “Mi parli di federalismo? Ma non vedi che qui sta crollando tutto…”. E in pochi ricordano che la rottura con Berlusconi si è consumata non sulla politica economica, ma su un terreno più politico.

Durante la seduta del Consiglio dei ministri chiamato ad approvare il decreto che avrebbe imposto l’alimentazione a Eluana Englaro, lo scorso gennaio, Tremonti fu l’unico ministro a mettere in guardia sulle conseguenze del provvedimento: “Attenzione, se Napolitano non firma il decreto andiamo dritti allo scontro istitzionale”. Berlusconi non gradì per niente, e da allora Tremonti è entrato nella lista nera dei potenziali traditori. Ma anche in testa ai possibili candidati per la guida di un governo di emergenza nazionale in caso di caduta di Berlusconi, con l’appoggio di Massimo D’Alema e del Pd.

Il favorito a Palazzo Chigi, se la situazione dovesse precipitare, resta però l’attuale sottosegretario Gianni Letta. L’unico in grado di garantire la tregua tra i poteri dello Stato dopo un cataclisma di tale portata. Non a caso Sua Eminenza da Avezzano è finito sotto gli attacchi neppure tanto velati di una parte del Pdl. Fabrizio Cicchitto e Gaetano Quagliariello ne hanno chiesto l’audizione al comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti come responsabile politico dell’intelligence e dunque della sicurezza e della privacy del premier.

“Letta è troppo istituzionale per occuparsi di servizi segreti, qui siamo in guerra, serve un personaggio che abbia la mentalità del militare”, detta un falco ex Forza Italia, esponente della corrente che spinge Berlusconi verso la linea dura e vorrebbe bloccare la strada verso un eventuale governo delle larghe intese, presieduto dallo stesso Letta. Ma sulla reazione allo scandalo delle escort, per la prima volta, gli azzurri appaiono spaccati. Il dopo-Berlusconi non è un tabù, neppure nel Pdl.

C’è chi se la prende con i più scalmanati del governo: “Ministri come Sacconi o Brunetta che in tempi di crisi invocano la spaccatura con i sindacati. Gente che ha i glutei al posto della testa”. E c’è chi invoca il ritorno dei vecchi saggi, i padri nobili, i Pisanu, i Martino, i Pera, da affiancare a Berlusconi: una specie di cordone sanitario, un collegio di badanti per il premier sull’orlo di una crisi di nervi.

Sulla capacità di tenuta di Berlusconi di fronte alla raffica di inchieste, rivelazioni, interviste, memoriali, fotografie, aspiranti ragazze immagine, trans, slave vestite da babbonataline e altri colpi di scena (“la coca, quella no!”, giura un forzista della prima ora, forse per darsi coraggio) si regge la possibilità della legislatura di proseguire. La minaccia di riportare il Paese alle elezioni anticipate, per l’ennesima ordalia, il referendum pro o contro Berlusconi, è sempre sul tavolo, un copione già ripetuto con successo in altre occasioni.

La Lega di Umberto Bossi lo spinge a sfidare i nemici, sicura di sopravvivere al cataclisma, una parte del Pdl lo invita a dare la caccia al traditore interno. Ma il Cavaliere sembra colto da un’improvvisa esitazione, da una malinconia. L’effetto che fanno le luci che si spengono al termine di una festa, come quelle che allietavano il premier al primo piano di palazzo Grazioli. Un’atmosfera deprimente da spettacolo concluso, uno show che si interrompe all’improvviso, un’emozione spezzata. Ma il timore di Silvio è che ora la giostra possa finire anche a palazzo Chigi.

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L’italietta di Mafiolo

Denunciò una truffa al teatro: picchiato il sovrintendente di Palermo
di Luca Del Fra

Lo hanno aggredito a tradimento ieri sera in una strada deserta, tempestandolo di pugni e di calci neanche fosse Masetto nel secondo atto del “Don Giovanni” di Mozart: è successo a Antonio Cognata, sovrintendente del Massimo di Palermo, il più importante teatro lirico siciliano, mentre rientrava a casa in via Civiletti.

Per la sua dinamica l’imboscata appare opera di professionisti che, sopraggiunti a bordo di una moto, hanno agito con il volto coperto dai caschi e si sono prontamente dileguati. A Cognata, accompagnato dalla moglie in ospedale, sono state diagnosticate una lussazione con sospetta frattura della spalla e riscontrate diverse ecchimosi: la prognosi è di 30 giorni.

Si è subito levato un coro di messaggi di solidarietà con il sovrintendente, a partire dal prefetto del capoluogo siciliano, al CdA e ai sindacati unitari del teatro, fino al sindaco di Palermo e al ministro dei Beni e delle Attività Culturali Sandro Bondi.

Secondo fonti vicine agli inquirenti l’aggressione di Cognata sarebbe da mettere in relazione con la vicenda della truffa degli assegni familiari perpetrata ai danni del teatro da alcuni suoi dipendenti, scoperta nel giugno 2008 e che era costata al Massimo oltre un milione di euro. Dopo il licenziamento di 17 dipendenti coinvolti nella vicenda nel febbraio scorso, Cognata era stato oggetto di reiterate e pesanti minacce anonime.

Non di meno il sindaco di Palermo Diego Cammarata e il CdA del teatro di cui è presidente, in un comunicato hanno voluto mettere in rapporto l’aggressione con il clima di tensione all’interno del teatro per la politica di risanamento finanziario messa in atto da Cognata come sovrintendente: un collegamento dunque politico e forse un po’ ardito, dal momento che fin’ora non trova riscontro nelle indagini.

La brutta figura del calcio italiano
Calci, sputi e colpi di testa

Un brutto sabato. Quello che doveva essere il giorno deputato al lutto e al ricordo, è naufragato tra calci, sputi e colpi di testa. Una vergogna che l’iniziale abbraccio collettivo e l’inno nazionale cantato a piena voce in molte arene del paese, non facevano presagire.

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Buongiorno e grano a tutti!

