MANGERA’ IL PANETTONE?

Marco Damilano per “l’Espresso”

Sa, presidente, Gianni Letta è bravissimo. Mi costa poco meno di Kakà, ma pazienza… Era il 7 maggio, Silvio Berlusconi a colloquio con Giorgio Napolitano al Quirinale si ritrovava a magnificare al solito le qualità del suo sottosegretario: governante eccezionale e per di più, massima soddisfazione, suo dipendente.

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Un mese e mezzo fa, un tempo felice. Oggi Silvio e Gianni sono ancora insieme, ma separati da una invisibile cortina di sfiducia. Alle cene di palazzo Grazioli, il sottosegretario era abituato ad arrivare dopo le nove di sera e ad andarsene intorno alle undici, quando arrivavano le dame e cominciavano le danze.

Negli ultimi mesi, poi, ha deciso di non farsi vedere più neppure nella prima parte della serata: meglio essere prudenti, viste le compagnie non sempre degne di uno statista. Ma nessuno sembrava accorgersi della sua assenza: era ancora la stagione del Berlusconi onnipotente, padrone d’Italia, con il gradimento del 75 per cento degli italiani, almeno nei suoi sondaggi.

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Oggi invece al primo piano di palazzo Grazioli sventola un moscio tricolore, Apicella non suona più, Berlusconi si ritrova in perfetta solitudine nel momento più difficile della sua avventura politica e umana. È un leader politico sotto ricatto, diffidente perfino nei confronti degli amici di sempre, con la corte dei nuovi favoriti pronta a soffiare sul fuoco per scalare posizioni: il deputato-interprete Valentino Valentini, il deputato-segretario Sestino Giacomoni, il deputato-avvocato Niccolò Ghedini. Un uomo sotto assedio, che vede spegnersi la tradizionale buona sorte, l’ottimismo, “il sole in tasca”.

“Si è trasformato in un Re Mida all’incontrario: quello che tocca sporca”, lo dipinge con ferocia chi gli è stato vicino per anni e ora non se la sente più di seguirlo. Dopo aver infilzato a lungo un avversario dopo l’altro, il Cavaliere per la prima volta si sente preda di una caccia grossa, dove sono in tanti a voler sparare il colpo di grazia.

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Nella stretta cerchia dei berluscones le voci si rincorrono. Complotti interni e internazionali: i servizi italiani e il prefetto Gianni De Gennaro (“sciocchezze”, replica un sottile conoscitore dell’ambiente: “Branciforte è una brava persona, Piccirillo è un servitore dello Stato, De Gennaro non ha grandi poteri”), anzi no, la Cia, Barack Obama che si vuole sbarazzare del leader italiano, troppo amico dei russi, scenari alla Ken Follett agitati da un esperto del ramo, Francesco Cossiga. I poteri forti: Berlusconi ha pestato i piedi alle banche, Cesare Geronzi si vendica. Luca Cordero di Montezemolo scalda i motori con l’associazione Italia Futura, pronta a partire il 1 luglio.

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Fantasmi, come quello di una giovane misteriosamente scomparsa dalle parti di villa Certosa. Assurdo? Certo: ma a invocare Wilma Montesi, la ragazza ritrovata morta sulla spiaggia di Capocotta negli anni Cinquanta, è un ministro in carica, Gianfranco Rotondi.

Lo spettro di un 25 luglio berlusconiano: “Alla caduta del Duce ci fu un solo suicida, il direttore dell’agenzia Stefani Manlio Morgagni, oggi chi potrebbe imitarlo? Sandro Bondi?”, scherza macabro un deputato di An.

E le previsioni catastrofiche sul G8 dell’Aquila che avrebbe dovuto consacrare la figura internazionale del Cavaliere: ecco invece le voci di capi di Stato che vorrebbero evitare di farsi fotografare con il premier. E le first ladies che potrebbero disertare l’evento. Anche se, a spaventare davvero il Cavaliere, sono incubi molto più consistenti: l’inchiesta di Bari, i contatti tra l’amico del premier Giampaolo Tarantini e il capo della protezione civile Guido Bertolaso, fronti che potrebbero aprirsi in altre procure, da Firenze a Napoli.

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“Dobbiamo tornare a fare politica. Possiamo finire in molti modi, ma non così”, si dispera fino alle lacrime su un divano del Transatlantico la deputata Beatrice Lorenzin, pasionaria azzurra che è arrivata a Montecitorio dalla militanza nelle borgate romane, il contrario della velina. Non può finire così: con l’inedito duello Silvio-Patrizia, lui sull’house organ ‘Chi’ che da vero signore si vanta di non aver pagato una donna (“non sarebbe una conquista”), lei, la sdoganatrice del termine escort, che lo smentisce via agenzia.

