MANGERA’ IL PANETTONE?

Marco Damilano per “l’Espresso”

Sa, presidente, Gianni Letta è bravissimo. Mi costa poco meno di Kakà, ma pazienza… Era il 7 maggio, Silvio Berlusconi a colloquio con Giorgio Napolitano al Quirinale si ritrovava a magnificare al solito le qualità del suo sottosegretario: governante eccezionale e per di più, massima soddisfazione, suo dipendente.

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Un mese e mezzo fa, un tempo felice. Oggi Silvio e Gianni sono ancora insieme, ma separati da una invisibile cortina di sfiducia. Alle cene di palazzo Grazioli, il sottosegretario era abituato ad arrivare dopo le nove di sera e ad andarsene intorno alle undici, quando arrivavano le dame e cominciavano le danze.

Negli ultimi mesi, poi, ha deciso di non farsi vedere più neppure nella prima parte della serata: meglio essere prudenti, viste le compagnie non sempre degne di uno statista. Ma nessuno sembrava accorgersi della sua assenza: era ancora la stagione del Berlusconi onnipotente, padrone d’Italia, con il gradimento del 75 per cento degli italiani, almeno nei suoi sondaggi.

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Oggi invece al primo piano di palazzo Grazioli sventola un moscio tricolore, Apicella non suona più, Berlusconi si ritrova in perfetta solitudine nel momento più difficile della sua avventura politica e umana. È un leader politico sotto ricatto, diffidente perfino nei confronti degli amici di sempre, con la corte dei nuovi favoriti pronta a soffiare sul fuoco per scalare posizioni: il deputato-interprete Valentino Valentini, il deputato-segretario Sestino Giacomoni, il deputato-avvocato Niccolò Ghedini. Un uomo sotto assedio, che vede spegnersi la tradizionale buona sorte, l’ottimismo, “il sole in tasca”.

“Si è trasformato in un Re Mida all’incontrario: quello che tocca sporca”, lo dipinge con ferocia chi gli è stato vicino per anni e ora non se la sente più di seguirlo. Dopo aver infilzato a lungo un avversario dopo l’altro, il Cavaliere per la prima volta si sente preda di una caccia grossa, dove sono in tanti a voler sparare il colpo di grazia.

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Nella stretta cerchia dei berluscones le voci si rincorrono. Complotti interni e internazionali: i servizi italiani e il prefetto Gianni De Gennaro (“sciocchezze”, replica un sottile conoscitore dell’ambiente: “Branciforte è una brava persona, Piccirillo è un servitore dello Stato, De Gennaro non ha grandi poteri”), anzi no, la Cia, Barack Obama che si vuole sbarazzare del leader italiano, troppo amico dei russi, scenari alla Ken Follett agitati da un esperto del ramo, Francesco Cossiga. I poteri forti: Berlusconi ha pestato i piedi alle banche, Cesare Geronzi si vendica. Luca Cordero di Montezemolo scalda i motori con l’associazione Italia Futura, pronta a partire il 1 luglio.

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Fantasmi, come quello di una giovane misteriosamente scomparsa dalle parti di villa Certosa. Assurdo? Certo: ma a invocare Wilma Montesi, la ragazza ritrovata morta sulla spiaggia di Capocotta negli anni Cinquanta, è un ministro in carica, Gianfranco Rotondi.

Lo spettro di un 25 luglio berlusconiano: “Alla caduta del Duce ci fu un solo suicida, il direttore dell’agenzia Stefani Manlio Morgagni, oggi chi potrebbe imitarlo? Sandro Bondi?”, scherza macabro un deputato di An.

E le previsioni catastrofiche sul G8 dell’Aquila che avrebbe dovuto consacrare la figura internazionale del Cavaliere: ecco invece le voci di capi di Stato che vorrebbero evitare di farsi fotografare con il premier. E le first ladies che potrebbero disertare l’evento. Anche se, a spaventare davvero il Cavaliere, sono incubi molto più consistenti: l’inchiesta di Bari, i contatti tra l’amico del premier Giampaolo Tarantini e il capo della protezione civile Guido Bertolaso, fronti che potrebbero aprirsi in altre procure, da Firenze a Napoli.

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“Dobbiamo tornare a fare politica. Possiamo finire in molti modi, ma non così”, si dispera fino alle lacrime su un divano del Transatlantico la deputata Beatrice Lorenzin, pasionaria azzurra che è arrivata a Montecitorio dalla militanza nelle borgate romane, il contrario della velina. Non può finire così: con l’inedito duello Silvio-Patrizia, lui sull’house organ ‘Chi’ che da vero signore si vanta di non aver pagato una donna (“non sarebbe una conquista”), lei, la sdoganatrice del termine escort, che lo smentisce via agenzia.

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Con la fila delle ragazze che ostentano farfalline e tartarughe, ognuna con il suo regalino da esibire e una indimenticabile serata con Papi da raccontare. Con l’Italia mai così screditata a livello internazionale, come dimostra il flop della candidatura del ciellino Mario Mauro alla presidenza del Parlamento europeo. Berlusconi ne aveva parlato per tutta la campagna elettorale, il settimanale ‘Tempi’ gli aveva già dedicato la copertina (“Il Presidente”), niente da fare, anche Mauro ha pagato la vicinanza a Silvio, il re Mida all’incontrario.

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La caduta è stata appena bloccata dalla vittoria del centrodestra al ballottaggio per la provincia di Milano, per soli quattromila voti, però, e con il centrosinistra che ha superato la coalizione Pdl-Lega in città. Ma il tritacarne si è rimesso subito in azione. Alimentato dalle ambizioni personali dei tanti che fiutano l’odore dell’animale ferito, la precoce fine del berlusconismo, se non ancora di Berlusconi, dopo appena un anno di legislatura, reclamano il loro pezzetto di eredità, si preparano al dopo. Il più rapido a farsi avanti è stato il ministro Claudio Scajola, con un’intervista al ‘Corriere’.