Eravamo io, Maradona, Moahmmed Alì, il Che, Gianni Minà e il vecchio Ernest Hemingway, che scolavamo rum e sparavamo alle unghie di una diva del porno: Alba Troietti, si chiamava. Occupavamo sei delle dodici chaise longue, a bordo piscina nel parco della villa di un disoccupato del Sulcis. Ognuno di noi aveva un buon Winchester 94 e una scatola di pallottole sotto la sedia. Tex Willer e il suo pard Kit Carson erano in giro a beccare qualche daino. Gli fregava assai di sparare alle unghie, a loro. Avevamo finito i sigari, ma il Che aveva mandato Gasparri a fare rifornimento già da un paio di giorni. Cento euro per la birra e cento per i sigari gli avevamo dato. E quel cretino era tornato dopo sei ore, sventolando le due banconote, per chiedere quali fossero i cento euro per la birra e quali quelli per i sigari… eppure, dopo i due cazzotti che gli aveva assestato Alì per il suo compleanno, sembrava diventato un po’ più sveglio. C’erano anche delle pupe, naturalmente: Mara Carfregna, Mara Venier, Maura Lewinsky… a no, Monica, e altre tre o quattro scienziate che ci aveva mandato Sandro Bondi dall’allevamento privato di palazzo Chigi. Le bambole erano intente a cercare qualcosa sotto il grande tavolo per le colazioni, dove sedevano altri ospiti appena arrivati. Perdevano sempre qualcosa sotto i tavoli, quelle squinzie. Distratto dal culetto di una di loro, che si dimenava coperto a malapena da una mini e da un pezzo di tovaglia, mancai l’unghia del medio della Troietti e le feci un bel buco proprio in mezzo agli occhi: avevo perso. Due inservienti entrarono in scena e se la portarono via subito. Nessuno avrebbe notato la sua mancanza nel carrozzone del porno. Altri due domestici posizionarono Malgioglio al centro del tiro a segno. Si trattava di sfoltirgli il ciuffo. Gasparri non si vedeva ancora; sempre così quello: o sbagliava strada, o sbagliava marca dei sigari o si perdeva lungo la provinciale… Ernest, spazientito, riempì la sua pipa di bottarga e accese. Una puzza di pesce inondò immediatamente tutto il parco, richiamando frotte di gatti randagi sbavanti. Anche il Che perse la calma, arrotolò una foglia di mais e prese a fumare quella. Dal tavolo degli sconosciuti giungevano rantoli e grugniti soddisfatti, mentre uno di loro parlava di un grosso carico di armi sofisticate in arrivo. Tutti noi temevamo un’ennesima gaffe letale del Silvio: l’ultima volta ci stavano dichiarando guerra Malta, la Lettonia e persino un’intera regione di Marte. Erano dovuti intervenire tutti i Carabinieri della repubblica e l’esercito, per proteggerlo. I carabinieri erano arrivati a piedi o in autostop da tutte le parti d’Italia: da anni non avevano più automezzi funzionanti né soldi per la benzina.
Il maxischermo sotto il leccio millenario era sempre acceso su rete4 e noi eravamo in fibrillazione. Finalmente tornò Gasparri… naturalmente aveva fatto un casino e invece di sigari e birra arrivò con due borse di preservativi e una bottiglia di limoncello. Facemmo gettare Malgioglio nella vasca dei piranas e mttemmo Gasparri al suo posto. Mancava ancora molto per l’ora di pranzo.

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Sandro Bondi raccontato da sua zia

® 2008 by Lucio Salis

SANDRO “SUPPOSTA” BONDI

Ormai, lo potete vedere tutti, è un clone mancato di Berlusconi. Preso dalla sindrome di Michael Jackson, Sandrino si è sottoposto a ben sette operazioni di chirurgia plastica, per somigliare sempre di più al suo padrone. Ma nel frattempo Burlesquoni di operazioni ne ha subite quindici ed è un’altra persona. Almeno esteriormente. Vuoi che questa tecnica a Fivizzano non è avanzatissima, vuoi che il chirurgo è suo cugino (se possibile ancora più vuoto e superficiale di lui), fatto è che ora Sandro è proprio identico. A Galliani! E si comporta come se fosse simpatico. Come Silvio. In più, a furia di sentirsi dare (da Silvio e soltanto da lui) del “mago della comunicazione”, si è montato la testa ed è in perenne crisi mistica. In famiglia si fa chiamare PADRE, anche da suo padre, e promette miracoli a tutti. Anche fuori non scherza: ha preconizzato a Ferrara un futuro da modello (per la Good Year?); a Sgarbi un Nobel per la pace (dei sensi?); a Maria Vittoria Brambilla, la nota pescivendola colla testa in fiamme, un futuro da statista (o da estetista?), e altre coglionate del genere. Da tre anni aspetta le stimmate, ma anziché alle mani o al costato, glien’è venuta una grande grande in testa. Lui sostiene che quella è calvizie emulativa , ma gli intimi lo chiamano “Uniplus”. E suo zio (mio marito), pastore laureato, gli ha detto che gliele fa lui le stimmate se lo becca: ma come si facevano sul bestiame, col ferro rovente, nell’antica Grecia! Molti, da queste parti, lo chiamano BUONDI’, come la merendina, per la sua finta bontà, che però ti spacca il fegato.

