LE CALUNNIE DELLA p2

Telekom Serbia, la ‘grande bufala’ va a giudizio

Sfilata di politici, come testimoni, al processo che vede Igor Marini e altre nove persone imputate per la vicenda Telekom Serbia. Valter Veltroni, Francesco Rutelli, Clemente Mastella e Lamberto Dini sono comparsi oggi davanti alla V sezione del Tribunale di
Roma ed hanno negato di conoscere gli imputati. Solo Mastella ha detto di avere incontrato una volta Marini, nella sua casa di Ceppaloni, dove lo stesso si era presentato insieme con la sua allora moglie, l’attrice Isabel Russinova.

I politici erano stati citati (tra loro anche Romano Prodi e Piero Fassino, non presenti oggi in aula) in quanto parti offese nel procedimento che vede attribuiti a Igor Marini una sessantina di episodi ritenuti calunniosi. Si tratta delle rivelazioni fatte sul presunto giro di tangenti che avrebbe scandito la scalata a Telekom Serbia.

Il caso scoppiò nel 2003, quando Marini parlò di una supertangente da 55 milioni di dollari destinata, tra gli altri, a Romano Prodi (che indicò come ‘Mortadellà), Lamberto Dini (‘Ranocchiò) e Piero Fassino (‘Cicognà), attribuendosi il ruolo di «ufficiale
pagatore» e di grande manovratore di fondi estero su estero per conto dell’avvocato Paoletti. I dieci imputati (oltre a Marini, anche Volpi, Romanazzi, De Simone, Paoletti e poi Formica, Perrotta, Persen, Tomic e Watten) sono accusati, a vario titolo e a seconda delle posizioni, di calunnia, auto-calunnia e associazione per delinquere.

Hanno negato tutti di aver mai avuto a che fare con l’operazione Telekom Serbia, Walter Veltroni, Francesco Rutelli, Lamberto Dini e Clemente Mastella, sentiti oggi come parti lese nel processo a Igor Marini e ad altri imputati, e parlano apertamente di un complotto. «È stato un attacco politico e mediatico di non poco conto – ha detto Veltroni durante la sua deposizione – ricordo dei volantini su questa vicenda distribuiti in Campidoglio da esponenti dello schieramento politico avverso«. L’ex leader del Pd ha poi sottolineato con forza: «non ho mai gestito conti correnti all’estero».

Rutelli ha detto di essersi sorpreso all’epoca «dell’enorme impatto mediatico». «In quel periodo ero sindaco di Roma e mi chiesi come mai una storia così totalmente infondata potesse avere rilievo su tv e giornali. Mi auguro che questo incredibile polverone abbia la giusta sanzione penale». Dini ha sottolineato il «notevole danno subito» dalle accuse infondate di Marini. «È stato un complotto per minare il ruolo di Prodi e Fassino. Un danno irreparabile».

I giudici hanno poi sentito un altro testimone, Raffaele Amoruso, già dipendente della società Aeronavale (che si occupava della fornitura di carburanti per velivoli) il quale ha detto di aver perso un milione di dollari che aveva su un conto corrente affidato ad uno degli imputati, Fabrizio Paoletti, nel quadro di un investimento che gli era stato proposto.

°°° Io me lo ricordo benissimo questo “dossier” montato ad arte dalla cosca di Silvio Berlusconi e Cesare Previti (con l’aiuto dei vari Jannuzzi, Cicchitto, Gelli, Ferrara, Farina, e gentaglia simile). Così come ricordo benissimo l’altra bufala: “Mitrokin”. E via via indietro, la bufala della MACROSPIA che mafiolo fece nascondere nel suo studio e armò un casino mediatico infernale. Purtroppo, c’è tante povera gente decerebrata che ci è cascata e ci casca ancora.

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Come si vede…

… non bisogna essere dei politicanti per delinquere: basta essere di destra.

Milano
I superevasori e l’uomo di Marcella Bella:
ventidue milioni sequestrati
Secondo i pm , Merello, marito della cantante, trovava i clienti che volevano esportare denaro frodando il fisco

MILANO — Ventidue milio­ni di euro in una banca di Busto Arsizio su un conto formalmen­te intestato alla società offsho­re «Menaggio Marketing e Ser­vicos Lda» con sede a Madeira: su segnalazione dell’«Unità in­formazione finanziaria» di Ban­ca d’Italia, li ha sequestrati la magistratura di Milano appena uno studio legale svizzero ha or­dinato alla banca di trasferirli di corsa in Lussemburgo. E, so­prattutto, appena un italiano, che in teoria non aveva legami con quei soldi, si è invece mol­to agitato per il fatto che non stessero partendo a razzo verso il Lussemburgo: al punto che, come rileva il giudice Fabrizio D’Arcangelo nella convalida del sequestro preventivo operato dai pm Laura Pedio e Gaetano Ruta, un funzionario della ban­ca testimonia che «rispetto al­l’operazione bloccata Mario Me­rello e suo figlio Giacomo avrebbero esercitato indebite pressioni per dare corso all’ope­razione, addirittura minaccian­do denunce in caso di omissio­ni o ritardi».

Merello chi? Per il mondo del jet-set è l’industriale che l’anno scorso ha battezzato un panfilo da 50 metri con il nome («Marcelita») della sua compa­gna, la cantante Marcella Bella. Per l’anagrafe ha domicilio a Sa­inkt Moritz e residenza a Cara­cas. Per la comunità del busi­ness, è in affari in Svizzera con l’avvocato elvetico Fabrizio Pes­sina e il commercialista Siro Za­noni.

Per chi allena la memoria, è inciampato anni fa con Pessi­na in un insider trading che lo indusse a raggiungere una tran­sazione con la Sec, la Consob americana. E ora rischia d’esse­re la prima «vittima» dei «dan­ni collaterali» inflitti a 180 ita­liani dal computer di Pessina.

Il 2 febbraio, infatti, l’avvoca­to svizzero è stato arrestato — insieme a due ex appartenenti alla GdF passati a lavorare per il primo imprenditore italiano del settore delle bonifiche am­bientali di siti industriali (Giu­seppe Grossi, cliente di Pessi­na) per riciclaggio di 14 milioni di euro (nel frattempo già saliti a 25) provenienti dalla sovrafat­turazione del 30% dei costi del­la bonifica dell’area a Monteci­ty- Santa Giulia, operata dal gruppo Grossi per l’immobilia­rista Luigi Zunino ma con spe­se a carico della Montedison. Si­nora l’inchiesta non è stata in grado di afferrare il filo di even­tuali corruzioni di organi tecni­ci o di dazioni a politici, ma in­tanto ha casualmente imbocca­to un’autostrada parallela spa­lancata dal sequestro, nello stu­dio di Pessina, di un suo com­puter con i dati delle gestioni fi­duciarie dei patrimoni affidati­gli non solo da Grossi ma an­che da almeno altri 180 suoi clienti italiani: per lo più soldi di maxievasori fiscali, secondo uno schema che — stando ad al­tri elementi d’indagine — avrebbe visto Merello raccoglie­re i clienti, il commercialista Za­noni studiare le soluzioni tecni­che per evadere/eludere le tas­se, e l’avvocato Pessina darvi at­tuazione societaria e bancaria. Per paradosso, il sequestro dei 22 milioni è notificato solo a lui perché ufficialmente l’unico de­legato a operare sul conto era Pessina. Che però almeno qui ha un «alibi» davvero di ferro: era già a San Vittore da 2 mesi.

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