In apparenza di solidarietà con il premier, in realtà carica di richieste e di condizioni. La più pressante: “Rilanciare il Pdl strutturandosi meglio sul territorio”. Quando hanno letto queste parole in via dell’Umiltà hanno sospirato: “Ci risiamo. Berlusconi è in difficoltà e Claudio si candida alla guida del partito…”. Lo scontento dei parlamentari verso il triumvirato che guida il Pdl non si può più arginare. I due ex Forza Italia, Bondi e Denis Verdini, entrambi toscani di Fivizzano, ex vicini di casa a Roma, in piazza dell’Ara Coeli, non si parlano più, alle riunioni se c’è uno manca l’altro.

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Il terzo del trio, il post-missino Ignazio La Russa, è sbeffeggiato quotidianamente dagli amici di An. “I triumviri o quadriumviri hanno sempre fatto una brutta fine: ai tempi di Mussolini uno è caduto dall’aereo, uno è stato fucilato, un altro è diventato partigiano. Tutte cose che non auguro a La Russa”, ridacchia l’ex capo della segreteria di Gianfranco Fini Donato Lamorte. Di certo, il Pdl, il primo partito italiano, si è rivelato più permeabile di palazzo Grazioli: porte girevoli, gente che va gente e che viene, candidature imbarazzanti, nomi arrivati nelle liste per le elezioni europee o amministrative senza nessuna trafila o competenza.

E a immolarsi per difendere il leader-fondatore dalle accuse delle escort sono rimasti il solito Daniele Capezzone e la coppia dei Beni culturali, il ministro Bondi e il sottosegretario Francesco Giro, il bunker del Collegio romano, li chiamano nel partito. Così in tanti invocano un cambio di rotta immediato: un segretario organizzativo al posto di Verdini-Bondi-La Russa da nominare subito, entro l’estate, una macchina da guerra da mettere in campo subito, per non farsi cogliere impreparati quando arriverà il terremoto politico più sconvolgente degli ultimi anni.

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Le prossime settimane, infatti, decideranno il futuro di Berlusconi. Prima il G8, ad alto rischio flop. Poi le leggi più delicate da varare entro la pausa estiva, a partire da quella sulle intercettazioni approvata dalla Camera e ora in discussione al Senato. Infine, il passaggio più a rischio, la sentenza della Corte costituzionale sul lodo Alfano che impedisce i procedimenti a carico del premier fino alla scadenza del mandato: una bocciatura della Consulta sarebbe letale per il Cavaliere, in una maggioranza dove ognuno gioca la sua partita, come se la legislatura fosse al capolinea e non all’inizio.

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C’è il presidente della Camera Gianfranco Fini, sempre più compreso nel suo ruolo istituzionale. Pronto a passare da un convegno sul parlamentarismo con la tedesca fondazione Adenauer a un incontro a Madrid con il think tank dell’ex premier Josè Maria Aznar, dalla benedizione per l’associazione ‘Italia Decide’ presieduta da Luciano Violante al lavoro sul ‘patriottismo costituzionale’, tra frasi di Habermas, Daherendorf, Piero Calamandrei, Giuseppe Mazzini e Rousseau: “La patria non esiste senza virtù”. Citazione perfetta per un aspirante inquilino del Quirinale, soprattutto ora che il candidato naturale, Berlusconi, su vizi e virtù manifesta qualche segnale di evidente confusione.

Con i suoi interlocutori il presidente della Camera giura di non essere disponibile per eventuali governi istituzionali, in caso di caduta di Berlusconi: la sua strada lo porta verso il Colle più alto, ogni deviazione rischia di allontanarlo dall’obiettivo. Per questo, segretamente, tifa perché Berlusconi resista ancora un po’ al suo posto: un premier ferito, azzoppato, per mandare avanti la legislatura di qualche anno. Non a caso, dopo la polemica sulle veline in lista che provocò la reazione della signora Veronica Berlusconi, il sito della fondazione finiana Fare Futuro è rimasto silenzioso: meglio non infierire ora che il risultato di far precipitare Silvio tra i comuni mortali è stato raggiunto. Mentre l’ex sdoganato Fini, al contrario, sta ascendendo tra i padri della patria.

Silenzio condiviso dall’altro big della maggioranza, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Non ha speso una parola per difendere Silvio. È toccato a un amico, un deputato veneto del Pd, raccogliere il suo sfogo nell’emiciclo di Montecitorio: “Mi parli di federalismo? Ma non vedi che qui sta crollando tutto…”. E in pochi ricordano che la rottura con Berlusconi si è consumata non sulla politica economica, ma su un terreno più politico.

Durante la seduta del Consiglio dei ministri chiamato ad approvare il decreto che avrebbe imposto l’alimentazione a Eluana Englaro, lo scorso gennaio, Tremonti fu l’unico ministro a mettere in guardia sulle conseguenze del provvedimento: “Attenzione, se Napolitano non firma il decreto andiamo dritti allo scontro istitzionale”. Berlusconi non gradì per niente, e da allora Tremonti è entrato nella lista nera dei potenziali traditori. Ma anche in testa ai possibili candidati per la guida di un governo di emergenza nazionale in caso di caduta di Berlusconi, con l’appoggio di Massimo D’Alema e del Pd.