Già da piccolo, lo scartavano tutti: eravamo costretti a pagare i bambini del vicinato affinché giocassero con lui. Poi ci chiesero delle cifre esorbitanti e il nostro Sandrino fu costretto a giocare, da solo, estenuanti partite di calcio. E altre estenuanti partite con la sua mano.
Prepotente e meticoloso, faceva partite regolamentari di due tempi da 45 minuti e si arbitrava da solo. E si azzuffava da solo col guardalinee, di parere contrario: che era sempre lui! Finiva sempre schiantato, a forza di correre su e giù, nel campo regolamentare dei salesiani, e già da allora ebbe delle visioni. A scuola non era ben visto: ruffiano e lecchino coi professori, faceva il saputello e passava i compiti ai compagni che lo pagavano in figurine. Siccome era negato, li bocciavano sempre in blocco e lui doveva nascondersi nell’ovile di qualche parente, per giorni e giorni. Si è diplomato, pedicure, per corrispondenza: questo è l’unico titolo di studio che ha. E questo spiega anche perché è sempre ai piedi di qualche potente: deformazione professionale. Dice di aver fatto l’operaio… Sì, gli abbiamo trovato un posto, in cambio di venti pecore gravide, nell’unica fabbrichetta locale, ma non è andata bene. Invece di pulire gli uffici si era messo a ripulire le tasche dei dipendenti negli stipetti. Gli avevamo anche regalato una bella tuta blu nuova, ma, già mentre la stava indossando, chiedeva quando gli avrebbero dato le ferie. Avrà lavorato sì e no due ore e stiamo ancora pagando i danni. Ma lui, con la faccia come il culo, era andato dal direttore per chiedere la paga. Quello, per non fare brutta figura con noi, invece di prenderlo a calci nel culo, gli ha chiesto: “Quanto hai lavorato?” e Sandro: “Due giorni con domani.”
Con le trentamila lire di paga e coi risparmi della famiglia (che ancora la mamma li sta cercando…), ha lasciato Fivizzano per trasferirsi a Losanna.
Una volta tornato in Italia entra giovanissimo nella Federazione Giovanile Comunista Italiana, della quale diventa presto segretario della Lunigiana. Anche se di giovane non aveva proprio nulla e tutti i ragazzi gli chiedevano sempre: “Dov’è suo figlio?” Si laurea in Filosofia presso l’Università di Pisa con una tesi su Leonardo Valazzana, predicatore agostiniano e avversario di Girolamo Savonarola. Ma lui lo confondeva con Renato Vallanzasca, suo mito, e fece ridere talmente tanto la commissione d’esame, che lo laureò.
Erano gli anni del craxismo esasperato e la P2 la faceva da padrona (come adesso), specialmente in Sardegna: Costa Smeralda, Flavio Carboni, Berlusconi, Comincioli, Armandino Corona, Tv locali, quotidiani asserviti… Ma anche in Lombardia, con Milano2, S.Raffaele abusivo, ecc.
Sandro capì da che parte tirava il vento. Cattolico democratico, milita nel Partito Comunista Italiano, nelle cui liste viene eletto, nel 1990, sindaco di Fivizzano.
Conobbe il portaborse di un faccendiere brianzolo del PSI, Berlusconi, e si aggregò. Faceva l’amico: “Dài a me, ch’è pesante, la porto io…”. Brigò tanto che, alla fine, il portaborse divenne lui. Sandro ha sempre avuto grandi idee che non valgono una sega!
Per esempio, folgorato da Burlesquoni – che solo lui credeva un imprenditore vero anziché un faccendiere senza scrupoli – decise di firmare un sacco di cambiali a una banca amica e investì in un poderoso progetto nel Paradiso d’Europa: in Sardegna.
Fece costruire un albergo a quasi mille metri sul livello del mare ed il mare a settanta chilometri da Olbia. Tutte curve! I pochi clienti, ingannati dalla pubblicità, arrivavano con tenute da spiaggia e gommoni. E canne da pesca ed esca viva nelle borsettine di paglia. Ma non facevano in tempo a lamentarsi: perché dovevano pagare in anticipo e venivano subito inquadrati dall’animatore. Questo animatore era un po’ come lo “stalliere” Mangano di Berlusconi. Si chiamava Giuseppe, Beppe per gli amici. Ma, siccome non aveva un amico al mondo, tutti continuavano a chiamarlo Giuseppe. Anzi: i clienti erano costretti a chiamarlo Signor Giuseppe, sennò erano cazzi! Questo Giuseppe era stato segnalato a Sandrino da un amico di Dell’Utri, che l’aveva conosciuto all’Asinara. Giuseppe era un bell’uomo (per chi ha il gusto dell’orrido), alto quasi due metri e pesante quanto un trattore; tutto istoriato da cicatrici e, dove c’era posto, da vergognosi e sconci tatuaggi fatti in galera. Fondamentalmente, era un uomo alla mano. Anzi, alle mani: che usava spesso e volentieri coi clienti che sgarravano, disubbidivano, o si rifiutavano di partecipare ai giochi di società inventati da lui. Giuseppe aveva stabilito questo programma: sveglia alle cinque; alle cinque e quindici tutti i clienti, bambini inclusi, si dovevano far trovare pronti nella hall, davanti alla vasca dei cinghialetti rossi. Tutti coi bidoni in mano (bidoncini per i più piccoli) e, SUBITO, alla fonte a prendere acqua. E di corsa anche: a Giuseppe piaceva l’acqua corrente! (Gli operai dell’impresa, scelti da Sandro a sua immagine e somiglianza, avevano anche provato, durante la costruzione dell’albergo, a scavare un pozzo per l’acqua, ma, dopo venti centimetri di scavo, non avendo trovato acqua, né petrolio, né pepite, avevano lasciato perdere.) A Sandro, in seguito, era molto piaciuta l’idea di Giuseppe di far riempire i vasconi e tutti i serbatoi ai clienti:
“Così non si annoiano.”
ORE 9: escursione sul Gennargentu con pranzo al sacco. Tutti si portavano dietro un sacco di cinghiale avanzato dalla sera precedente. Nel bosco Giuseppe, sempre col fischietto che usava per impartire gli ordini, lanciava i giochini inventati da lui: “A chi raccoglie più legna…” ( nell’hotel non c’era ancora l’energia elettrica e la legna serviva per cucinare e per scaldare il nostro Gianni e il Signor Giuseppe: visto che faceva un freddo boia la sera).
Un altro bel gioco era: ”A chi raccoglie più frutta… senza farsi beccare dai padroni degli orti e delle vigne.” Tipi notoriamente atipici, con la doppietta come prolunga naturale delle braccia. Mentre i clienti erano impegnati in questi giochi di animazione, Giuseppe andava a stanare qualche cinghiale infrattato o rintanato. Andava disarmato, naturalmente (semmai si sarebbe dovuto armare il cinghiale…), lui non aveva bisogno di armi: usava la testa. Per finire l’animale. Certe testate! A volte prendeva anche cinque o sei esemplari.
Li caricava sulle spalle dei clienti, portatori sani di cinghiali, e rientravano alla base cantando “a mostrar le chiappe chiareeee…” Il menù del giorno dopo era salvo. E guai a chi non cantava! Di nascosto, nel gelo e nel buio delle loro camerette, i clienti parlavano malissimo di Giuseppe, di Sandrino, dell’albergo, dell’organizzazione, della Five viaggi che li aveva spediti lì e persino del ristorante. Si chiedevano, sottovoce:
“Ma le pietanze si chiamano così perché fanno pietà?”
Tutti mostravano grande curiosità per le ricette locali. Non volevano sapere come si cucinavano determinati piatti, ma perché?! Io ci sono stata, una volta, e ancora sto male se ripenso al menù: antipasto mare con cozze, cinghiale marinato e panna mista a pecorino coi vermi. Flambé (sic!). Calamari surgelati e vongole del Tirso con soufflé di cinghiale; Brodino leggero di cinghiale e peperoni di montagna; Stufato di capra e maiale di montagna (cinghiale), con melanzane e zucchine ripiene di cinghiale… Però c’era anche la cucina internazionale. Che era peggiore! Questa la facevano solo in occasione dei convegni… del convegno, cioè: uno ne hanno fatto! Cioè: avrebbero dovuto farlo, ma non è arrivato nessuno ed è avanzata tutta la roba. Un sacco di cinghiale e osèi, cinghiale alla milanese, cinghiale al pesto (con mirto e foglie di quercia tritate, perché il basilico lassù non cresceva…), cinghiale alla veneta (un fegato per mandarlo giù!), per dessert: bocconcini di cinghiale con glassa e Nutella. Bleah! Questi menù Sandro li ha portati anche a Milano e adesso li leggono dei comicaroli della TV, per ridere.
I pochi clienti che accalappiavano avevano un sacrosanto terrore di scendere in taverna. Ma erano obbligati da due fischi prolungati di Giuseppe. Questa, più che una taverna era una caverna: umida, illuminata fiocamente da due torce, e infestata da ogni tipo di insetti, ragni e pipistrelli. Quattro panche sconnesse ed un vecchio juke box, collegato alle batterie delle macchine dei clienti. Questo juke box conteneva cento dischi, TUTTI DI MUSICA E CANZONI SARDE! Che piacevano moltissimo. A Giuseppe. I clienti erano costretti a far funzionare l’aggeggio e a danzare, divertendosi, i balli sardi.
Il vecchio juke box era stato adattato da Giuseppe e non funzionava coi gettoni o con le monetine: ci volevano dieci euro! Quando non suonava, Giuseppe lo prendeva a pugni. Non il juke box: il cliente che non aveva messo il deca. Non se la scampava nessuno. Tutte le sere così.
Insomma, una tortura. Tant’è che i clienti più coraggiosi o più disperati, tentavano la fuga nella notte. Si sentivano dei piccoli Messner (non quello attuale, sfigato, che cade nell’acqua del polo che si apre e grida
“ FREDDISSIMAAAAAAA!”… il Messner dei bei tempi: cazzuto e temerario).
Questi pochi Indiana Jones in sedicesimo, venivano regolarmente ripresi e puniti, sempre da Giuseppe. Quando, finiti i soldi, arrivava il momento della partenza, piangevano tutti di commozione e di gioia; si abbracciavano nella hall e qualcuno cercava anche di dare, non visto, qualche calcio a uno dei cinghialetti rossi nella vasca. Qualcun altro sputava contro l’imponente cinghiale impagliato, che troneggiava nella hall.
Sandrino, sperduto in quell’eremo quasi sempre deserto, venne aggredito dall’estro poetico e cominciò a scrivere versi che nessuno gli invidiava. Inventò anche uno slogan per l’albergo: “SE VENITE DA SANDRINO, TORNERETE UN BEL BAMBINO”. Naturalmente, anche lo slogan faceva cagare. Come le sue poesie.
Qualche cliente gli disse che era uno slogan azzeccatissimo; pensando tra sé di riprodurlo in un’enorme insegna al neon e di ficcagli tutta l’insegna su per il culo. Sandro, troppo pieno di sé, pensava: ”Che mi frega? L’albergo si deve ancora far conoscere… arriverà il giorno in cui sarà tutto esaurito. Per ora, mi basta che sia esaurito il cliente: parlatene male, ma parlatene! Quale pubblicità migliore? Anche se i clienti se ne vanno incazzati, che mi frega? Basta che paghino!” I clienti pagavano e zitti. Ma se ne andavano già pensando a un modo per fargliela pagare a lui.
Anche l’avventura dell’albergo fu un fiasco. Ma per Sandro andò bene lo stesso: i soldi erano della Regione! Grazie al suo protettore politico e agli amichetti della P2, si trovò in un batter d’occhio a via del Plebiscito: direttore dell’ufficio comunicazione di Forza Raglia. della Fininvest. Che c’è di strano? Il portavoce di Berlusconi non era Tajani? Mio marito dice che è un mezzo scemo (nemmeno intero…), identico a Hitler giovane, senza baffetti. Dannoso quanto lui. I giornalisti di punta di Silvio non sono Fede, Belpietro e Rossella? In mezzo a questa banda di intronati, mio nipote non sfigura per niente, anzi! D’altronde, uno intelligente, se non è ladro, mica si può mettere a fare il servo a Silvio! Il capo ha bisogno di circondarsi di mezzeseghe, più incapaci e deficienti di lui (una fatica trovarli!), sennò non può risaltare. Semplice. Adesso Sandro dice che vuole scrivere la sua biografia, l’editore ce l’ha già. Io gli ho mandato un francobollo da 25 lire: dietro ci sta tutto. Prima, però, deve finire le candidature in vista delle elezioni. E le elezioni, come dice The Economist, Silvio deve fare in modo di vincerle, sennò sono cazzi! Nel 2008 scadono le concessioni governative che gli aveva regalato Bettino e, se vince Veltroni… il rinnovo lo vedo male. Se perde le elezioni, le Procure gli saltano addosso per tutti i processi che non è riuscito a cancellare colle sue leggi ad personam. Poi c’è il vecchio debito con Cosa Nostra: la costruzione dell’inutile, ma faraonico Ponte di Messina…. sai che pacco di soldoni e tangenti, che torta mai vista! per gestirla coi comparuzzi e i fratelli muratori?! Mio marito, che è maligno, dice che una parte della chiesa appoggia Berlusconi, perché con lui sa di poter fare i giochetti, se vincono i Democratici del PD: col cazzo, fanno i giochetti! Gli chiedono pure lo scontrino dell’autobus ai collaboratori… Eh, sì. C’è pure il processo Mills e le indagini per i mandanti delle stragi Falcone e Borsellino. Bisogna vincere le elezioni e far saltare anche questi processi. Se le indagini non saltano o non saltano per aria i giudici, c’è un solo modo per starci: biglietto alla Craxi di sola andata, per Virgin Island o Bahamas (dove ci sono i conti segreti più pingui); o Vaduz? Ma forse basta arrivare in Svizzera: c’è l’UBS…
Povero Sandro mio, come ti vedo male! Ma con chi ti sei andato a impegolare? Ma tornatene a Fivizzano e dai una mano a tuo zio con le pecore. Ti sembrerà di stare ancora in Forza Italia, ma almeno le pecore sono utili: ci danno il latte, la carne, il formaggio e la lana.
Se perdete anche queste elezioni, invece, il tuo capobranco ti dà un bel calcio in culo!
E dove lo trovi un altro che ti dà un posto e uno stipendio così? E smettila di fare il verso al tuo proprietario come un Bonaiuti o un Cicchitto qualunque! Sempre a parlare di sondaggi fasulli. Come se i cittadini non lo sapessero che i sondaggi infallibili che fa fare il nano di Arcore prevedono domande tipo: ”Lei preferisce votare Berlusconi o schiantarsi contro un TIR?” “Lei preferisce il Polo o prendersi il vaiolo?” “ La Costa Smeralda di Silvio o Cernobyl di quel comunista di Veltroni?”
Dài retta a zia: lascia che si tirino il collo per conto loro. Torna a casa, Fesso!