Il favorito a Palazzo Chigi, se la situazione dovesse precipitare, resta però l’attuale sottosegretario Gianni Letta. L’unico in grado di garantire la tregua tra i poteri dello Stato dopo un cataclisma di tale portata. Non a caso Sua Eminenza da Avezzano è finito sotto gli attacchi neppure tanto velati di una parte del Pdl. Fabrizio Cicchitto e Gaetano Quagliariello ne hanno chiesto l’audizione al comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti come responsabile politico dell’intelligence e dunque della sicurezza e della privacy del premier.

“Letta è troppo istituzionale per occuparsi di servizi segreti, qui siamo in guerra, serve un personaggio che abbia la mentalità del militare”, detta un falco ex Forza Italia, esponente della corrente che spinge Berlusconi verso la linea dura e vorrebbe bloccare la strada verso un eventuale governo delle larghe intese, presieduto dallo stesso Letta. Ma sulla reazione allo scandalo delle escort, per la prima volta, gli azzurri appaiono spaccati. Il dopo-Berlusconi non è un tabù, neppure nel Pdl.

C’è chi se la prende con i più scalmanati del governo: “Ministri come Sacconi o Brunetta che in tempi di crisi invocano la spaccatura con i sindacati. Gente che ha i glutei al posto della testa”. E c’è chi invoca il ritorno dei vecchi saggi, i padri nobili, i Pisanu, i Martino, i Pera, da affiancare a Berlusconi: una specie di cordone sanitario, un collegio di badanti per il premier sull’orlo di una crisi di nervi.

Sulla capacità di tenuta di Berlusconi di fronte alla raffica di inchieste, rivelazioni, interviste, memoriali, fotografie, aspiranti ragazze immagine, trans, slave vestite da babbonataline e altri colpi di scena (“la coca, quella no!”, giura un forzista della prima ora, forse per darsi coraggio) si regge la possibilità della legislatura di proseguire. La minaccia di riportare il Paese alle elezioni anticipate, per l’ennesima ordalia, il referendum pro o contro Berlusconi, è sempre sul tavolo, un copione già ripetuto con successo in altre occasioni.

La Lega di Umberto Bossi lo spinge a sfidare i nemici, sicura di sopravvivere al cataclisma, una parte del Pdl lo invita a dare la caccia al traditore interno. Ma il Cavaliere sembra colto da un’improvvisa esitazione, da una malinconia. L’effetto che fanno le luci che si spengono al termine di una festa, come quelle che allietavano il premier al primo piano di palazzo Grazioli. Un’atmosfera deprimente da spettacolo concluso, uno show che si interrompe all’improvviso, un’emozione spezzata. Ma il timore di Silvio è che ora la giostra possa finire anche a palazzo Chigi.

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La verità che non può dire

La verità che non può dire
di GIUSEPPE D’AVANZO

Berlusconi esige da noi, per principio e diritto divino, come se davvero fosse “unto dal Signore”, la passiva accettazione dei suoi discorsi. Pretende che non ci siano repliche o rilievi alle sue parole. Reclama per sé il monopolio di un’apparenza che si cucina in casa con i cuochi di famiglia. Senza contraddittorio, senza una domanda, senza un’increspatura, senza la solidità dei fatti da lui addirittura non contraddetti, senza un estraneo nei dintorni. Vuole solo famigli e salariati. Con loro, il Cavaliere frantuma la realtà degradata che vive. La rimonta come gli piace a mano libera e ce la consegna pulita e illuminata bene. A noi tocca soltanto diventare spettatori – plaudenti – della sua performance. Berlusconi ci deve immaginare così rincitrulliti da illuderci di poter capire qualcosa di quel che accade (è accaduto) non servendoci di ciò che sappiamo, ma credendo a ciò che egli ci rivela dopo aver confuso e oscurato quel che già conosciamo. Quindi, via ogni fatto accertato o da lui confessato; via le testimonianze scomode; via documenti visivi; via i giornalisti impiccioni e ostinati che possono ricordarglieli; via anche l’anchorman gregario e quindi preferito; via addirittura la televisione canaglia che da una smorfia può rivelare uno stato d’animo e una debolezza.

Berlusconi, che pare aver smarrito il suo grandioso senso di sé, si rimpannuccia sul divano di casa affidandosi alle calde cure del direttore di Chi. Insensibile alle contraddizioni, non si accorge dell’impudico paradosso: censurare i presunti pettegolezzi dalle colonne di un settimanale della sua Mondadori, specializzato in gossip. Dimentico di quanto poca fortuna gli abbia portato il titolo di Porta a Porta (5 maggio) “Adesso parlo io” (di Veronica e di Noemi), ci riprova. “Adesso parlo io” strilla la copertina di Chi. Il palinsesto è unico.

In un’atmosfera da caminetto, il premier ricompone la solita scena patinata da fotoromanzo a cui non crede più nessuno, neppure nel suo campo. La tavolozza del colore è sempre quella: una famiglia unita nel ricordo sempre vivo di mamma Rosa e nell’affetto dei figli; l’amore per Veronica ferito – certo – ma impossibile da cancellare; la foto con il nipotino; una vita irreprensibile che non impone discolpa; l’ingenuità di un uomo generoso e accogliente che non si è accorto della presenza accanto a lui, una notte, di una “squillo” di cui naturalmente non ha bisogno e non ha pagato perché da macho latino conserva ancora il “piacere della conquista”.