P.S. Noi ti abbiamo perdonato tutto. Se insisti, non so se gli italiani te la perdoneranno. Ti prometto di non chiamarti più “ Testa di supposta”.
E tuo zio non ti metterà più il dito sul cranio, per impedirti di fare la pipì.

E per finire, le perle del Bondipensiero:

SANDRO BONDI DIXIT
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Sandro Boh…ndi – Chi è costui ?

Sandro Boh!ndi – il trasformista lecca….

«Un difetto di Berlusconi… un difetto di Berlusconi… è dura… Non riesco a trovarlo… È imbarazzante… un difetto di Berlusconi… non so…» Sandro Bondi, sul settimanale “Sette”.

Sandro? Boh! Cosa è successo a Sandro Bondi? Non dico solo dal punto di vista fisico: direste mai che l’uomo ha 44 anni? Ma cosa gli è capitato? Era in vacanza a Chernobyl con vista sulla Centrale? Si trucca perché, per inesplicabili motivi, vuole farsi passare per Adriano Galliani? E’ un eunuco? Mah.
A parte il fisico, è il comportamento a preoccuparci, però. Gli eventi di cui è stato protagonista quest’estate inducono a pensare che il mansueto portavoce di Forza Italia sia divenuto ex tale.

Ha contratto un virus? La moglie l’ha lasciato? Ha inalato sostanze tossiche? Si è emanci- pato dalla mamma edipica e ha perso la verginità? Ha bevuto una Red Bull durante un rave e ha perso l’inibizione? Sandro Bondi non è nuovo a imprese metamorfiche di profonda revisione della sua personalità. Costantemente afflitto da un amimismo facciale inquietante, che ricorda la paresi espressiva dei bambini colpiti dall’invecchiamento precoce, Bondi è noto per essere stato sindaco comunista di Fivizzano e per essersi trasmutato nell’ultimo prediletto killer di Berlusconi. Con l’aria mite e la vocina da coro bianco, ha definito la magistratura milanese “un manipolo di eversori”, invocando una Commissione d’inchiesta contro l’operato del Palazzo di giustizia meneghino; ha martoriato la sacca testicolare di Romano Prodi in merito all’invenzione Telekom Serbia; ha attaccato l a Resistenza, secondo lui autentica colpevole dell’eccidio di Marzabotto; ha fatto fuori Scajola all’interno del partito. Portare la voce di Berlusconi nel mondo non è un lavoro facile: si rischia volontariamente la comicità involontaria, si pensa di fare il James Bond e si diventa James Tont. O James Bondi. Godetevi la sua Final Anthology: è meglio dei consigli di Frate Indovino.

SENTENZA PREVITI: PRIMA E DOPO LA CURA
Prima: «Qualunque sarà l’esito di questa decisione, qualunque sarà la scelta dei giudici, non succederà nulla. Noi la rispetteremo, come tutte le sentenze dei massimi magistrati di Cassazione». (Sandro Bondi, portavoce di Forza Italia, Telenova, 27 gennaio 2003)
Dopo: «Ciò deve indurre il Parlamento a varare le riforme che vadano a sanzionare quella parte di magistratura che si comporta come una fazione politica». (Sandro Bondi, portavoce di Forza Italia, TgCom, 29 gennaio 2003)

INCONFONDIBILE TONO ELEGANTE (da un giornale bergamasco)
Il primo cittadino di Magenta, Luca Del Gobbo, ha incassato la benedizione dell’onorevole Sandro Bondi, portavoce nazionale e tra i più importanti dirigenti di Forza Italia, che con il suo inconfondibile tono elegante e pacato ha affermato: «Porgo i miei auguri al sindaco di Magenta che sta riscuotendo tanto successo. E’ un modello positivo da seguire nel partito. La vera forza di una formazione politica è la capacità di instaurare un rapporto diretto con i cittadini e il territorio».

RESISTERE RESISTERE RESISTERE. ALLA RESISTENZA
Prima: “Contrariamente al ribaltamento della verità fatto dalla sinistra, la giustizia proposta dal Polo è una giustizia degna dell’insegnamento di un Piero Calamandrei, non quella prefigurata dai vari Caselli, Bruti Liberati e Di Pietro.”
Dopo: “Giù le mani da Marzabotto, neanche lì i comunisti hanno le carte in regola”. Brucia, nel paese martire, la polemica innescata dal portavoce di Forza Italia Sandro Bondi, per il quale fu la condotta dei partigiani a scatenare la reazione dei nazisti, che alla fine del ’44 sterminarono centinaia di civili innocenti, donne e bambini, nelle valli tra il Reno e il Setta. (La Repubblica)

ANTIECOLOGICO
Umberto Eco su El Mundo: «Ogni italiano cerca sempre di fare nel suo ambito tutto il possibile per fare sì che l’Italia abbia una buona immagine estera, perché allora il primo ministro rema in direzione contraria?».
Sandro Bondi su Eco: «Che pena vedere Umberto Eco sfogare la sua acredine verso il capo del governo italiano dalle colonne di un giornale straniero. Peccato perché il suo astio incontenibile è pari soltanto alla sua insipienza politica e intellettuale. Una insipienza tanto clamorosa che lo fa cadere nel ridicolo quando non teme di affermare che il presidente del Consiglio remerebbe contro l’Italia quando tutti ormai riconoscono, perfino l’opposizione, che il nostro governo sta finalmente ottenendo sulla scena internazionale un prestigio e una autorevolezza fino a poco tempo fa impensabili».

SCURDAMMUCE ‘O PASSATO
Il capo è uno stakanovista, i suoi uomini devono fare gli straordinari. Così Sandro Bondi canta, come gli uccellini a primavera. Qualcosa si è smosso dentro al cuore dell’ex giovane sindaco comunista di Fivizzano. Forse quello di Bondi è l’ennesimo atto di sudditanza. O forse è la paura di non fare carriera. Tra gli applausi dei forzisti di Udine, il suo sire infatti è stato perentorio: «Non si può consentire a chi è stato comunista di andare al governo».
Povero Bondi, che il Pci lo ha bazzicato e che ora è costretto a rinnegare giorno dopo giorno i vecchi tempi. Sentitelo: «Io mi vergogno di essere stato comunista», giura Bondi. E a seguire, ecco la drammatica testimonianza di quello che appare come un esule della Russia brezneviana: «So bene come sono i comunisti. Fassino, in pubblico, mi ha puntato il dito, mi ha dato perfino del tu». Apriti cielo. A questo punto manca solo il mea culpa di Ferdinando Adornato, che infatti arriva in perfetto orario: «Dalla sinistra gauchista ho sempre preso un sacco di botte». Dal canto loro i “riformisti” non hanno neppure bisogno di rispondere alle provocazioni berlusconiane, per il semplice motivo che i figli della falce e del martello sono stati messi nello stesso canestro con Lamberto Dini, Romano Prodi e Francesco Rutelli. Più “riformisti” di così. Ma a proposito di ex comunisti pentiti, c’è un’eccezione che può dare una speranza a Bondi. Si tratta di Giuliano Ferrara, che è stato perdonato. Lui è stato più volte proposto per governare, non solo per rigovernare.

PUBBLICITA’ OCCULTA
Prima delle elezioni del 13 maggio 2001 il candidato premier della Casa delle libertà invia una sua “fotobiografia” a 18 milioni di famiglie italiane, spendendo 23 miliardi di lire, mai dichiarate come spese elettorali. Ma “il libro non faceva parte della campagna elettorale; era solo un supplemento della testata Linea Azzurra.” (Sandro Bondi, deputato di Forza Italia).

E per finire, l’inarrivabile sintesi tra Heidegger e Gino Bramieri: l’intervista che Claudio Sabelli Fioretti ha fatto a Bondi e ha pubblicato su Sette.

Sandro Bondi
di Claudio Sabelli Fioretti
Ed eccomi di fronte al campione italiano di adulazione, Sandro Bondi, portavoce di Silvio Berlusconi. Avevo criticato le sue frasi di cieca ammirazione per il Cavaliere a Ballarò. Tipo: «La Casa della Libertà non ha un padrone, ha un leader che ha sopportato una incredibile persecuzione giudiziaria. È riuscito ad andare avanti solo per l’amore che ha per questo Paese». E lui mi aveva risposto con una e-mail gentilissima. «I giudizi su Berlusconi li ritengo espressione della mia libertà intellettuale e politica, oltre che del mio sincero affetto per una persona con cui lavoro ormai da oltre 10 anni». Non restava che incontrarci. E adesso stiamo passeggiando per il parco di Villa San Martino, la villa del Cavaliere, dove Bondi, che si è trasferito ad Arcore, ha il suo ufficio. Faccio il giornalista cattivo e sardonico. Davanti a una casetta: «È qui che abitava lo stalliere mafioso Mangano?». «Ah dottore, dottore!». Nell’ufficio del premier: «È qui che si compravano i giudici?». «Ah dottore, dottore!». Nel mausoleo di famiglia: «E la sua tomba, dov’è?». Bondi non reagisce. Ma mi avviluppa in un’intricata ragnatela di gentilezza, mi introduce nel suo regno di mitezza e di cortesia. Educazione a livelli eccelsi? Stadio estremo di adulazione e di cortigianeria? Non lo so. So solo che non è facile essere cattivi con Bondi. E quando ci riesci ti viene un grande senso di colpa, attenuato a stento dal fatto che le forme sono dolci ma la sostanza è dura. Con l’aria più serena del mondo Bondi è capace di dire: «Berlusconi è stato inseguito da una muta di pseudomagistrati».