Acconciata così la sua esistenza che il più benevolo oggi definisce al contrario “licenziosa”, chi la racconta in altro modo non può essere che un “nemico”. Da un’inimicizia brutale sono animati i giornali che, insultati ma non smentiti, raccontano quel che accade nelle residenze del presidente. Antagonisti malevoli, prevenuti o interessati sono quegli editori che non azzittiscono d’imperio le loro redazioni. C’è qualcosa di luciferino (o di vagamente folle) nella pretesa che l’opinione pubblica – pur manipolata da un’informazione servile – s’ingozzi con questo intruglio. Dimentico di governare un Paese occidentale, una società aperta, una democrazia (ancora) liberale, il capo del governo pare convinto che, ripetendo con l’insistenza di un disco rotto, la litania della sua esemplare “storia italiana” possa rianimare l’ormai esausta passione nazionale per l’infallibilità della sua persona. È persuaso che, mentendo, gli riesca di sollecitare ancora un odio radicale (nell’odio ritrova le energie smarrite e il consenso dei “fanatizzati”) contro chi intravede e racconta e si interroga – nell’interesse pubblico – sui lati bui della sua vita che ne pregiudicano la reputazione di uomo di governo e, ampiamente, la sua affidabilità internazionale. Berlusconi sembra non voler comprendere quanto grave – per sé e per il Paese – sia la situazione in cui si è cacciato e ha cacciato la rispettabilità dell’Italia. Ha voluto convertire, con un tocco magico e prepotente, le “preferite” del suo harem in titolari della sovranità popolare trasformando il suo privato in pubblico. Non ha saputo ancora spiegare, dopo averlo fatto con parole bugiarde, la frequentazione di minorenni che ora passeggiano, minacciose, dinanzi al portone di Palazzo Chigi. Ha intrattenuto rapporti allegri con un uomo che, per business, ha trasformato le tangenti alla politica in meretricio per i politici. Il capo del governo deve ora fronteggiare i materiali fonici raccolti nella sua stanza da letto da una prostituta e le foto scattate da “ragazze-immagine”, qualsiasi cosa significhi, nel suo bagno privato mentre ogni giorno propone il nome nuovo di una “squillo” che ha partecipato alle feste a Villa Certosa o a Palazzo Grazioli (che pressione danno a Berlusconi, oggi?).

La quieta scena familiare proposta da Chi difficilmente riuscirà a ridurre la consistenza di quel che, all’inizio di questa storia tragica, si è intravisto e nel prosieguo si è irrobustito: la febbre di Berlusconi, un’inclinazione psicopatologica, una sexual addiction sfogata in “spettacolini” affollati di prostitute, minorenni, “farfalline”, “tartarughine”, “bamboline” coccolate da “Papi” tra materassi extralarge nei palazzi del governo ornati dal tricolore. Una condizione (uno scandalo) che impone di chiedere, con la moglie, quale sia oggi lo stato di salute del presidente del Consiglio; quale sia la sua vulnerabilità politica; quanta sia l’insicurezza degli affari di Stato; quale sia la sua ricattabilità personale. Come possono responsabilmente, questi “buchi”, essere liquidati come affari privati?

La riduzione a privacy di questo deficit di autorità e autorevolezza non consentirà a Berlusconi di tirarsi su dal burrone in cui è caduto da solo. Ipotizzare un “mandato retribuito” per la “escort” che ricorda gli incontri con il presidente a Palazzo Grazioli è una favola grottesca prima di essere malinconica (la D’Addario è stata prima intercettata e poi convocata come persona informata dei fatti). Evocare un “complotto” di questo giornale è soltanto un atto di intimidazione inaccettabile.

Ripetendo sempre gli stessi passi come un automa, lo stesso ritornello come un cantante che conosce una sola canzone, Berlusconi appare incapace di dire quelle parole di verità che lo toglierebbero d’impaccio. Non può dirle, come è sempre più chiaro. La sua vita, e chi ne è stato testimone, non gli consente di dirle. È questo il macigno che oggi il capo del governo si porta sulle spalle. Non riuscirà a liberarsene mentendo. Non sempre la menzogna è più plausibile della realtà. Soprattutto quando un Paese desidera e si aspetta di sentire la verità su chi (e da chi) lo governa.

°°° L’unico commento che posso fare, a questa riflessione lucidissima, è: Caro Silvio, chi troppo in alto sal cade sovente precipitevolissimevolmente. Lo vedi che brutta fine ha fatto Icaro, per essersi esposto troppo al Sole senza la giusta crema protettiva?

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Ero sempre in prima fila…

… oggi non mi permettono più nemmeno di contestare.

Roma, 13:55
INTERCETTAZIONI: FNSI, A ROMA UNO SPETTACOLO DI PROTESTA

Al teatro Ambra Jovinelli di Roma va in scena domani ‘In galera! Gli articoli che potremmo non leggere piu”, uno spettacolo-manifestazione gratuito con attori e giornalisti contro il ddl Alfano, per dimostrare nel modo piu’ evidente i guasti che il ddl Alfano licenziato dalla Camera porterebbe al sistema dell’informazione democratica dei cittadini se il testo venisse approvato anche dal Senato. La performance promossa da Unci, Fnsi e Ordine dei giornalisti, iniziera’ alle 21. Attori, uomini di spettacolo, giornalisti e rappresentanti del mondo sindacale e della societa’ civile si alterneranno ai microfoni per leggere brani delle intercettazioni che hanno consentito ai magistrati di scoprire e agli italiani di conoscere i maggiori scandali degli ultimi anni, dalle razzie economico-finanziarie, alle truffe ai danni dello Stato, dalla sanita’ malata al malaffare dello smaltimento rifiuti. Reati, scandali, ruberie, si legge nel comunicato stampa, che i magistrati avrebbero moltissima difficolta’ a scoprire, reprimere e punire se le norme del ddl Alfano diventassero legge perche’ verrebbero privati della piu’ efficace arma di indagine, dato che le intercettazioni diventerebbero quasi impossibili. Reati pubblici e privati di cui i cittadini, prosegue la nota stampa, non verrebbero piu’ a conoscenza perche’ il testo punta a impedire che i giornalisti possano riferire gli sviluppi delle indagini giudiziarie in modo corretto, compiuto e tempestivo. Tutto il mondo del giornalismo e’ impegnato da un anno a contrastare queste norme liberticide che allontanerebbero l’Italia dall’Europa comprimendo in modo inaccettabile la liberta’ d’informazione.