Bondi, quando pensa a Berlusconi, che cosa pensa?
«Voglio bene a Berlusconi. Ho un sentimento di affetto profondo per lui. È una persona straordinaria».
Vede? È un inguaribile adulatore.
«Tutti sono d’accordo nel dire che Berlusconi è una persona straordinaria. Io manifesto liberamente il mio pensiero. È l’unico modo in cui posso essergli utile. Così penso di avere dato anch’io un piccolo contributo ai suoi successi. Anche se il 95 per cento del merito va allo stesso Berlusconi».
E il suo merito?
«Zero e qualcosa. Diciamo 0,2. In tutta la mia vita ho sempre espresso le mie opinioni, anche quando ero nel Pci. Pagando prezzi molto alti».
Quali prezzi?
«L’emarginazione. Fino all’inevitabile abbandono. Negli anni Settanta assumere posizioni riformiste era un’eresia. Voleva dire andare incontro a ingiunzioni al silenzio da parte dei dirigenti».
La sua carriera?
«Sono stato segretario della Fgci. Poi membro del direttivo provinciale, poi sindaco di Fivizzano».
Mi dice un errore di Berlusconi?
«In questo momento è demonizzato. Io devo difenderlo. Dice bene Ferrara. Berlusconi è come Mozart: pura genialità e candore fanciullesco».
Passi Mozart. Ma lei ha detto che è all’altezza di De Gasperi.
«Ho detto che può essere paragonato a De Gasperi per i suoi rapporti con gli Usa. Io avevo molti dubbi come cattolico su questa guerra. Ma quando ho ascoltato Berlusconi dire a Bush: “Noi vi siamo riconoscenti per averci fatto riconquistare la libertà e la democrazia…”, ho avuto un fremito di commozione».
Ha avuto lo stesso fremito per le parole del Papa?
«Ciò che dice il Papa per un cattolico è importante. Io spero che questa guerra si possa evitare, che Berlusconi possa influenzare il corso degli eventi verso la pace. Oggi è l’unico in Europa che, avendo buoni rapporti con Blair, con Putin, con Bush, può fare qualcosa per evitare un conflitto armato».
Torniamo all’errore. Me ne dice almeno uno?
«Berlusconi ha spesso preso delle decisioni che mi sembravano sbagliate. Ma poi ho dovuto ammettere che erano giuste».
Faccia una follia. Mi dica un difetto.
«Un difetto di Berlusconi… un difetto di Berlusconi… è dura».
Passano i minuti.
«Non riesco a trovarlo…».
I minuti diventano ore.
«È imbarazzante… un difetto di Berlusconi… non so…».
Lei ha detto che Berlusconi è un misto di Einaudi, don Sturzo e Rosselli.
«Ho detto che se dobbiamo cercare dei padri per Forza Italia, possiamo trovarli nelle tradizioni cattolica, liberale, riformista. Sento parlare in questi mesi di orgoglio democristiano. Ma siamo ancora lì? Noi dobbiamo avere l’orgoglio di Forza Italia. Nei colloqui privati, quando si parla con alcuni ex democristiani, noto che Berlusconi è ancora visto come un usurpatore, come una persona estranea alla politica. E queste persone si considerano gli unici autentici uomini politici capaci di traghettare l’Italia».
Chi?
«I tantissimi democristiani presenti in Forza Italia».
A lei piace Berlusconi, ma a Berlusconi lei piace?
«Io fisicamente non sono il tipo che a lui piace di primo acchito. Per questo all’inizio ero convinto di non piacergli. Però col tempo…».
Quando si è accorto di piacergli?
«Durante le campagne elettorali. Lavorando accanto a lui giorno e notte, a un certo punto ho capito che mi apprezzava».
Dicono che Berlusconi pecchi di eccesso di decisionismo.
«Berlusconi non è decisionista. È sempre portato alla mediazione. Il contrario di molti dirigenti di Forza Italia».
Critica?
«Alcuni dirigenti di Forza Italia si credono investiti di un potere che li autorizza a fare qualsiasi cosa, in spregio alle regole dell’educazione, del rispetto, del confronto. Se fossero tutti come Berlusconi, Forza Italia sarebbe migliore».
Bisogna fare un partito a immagine e somiglianza di Berlusconi?
«No, bisogna farlo a immagine e somiglianza delle qualità di Berlusconi».
Quando lei ha detto queste cose al Giornale, Berlusconi come ha reagito?
«Mi ha sgridato. Qualcuno ha detto che io parlavo male di Forza Italia. Ma io non parlavo male di Forza Italia, parlavo bene di Berlusconi».
Perché da giovane era comunista?
«I miei genitori erano persone umili. Io ancora oggi mi emoziono quando penso a mio padre socialista che lotta contro le ingiustizie e le disuguaglianze sociali. Emigrò giovanissimo in Francia a fare il boscaiolo, poi andò in Svizzera a fare il muratore. Avrebbe voluto andare in Australia ma gli fu negato il visto perché era socialista».
La passione per la politica?
«Al liceo. Entrai nella Fgci. Erano anni duri. Il Pci era in prima linea contro il terrorismo. Io avevo la scorta».
Università?
«Filosofia. Feci l’assistente del professor Capponnetto, al Magistero di Firenze, occupandomi di Storia religiosa del 400 e del 500. Poi cominciai con la politica attiva, qualche anno alle Asl, fino alla carica di sindaco di Fivizzano. C’era una giunta anomala. La prima di compromesso storico. Io mi adoperai per recuperare i socialisti. Ero affascinato dalla figura di Berlinguer, ma fui uno dei primi nel Pci a criticare il compromesso storico».
Parla mai di queste cose con Berlusconi?
«No, a lui non interessano. Lui è una mente fresca. Per lui il comunismo è stata una delle più colossali e feroci macchinazioni dell’uomo contro l’uomo».
Di cui lei ha fatto parte.
«Quando sento Veltroni o Fassino negare di essere mai stati comunisti provo pena per loro. Per il solo fatto di aver aderito al Pci sento di aver avuto anch’io una parte di colpa. Non è una cosa che si può cancellare così facilmente».
Veltroni e Fassino hanno cancellato?
«Sono personaggi che non hanno né caratura culturale, né spessore morale».
Lei è sposato?
«Da sette anni. Ho un figlio di cinque».
Tra Berlusconi e la famiglia, a chi vuole più bene?
«Spero di non dover mai scegliere».
Che cosa farebbe per Berlusconi?
«Odio l’aereo. Ho paura. Ma per Berlusconi forse lo prenderò».
Come l’ha conosciuto?
«Un giorno accompagnai il maestro Cascella, mio amico, che stava costruendo il mausoleo di Arcore».
Berlusconi che cosa le ha detto?
«Mi regalò un libro su Hitler. Con una dedica bellissima. “A Sandro Bondi, amante dell’utopia, dedico questo libro sull’utopia perversa”».
E poi?
«Poi, sempre Cascella mi fece incontrare Roberto Tortoli, responsabile di Publitalia in Toscana, che cercava candidati per le elezioni. Rifiutai la candidatura ma andai a lavorare al centro studi, a Roma, diretto da Paolo Del Debbio, una persona straordinaria».
Dal Pci a Forza Italia.
«Ho sofferto quando mi accusarono di essere un traditore. E soffrì anche mio padre. Solo chi è stato comunista sa che cosa vuol dire essere indicati al disprezzo morale».