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Marco Travaglio (da l’Unità)

Topolanek, Bocchino, Pompa & F.lli

Siccome «nomina sunt consequentia rerum», sulla scena degli scandali berlusconiani, dopo Topolanek, irrompe l’on. Bocchino: «In questa vicenda ci sono apparati dello Stato fuori controllo». Non ce l’ha con l’apparato riproduttivo di Al Tappone, già devastato da un editoriale di Feltri, ansioso di far sparire l’arma del delitto («facendo strame della privacy, affermo che Silvio è senza prostata… e buonanotte al sesso. La scienza fa miracoli tranne uno: quello»). No, Bocchino ce l’ha coi servizi segreti, ovviamente deviati: «Dovrebbero occuparsi della sicurezza del premier, scortarlo, proteggerlo». Invece colludono coi nemici della Nazione: tipo il fotografo Zappadu che, secondo l’autorevole Il Giornale, ha «rapporti coi servizi». Tesi suggestiva, anche perché Al Tappone ha governato 8 anni su 15 e ha sempre trafficato coi servizi. E l’altro giorno ne ha riuniti i capi a Palazzo Chigi: c’erano il coordinatore Gianni De Gennaro, a suo tempo confermato da Al Tappone a capo della polizia nonostante i fattacci del G8 di Genova, o forse proprio per quelli (ora è imputato per induzione alla falsa testimonianza dell’ex questore); e l’ex direttore del Sismi Niccolò Pollari, sebbene sia imputato a Milano per il sequestro di Abu Omar e a Perugia per peculato con Pio Pompa (avrebbero spiato «presunte opinioni politiche, contatti e iniziative di magistrati, funzionari dello Stato, associazioni di magistrati anche europei, giornalisti e parlamentari»), o forse proprio per questo. Dal che si deduce che cosa intendano lorsignori per «servizi deviati»: quelli che lavorano per lo Stato.

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La visita a Obama

Eravamo nella sala ovale della Casa Bianca: io, Giangi Pallina, Orso Gigio, Barack Obama, Maga Maghella e Gina Lollobrigida in tanga. Nel patio, due stupidi della scorta di Burlesquoni che si bruciavano i nasi con uno zippo e ridevano. Minca! Se ci sono due dei gorilla di Mafiolo allora ci dev’essere anche lui qui a WASHINGTON! E infatti, che ve lo dico a fare?… esco con la scusa di pipparmi una Stuyvesant e lo vedo: era nell’orto a fare il tacchino con Michelle, solo che lei era in ginocchio che interrava dei fagioli e Silvio era in piedi sopra i suoi tacchi… anche accucciata era ancora più alta Michelle Obama. Volevo proprio godermi la scena, così mi sono messo a svuotare i portaceneri della mia vecchia Bmw in un vaso di ortensie, che mi copriva parzialmente. Alla terza minchiata in inglese maccheronico del mafionano, Michelle si è alzata in piedi, si è piegata con le mani guantate sulle ginocchia come si fa per parlare ai bambini e ha sibilato:
“Mister, lei oltre ad essere terribilmente disgustoso non ha proprio il senso della misura… e meno male che non fa il sarto o il geometra!” Detto questo, gli ha vuotato sul testone trapiantato il secchio del letame disciolto e se n’è andata nasino all”aria.
Me cojoni! Son tornato dentro e, mentre cercavo un bagno per lavarmi le mani, l’occhio mi è caduto nelle cucine: dove i camerieri stavano sputando a turno nel bricco del caffè destinato a Silvio (c’era proprio una elegante targhetta al centro dell’enorme vassoio “President Berluccioni”) e uno si faceva roteare il bordo della tazza nel solco tra le natiche scoperte. Barack si stava già incazzando per il ritardo del premier italiano, quando finalmente Silvio ha fatto il suo ingresso… Imbarazzante. La servitù, vedendolo e “sentendolo” puzzolente di letame organico, prima lo ha lavato con la pompa da giardino, poi ha cercato qualcosa per coprirlo; ma i vestiti di Barack sono quelli di un uomo prestante di circa un metro e novanta, come farci entrare un botolo di 1,55 formato scaldabagno? E così la vecchia Nunny delle bambine ha infilato Mafiolo in un costume da Biancaneve comprato a Disneyland. Barack, da grande statista, non ha fatto una piega. Ha premuto un pulsante e subito sono arrivati i camerieri col caffè per l’ospite, mentre lui e noi ci siamo fatti raboccare i bicchieri col mirto che avevo portato io. Burlesquoni ha cominciato subito a dire che non voleva essere frainteso, che Zappadu è un coglione, che Noemi è vergine, che vuole molto bene a Fede e Apicella e… tante altre cose di somma importanza internazionale e strategica, insomma. Barack gli ha detto che lo ammira molto e che spera di vederlo presto. Liquidato. Silvio è stato accompagnato alla porta da un solenne ma deciso maggiordomo e noi ci siamo scatenati con le risate.
Un tassista rasta ha portato il capo del governo italiano alla pizzeria Bella Napoli, nel quartiere italiano, e lì Berlusconi ha espresso la sua gratitudine nei confronti degli “amici americani per quanto fatto per liberare l’Italia nella seconda guerra mondiale“. In serata il presidente del Consiglio lascerà Washington per tornare in Italia. Se il giudice gli concederà la libertà provvisoria: visto che è stato arrestato per una rissa con un bambino giapponese più alto di lui, che non gli voleva cedere il passo all’uscita del locale. Le sue body guard, dite? Quelle sono ancora in infermeria del centro grandi ustionati.

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La sguattera

La sedicente ministra, rossa naturale, BRRRAMBILLA, pescivendola e ignorante come una cozza… dopo due schiaffoni della serracchioni (ancora troppo ingessata) è andata a fare gnè gnè al telefono con papi. E’ tornata con un foglietto di cazzate e le sono immediatamente saltati tutti addosso per ribadire che DI CAZZATE SI TRATTA. 39 miliardi nati da quale delirio? Sono poco più di due e girano come le varie zoccole delle tv di Mafiolo. Ecco il coro della cosca che gira a portare in scena le sue coglionate per tutte le tv del regime:

coro


LA BANDA burlesquoni

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SERVI DI REGIME

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La menzogna al potere

L’ANALISI
Il nuovo volto del potere
di GIUSEPPE D’AVANZO

IL “caso Berlusconi” svela da oggi anche altro e di peggio. Ci mostra il dispositivo di un sistema politico dove la menzogna ha, non solo, un primato assoluto, ma una sua funzione specifica. Distruttiva, punitiva e creatrice allo stesso tempo. Distruttiva della trama stessa della realtà; punitiva della reputazione di chi, per ostinazione o ingenuità o professione, non occulta i “duri fatti”; creatrice di una narrazione fantastica che nega eventi, parole e luoghi per sostituirli con una scena di cartapesta popolata di fantasmi, falsi amori, immaginari complotti politici.

E’ stato per primo Silvio Berlusconi a muovere. Si scopre vulnerabile nelle condizioni di instabilità provocate dalle parole della moglie (“frequenta minorenni”, “non sta bene”) e fragile per la sua presenza nella peggiore periferia di Napoli a una festa di compleanno di una minorenne. E’ dunque costretto a mostrare, senza finzioni ideologiche, il suo potere nelle forme più spietate dell’abuso e della pura violenza. E’ già un abuso di potere (come ha scritto qui Alexander Stille) in un pomeriggio di autunno telefonare, da un palazzo di Roma e senza conoscerla, a una ragazzina che sta facendo i compiti nella sua “cameretta” per sussurrarle ammirazione per “il volto angelico” e inviti a conservare la sua “purezza”. E’ un abuso di potere ancora maggiore imporre ai genitori della ragazza di confermare la fiaba di “una decennale amicizia” con il premier, nata invece soltanto sette mesi prima grazie a un book fotografico finito non si sa come sullo scrittoio presidenziale.

E’ pura violenza pretendere che gli si creda quando dice: “Io non ho detto niente”. Tutti abbiamo sentito Berlusconi dire, spiegare, raccontare in pubblico e soprattutto contraddirsi e mentire. Ora egli pretende che il potere delle sue parole sulla realtà e sui nostri stessi ricordi sia, per noi, illimitato e indiscusso. Esige che noi dimentichiamo ciò che ricordiamo e crediamo vero ciò che egli dice vero e noi sappiamo bugiardo. Non ha detto niente, no? Berlusconi chiede la nostra ubbidienza passiva, l’assuefazione a ogni manipolazione anche la più pasticciata. Reclama una sterilizzazione mentale (e morale) dell’intera società italiana.

Già basterebbe questo atto di pura violenza per riproporre le dieci domande a cui il capo del governo non vuole dare risposta da più di due settimane perché, palesemente, non è in grado di farlo. Se lo facesse, potrebbe compromettere se stesso, rivelare abitudini e comportamenti in rumorosa contraddizione con il suo messaggio politico (Dio, patria, famiglia).
C’è altro, però. Berlusconi sa che questa prova di forza non lo mette al sicuro dal potenziale catastrofico della “crisi di Casoria”. Sa che spesso i fatti sono irriducibili e hanno la tendenza a riemergere. Sa che per distruggere quella realtà minacciosa, deve distruggere presto e nel modo più definitivo chi la può testimoniare. Anche in questo caso il premier ha deciso di muoversi con un canone di assoluta violenza. E’ quel che accade in queste ore. Per raccontarlo bisogna ricordare che i giorni non sono passati inutilmente perché hanno offerto a chi ha voglia di sapere e capire qualche accenno di “verità”.
Veronica Lario dice a Repubblica che il premier “frequenta minorenni”. Berlusconi nega dinanzi alle telecamere di Porta a porta di frequentare minorenni.
Mente, ora è chiaro. Ci inganna intenzionalmente e consapevolmente, ben sapendo che cosa vuole deliberatamente nascondere. Ha frequentato la minorenne di Napoli come altre minorenni hanno affollato le sue feste e affollano i suoi weekend nella villa di Punta Lada in Sardegna. Dov’erano quelli che oggi minimizzano la presenza di ragazzine alla corte di un anziano potente di 73 anni quando quel signore negava di “frequentare minorenni”?

Un secondo punto, fermo e indiscutibile, è l’inizio dell’amicizia con Noemi, la ragazza napoletana. La retrodatazione del legame tra il premier e la famiglia della ragazza al 1991 si è rivelata posticcia e contraddittoria. I suoi incontri con la minorenne, anche in assenza dei genitori, sono stati documentati (Villa Madama; Capodanno 2009 a Villa Certosa). L’inizio dell’affettuosa e paterna amicizia tra il capo del governo e la minorenne è stata testimoniata dall’ex-fidanzato della ragazza, confermato da una zia di Noemi, fissato nell’autunno del 2008.