Cossiga non è mai stato comunista ma ha detto di lei: «È uno pronto a tradire di nuovo».
«Mi ha annichilito per qualche ora. Ero distrutto. Poi mi dissi: non posso accettare. E ricordai a Cossiga che quando era stato in difficoltà io gli avevo mandato una lettera di solidarietà».
Ce l’ha ancora con Cossiga?
«No, l’ho perdonato».
Non mi ha risposto. Si sente un traditore?
«No. I veri voltagabbana sono i comunisti che dicono che non sono mai stati comunisti».
I voltagabbana sono più a destra o a sinistra?
«Oggi sono più quelli che lasciano la sinistra. Perché la destra è al potere».
Secondo lei Guzzanti è un voltagabbana?
«Assolutamente no. È l’emblema della coerenza. Mentre tutti gli altri cambiano, lui rimane uguale a se stesso. Come me».
Giuliano Ferrara?
«Ammiro la sua profondità intellettuale e la sua scrittura armoniosa. Lui è la prova che la sinistra italiana non diventerà mai riformista. Perché tutti i veri riformisti del Pci se ne sono andati. Una vera sinistra in Italia non potrà nascere se non sulle macerie di questa sinistra. Ci vorrebbe un Berlusconi di sinistra».
Cofferati?
«Cofferati, sì. Cerca di fare nel campo avverso quello che ha fatto Berlusconi. Copia molti degli stili, dei metodi, delle tecniche di Berlusconi».
Qualche voltagabbana lo troviamo? Mastella?
«Trasformismo. La politica lo legittima. Rimane però il giudizio negativo dal punto di vista morale».
La Pivetti?
«Che fine ha fatto? La mancanza di spessore politico e intellettuale alla fine si paga. La fortuna non basta. Scognamiglio? Nessuno ricorda più chi sia. Senza idee e senza coerenza non si può avere un ruolo. La politica è impietosa».
E Carrara che è venuto da voi cinque minuti dopo essere stato eletto con Di Pietro?
«Ci sono dei fenomeni ancora peggiori. Io le posso raccontare una cosa, però non vorrei che venisse pubblicata».
Stia tranquillo.
«Io sono molto amico dell’ex assistente del presidente, Nicolò Querci. Nel ’96 fu eletto in Veneto. Il presidente gli chiese un sacrificio grandissimo: dimettersi per fare passare Luca Danese. Che fu uno di quelli che andò a fare il ribaltone. Doveva avere una riconoscenza infinita. Invece solo ingratitudine».
Quando ha cominciato a lavorare per Berlusconi?
«Nel 1997, nella segreteria del presidente a Roma. Dopo due anni sono venuto ad Arcore».
Che cosa faceva?
«Rispondevo alle lettere. Anche 30 o 40 al giorno. Casi umani, richieste pietose. Avrò risposto a più di 20 mila lettere».
Firmate Berlusconi?
«Solo quelle più importanti, quelle dei politici, degli imprenditori. Le preparo io. A volte aggiunge a penna delle cose sue. E poi me le corregge, sempre. Un supplizio».
Che cosa corregge?
«Io sono troppo retorico. Lui è diretto e semplice. Ha la capacità di andare subito al cuore».
Lei adesso è il suo portavoce. Prima di fare dichiarazioni, lo sente?
«Mai».
E lui?
«Qualche volta mi sgrida».
Bondi, lei è diventato ricco?
«A Roma guadagnavo tre milioni e mezzo. Sto un po’ bene adesso con lo stipendio da parlamentare».
Berlusconi è generoso.
«Mi ha regalato un bell’orologio».
Quello del Milan? Varrà 10 mila lire.
«Scherza? È un Cartier. È talmente bello che non lo metto mai».
Lei somiglia a un frate trappista.
«Con Paolo Del Debbio spesso scherziamo. Lui sarebbe stato un domenicano, io agostiniano. Una divisione che attraversa tutta la cultura dell’umanità».
Quindi anche Forza Italia?
«Anche Forza Italia. Gianni Letta potrebbe essere un domenicano. Dell’Utri un agostiniano».
Dà del tu a Berlusconi?
«Non ci riesco. Io gli ho sempre dato del lei. E lui mi ha sempre dato del tu».
Lei criticava Forza Italia che corre il rischio di diventare un partito delle tessere…
«E la critico ancora. Ma sono più prudente adesso. Non voglio fare una brutta fine».
Senza Berlusconi, Forza Italia scompare?
«Sì. Bisogna avere il tempo per creare un soggetto che sia in grado di camminare con le sue gambe».
Chi è in pole position per sostituirlo?
«Molti, ma non c’è un gruppo dirigente. Manca la solidarietà di partito».
Quelli che escono sparano a palle incatenate contro Forza Italia. Sgarbi, Mancuso…
«Succede quando dentro a un partito non c’è dibattito politico».
Che cosa pensa dei leader della sinistra?
«Bertinotti è il meno comunista di tutti. È un massimalista socialista utopico. Una persona coerente, perbene. Non ha mai attaccato personalmente Berlusconi come hanno fatto, con toni sguaiati, D’Alema e gli altri».
D’Alema non le piace…
«È il più comunista di tutti. È l’erede perfetto della tradizione togliattiana italiana. Ho fatto un intervento alla Camera e lui per tutto il tempo mi ha voltato le spalle in segno di dispregio. È un uomo pieno di sé, con una presunzione immensa e mal riposta».
Dal punto di vista dell’interesse di Forza Italia, chi si augura che diventi il leader del centro sinistra?
«Francesco Rutelli o Walter Veltroni. Contro di loro la vittoria sarebbe certa».
Se lei entrasse in possesso delle prove che Berlusconi è colpevole delle cose che gli vengono contestate nei vari processi, che cosa farebbe?
«Penserei che è un brutto sogno. Che sto vaneggiando. Che sono su Scherzi a parte».
Che cosa è disposto a fare per Berlusconi?
«Andare in carcere».
Al posto suo?
«Non solo al posto suo, andrei in carcere per lui».
La tratta mai male?
«No, mai. Conoscendo la mia sensibilità, cerca di evitare i toni aspri, sa che ne soffrirei troppo. Non mi sgrida mai in maniera dura, impietosa».
Facciamo il gioco della torre?
«Sono proprio costretto?».
Travaglio o Maltese?
«Salvo Maltese: almeno ha il dono dell’intelligenza e della bella scrittura. Travaglio ha una specie di perversione: vorrebbe processare tutto e tutti. È veramente un uomo di destra. Un uomo di destra che scrive sull’Unità».
Stefania Craxi o Bobo Craxi?
«Salvo Stefania. Bobo è una persona deliziosa, umanissima ma non riesce proprio ad afferrare i problemi politici».
Di Pietro o Violante?
«Butto Violante. È molto più pericoloso. Di Pietro sta alla Giustizia come io sto alla Fisica».
Prodi o Cofferati?
«Salvo Cofferati. È distante anni luce dalle nostre posizioni e anche da una sinistra moderna e riformista. Però ha una sua credibilità».
Mentre Prodi?
«Come economista è poco più che un dilettante, noto per avere fatto degli studi sulle mattonelle. Il suo eventuale ritorno sulla scena della politica italiana sarebbe una minestra riscaldata».

Santifichiamo mio nipote, amici. Ha tanto bisogno di un miracolo…

Sua zia Clementina

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