Contro questi “punti fermi”, che lasciano il premier nudo con le sue bugie, si è scatenata una manovra utile a scomporre, ricomporre e confondere i fatti in un caleidoscopio mediatico di immagini false dove l’arma è la menzogna e gli armigeri sono i giornalisti stipendiati dal capo del governo, dimentichi di ogni deontologia professionale e trasformati in agenti provocatori; i corifei del leader, forti dell’immunità parlamentare e disposti a ogni calunnia. Buon’ultima Daniela Santanché che accetta di fare, nell’interesse del Capo, il lavoro sporco di diffamarne la moglie (“ha un compagno”). Chiunque, in questo affare, abbia portato il suo granellino di verità viene ora sottoposto a un pubblico rito di degradazione fabbricato con un violento uso della menzogna.

Il primo assalto è toccato a Repubblica investita, dall’editore all’ultimo cronista che si è occupato del “caso”, da un’onda di panzane. Prima il complotto politico (ma la polemica sulle veline è stata sollevata dal think tank di Gianfranco Fini). Poi la bubbola del pagamento del testimone (Gino Flaminio) che colloca la prima telefonata di Berlusconi a Noemi alla fine del 2008. L’accusa la grida in tv il ministro Bondi. Qualche giorno prima che un allegro commando di redattori del giornale della famiglia Berlusconi si scateni contro Flaminio allungandogli un paio di centoni “per l’incomodo” e realizzando la ridicola impresa di essere i soli a pagare l’ingenuo Gino. Che, anche se spaventato e intimorito, dice, ridice e conferma in tre occasioni di “non aver avuto un centesimo da Repubblica”. Non è finita. Uguale trattamento viene inflitto al fotografo che ha immortalato, nell’aeroporto di Olbia, lo sbarco da un aereo di Stato delle ragazze (alcune, appaiono da lontano minorenni) invitate a allietare il fine settimana del presidente del consiglio. Infilato prima in una trappola dall’house organ di Casa Berlusconi, denunciato poi per truffa (improbabile reato) dall’avvocato del premier, la procura di Roma decide di sequestrare sia le immagini illegittime (scattate verso il patio di Villa Certosa) sia le foto legittime (raccolte in un luogo pubblico).

Siamo solo all’interludio perché il colpo finale, la menzogna usata come manganello punitivo, viene riservato alla prima e più autorevole testimone dell’instabilità psicofisica del premier e dei suoi giorni con le minorenni: Veronica Lario. Daniela Santanché (non è un’amica della Lario, non frequenta la villa di Macherio) svela a Libero che “Veronica ha un compagno”. E, se “Veronica ha un compagno”, come possono essere attendibili i suoi rilievi al marito? Il cerchio ora è chiuso. Il pestaggio menzognero è completo, anche se non concluso. Ciascuno ha cominciato ad avere quel che si merita.

Questo spettacolo nero ha il suo significato politico. Berlusconi vuole insegnarci che, al di fuori della sua verità, non ce ne può essere un’altra. Vuole ricordarci che la memoria individuale e collettiva è a suo appannaggio, una sua proprietà, manipolabile a piacere. Si scorge nella “crisi di Casoria” un uso della menzogna come funzione distruttiva del potere che scongiura l’irruzione del reale e oscura i fatti. Si misura l’impiego dei media sotto controllo diretto o indiretto del premier come fabbrica di menzogne punitive di chi non si conforma (riflettano tutti coloro che ripetono che ormai il conflitto d’interesse è stato “assorbito” dal Paese). E’ il nuovo volto, finora nascosto, di un potere spietato. E’ il paradigma di una macchina politica che intimorisce. C’è ancora qualcuno che può pensare che questa sia la trama di un gossip e non la storia di un abuso di potere continuato, ora anche violento, e quindi una questione che scrolla la nostra democrazia?


°°° NON AGGIUNGO UNA SOLA VIRGOLA…

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Il nano sempre più nella cacca

Il premier e la strategia del caos
di Marco Bucciantini

L’autunno del patriarca non è sempre circondato di ragazzine. Berlusconi è solo e preoccupato, ad Arcore. Sente i fedelissimi per telefono, Bonaiuti, Ghedini, Letta. Legge i giornali e si arrabbia, guarda le tivù e si rasserena appena un po’: i telegiornali mettono la sordina al caso Noemi. Si può ancora campare di rendita con la strategia della riduzione del danno, che resta l’ordine di scuderia.

«Ma bisogna trovare una via d’uscita», fa sapere. In pratica bisogna confezionare una storia credibile, inattaccabile. Ma lo staff frena, «aspettiamo, per ora il danno è limitato». Si temono altre rivelazioni che screditerebbero questa nuova, congegnata versione dei fatti. Lo stallo logora il premier, tentato dalla controffensiva “umana”, annunciata alla Cnn («riferirò in Parlamento, sarà un boomerang per la sinistra»), e abbozzata con l’intervista al Mattino del padre di Noemi, Benedetto Letizia, nella quale difende l’onore («mia figlia è illibata») e introduce un tassello: «Berlusconi ci è stato vicino quando è morto nostro figlio, nel 2001».

Nuove verità che – se prese alla lettera – servono solo a trasformare in menzogne quelle precedenti. Sull’origine della conoscenza fra la famiglia (e Noemi) e il premier («lei era piccola – fa il padre – io le dissi di chiamarlo papi: suonava meglio di «nonno»).

A TUTTO CAMPO
Per giorni Berlusconi ha tolto dal tavolo le sue bugie servendo i media con nuovi argomenti, e i più vari. E banalizzando l’accaduto, riducendolo a gossip con le foto pubblicate dal suo settimanale “Chi” per poi accusare gli avversari di servirsi – appunto – di gossip. Per distrarre l’opinione pubblica ha attaccato a tutto campo. Domenica, allo stadio, ha licenziato Ancelotti in diretta. Ieri si è servito dei mezzi di comunicazione locali, inibiti da cotanto zelo: il presidente del consiglio di questo Paese ha esternato su Radio Radio (frequenza romana che si occupa di sport), sull’emittente televisiva sarda Videolina, di proprietà dell’amico Sergio Zuncheddu, quindi alla capitolina Tv9, su Odeon Tv e infine è intervenuto a Rete 8, televisione teatina a corto raggio d’utenza. Rimestando così dozzinalmente i temi da essere contestato: ai romani ha detto che la città «per lordura sembra una capitale africana» (e ha indispettito Alemanno).

Agli abruzzesi ha promesso un’ampliamento dell’Università, per rilanciarla dopo il terremoto. «Che dice? Ma se dobbiamo razionalizzare i corsi…», lo ha corretto il rettore Di Orio. Perfino su Obama ha azzardato: «A giugno andrò a parlare con lui su ciò che dovremo discutere e votare al G8». Un’uscita solitaria, nessuno alla Casa Bianca lo aspetta, non ci sono conferme di questo vertice a due.

L’ATTACCO E L’ATTESA
Fosse filato tutto liscio, il diversivo, la banalizzazione dei fatti (esemplare, in questo senso, l’intervento di Giuliano Ferrara sul
Foglio, che si sostituisce al premier rispondendo alle dieci domande proposte da Repubblica e canzonando così l’esigenza d’informazione del Paese) sarebbero bastati per scivolare via verso le elezioni. Ma l’intervista dell’ex fidanzato di Noemi costringe il premier a muoversi. Timoroso. L’annuncio di querela della famiglia Letizia verso Gino Flaminio resterà tale: nessun avvocato troverà conveniente trascinare in tribunale la vicenda. E il previsto coinvolgimento della famiglia Letizia (padre, madre, Noemi) è per ora contenuto all’intervista al Mattino.

Berlusconi è un generale arroccato che aspetta di capire l’effetto mediatico degli argomenti avversi. Consapevole che finora la vicenda «è passata su mezzi di comunicazioni lontani dal suo elettorato, come internet e i giornali nazionali», concorda Klaus Davi, esperto di comunicazione. «Il passaggio televisivo è molto blando». Ma è a rischio la tenuta dell’immagine di uomo-famiglia, cavallo di battaglia fin da quando, 15 anni fa, stampò e divulgò in tutte le caselle postali del Paese «Una storia italiana», quella sua e della famiglia. «Può destabilizzarlo Veronica, che ha scatenato la vicenda e poi si è appartata. Una sua nuova reazione consumerebbe il voto femminile, zoccolo duro del consenso del Cavaliere. E poi la Chiesa: se i vescovi si risentissero…». Per Davi, dunque, senza colpi di scena il tono resterà basso. Altrimenti ci sarà sempre un Porta a Porta o un Parlamento da piegare ai propri comodi.

°°° Queste ultime notizie non fanno che confermare quanto sia pedofilo, inaffidabile, e cazzaro questo miserabile ominide. BLEAAAH!

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Drizzone

EUROPEE: BONAIUTI, ALL’UNIONE EUROPEA SERVE UN ‘DRIZZONE’

“Noi vogliamo che l’Ue abbia un peso e un ruolo decisionale maggiore in maniera da tutelare meglio gli interessi dei cittadini”. Lo ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti intervenendo a Radiocity. Per Bonaiuti “il punto di partenza della nostra campagna per le europee e’ dare una spinta favorevole, un sostegno, quello che Berlusconi chiama un ‘drizzone’ all’Europa che e’ in una situazione non facile, siamo 27 paesi perche’ serve che ogni volta tutti siano d’accordo per prendere una decisione”. A giudizio di Bonaiuti, la Ue “si trova priva di una politica estera comune, di una politica di difesa comune, non ha un esercito, non ha una politica di immigrazione ben definita su basi comuni, non ha una politica dell’energia e dell’ambiente”. Per questo “vogliamo che l’Ue abbia un peso e un ruolo decisionale maggiore in maniera da tutelare meglio gli interessi dei cittadini, e questo e’ tanto piu’ importante perche’ all’incirca il 70% delle leggi che incidono gia’ oggi sulla via dei cittadini italiani ed europei sono per l’appunto direttive europee. Ecco – ha concluso Bonaiuti – perche’ bisogna dare una spinta favorevole all’Europa: per favorirla ad assolvere i suoi compiti fondamentali che dovrebbero essere quelli di difendere la liberta’, la democrazia e la pace con un ruolo piu’ forte sulla scena mondiale e al contempo anche gli interessi dei singoli cittadini”.

°°° Da questo compitino delirante è evidente che questo cialtrone non è mai stato nemmeno a Lugano e non sa una mazza dell’Europa. La cosa divertente è che l’Europa e gli europei hanno il vomito quando sentono parlare del suo proprietario. Non solo… mentre tutti i leader europei (e mondiali) guardavano a Prodi per avere indirizzi o appoggi, quando c’è burlesquoni al governo, si incontrano sempre e soltanto tra loro per discutere di tutto, escludendolo tassativamente e ignorandolo. Ci avete fatto caso? Quindi… figuratevi il “drizzone” che può dare il pagliaccio malavitoso più inviso al mondo! Piccolino il calcio in culo che si piglia…

LEADER EUROPEI PREOCCUPATI PER IL “DRIZZONE”

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