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Con la fila delle ragazze che ostentano farfalline e tartarughe, ognuna con il suo regalino da esibire e una indimenticabile serata con Papi da raccontare. Con l’Italia mai così screditata a livello internazionale, come dimostra il flop della candidatura del ciellino Mario Mauro alla presidenza del Parlamento europeo. Berlusconi ne aveva parlato per tutta la campagna elettorale, il settimanale ‘Tempi’ gli aveva già dedicato la copertina (“Il Presidente”), niente da fare, anche Mauro ha pagato la vicinanza a Silvio, il re Mida all’incontrario.

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La caduta è stata appena bloccata dalla vittoria del centrodestra al ballottaggio per la provincia di Milano, per soli quattromila voti, però, e con il centrosinistra che ha superato la coalizione Pdl-Lega in città. Ma il tritacarne si è rimesso subito in azione. Alimentato dalle ambizioni personali dei tanti che fiutano l’odore dell’animale ferito, la precoce fine del berlusconismo, se non ancora di Berlusconi, dopo appena un anno di legislatura, reclamano il loro pezzetto di eredità, si preparano al dopo. Il più rapido a farsi avanti è stato il ministro Claudio Scajola, con un’intervista al ‘Corriere’.

In apparenza di solidarietà con il premier, in realtà carica di richieste e di condizioni. La più pressante: “Rilanciare il Pdl strutturandosi meglio sul territorio”. Quando hanno letto queste parole in via dell’Umiltà hanno sospirato: “Ci risiamo. Berlusconi è in difficoltà e Claudio si candida alla guida del partito…”. Lo scontento dei parlamentari verso il triumvirato che guida il Pdl non si può più arginare. I due ex Forza Italia, Bondi e Denis Verdini, entrambi toscani di Fivizzano, ex vicini di casa a Roma, in piazza dell’Ara Coeli, non si parlano più, alle riunioni se c’è uno manca l’altro.

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Il terzo del trio, il post-missino Ignazio La Russa, è sbeffeggiato quotidianamente dagli amici di An. “I triumviri o quadriumviri hanno sempre fatto una brutta fine: ai tempi di Mussolini uno è caduto dall’aereo, uno è stato fucilato, un altro è diventato partigiano. Tutte cose che non auguro a La Russa”, ridacchia l’ex capo della segreteria di Gianfranco Fini Donato Lamorte. Di certo, il Pdl, il primo partito italiano, si è rivelato più permeabile di palazzo Grazioli: porte girevoli, gente che va gente e che viene, candidature imbarazzanti, nomi arrivati nelle liste per le elezioni europee o amministrative senza nessuna trafila o competenza.

E a immolarsi per difendere il leader-fondatore dalle accuse delle escort sono rimasti il solito Daniele Capezzone e la coppia dei Beni culturali, il ministro Bondi e il sottosegretario Francesco Giro, il bunker del Collegio romano, li chiamano nel partito. Così in tanti invocano un cambio di rotta immediato: un segretario organizzativo al posto di Verdini-Bondi-La Russa da nominare subito, entro l’estate, una macchina da guerra da mettere in campo subito, per non farsi cogliere impreparati quando arriverà il terremoto politico più sconvolgente degli ultimi anni.

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Le prossime settimane, infatti, decideranno il futuro di Berlusconi. Prima il G8, ad alto rischio flop. Poi le leggi più delicate da varare entro la pausa estiva, a partire da quella sulle intercettazioni approvata dalla Camera e ora in discussione al Senato. Infine, il passaggio più a rischio, la sentenza della Corte costituzionale sul lodo Alfano che impedisce i procedimenti a carico del premier fino alla scadenza del mandato: una bocciatura della Consulta sarebbe letale per il Cavaliere, in una maggioranza dove ognuno gioca la sua partita, come se la legislatura fosse al capolinea e non all’inizio.

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C’è il presidente della Camera Gianfranco Fini, sempre più compreso nel suo ruolo istituzionale. Pronto a passare da un convegno sul parlamentarismo con la tedesca fondazione Adenauer a un incontro a Madrid con il think tank dell’ex premier Josè Maria Aznar, dalla benedizione per l’associazione ‘Italia Decide’ presieduta da Luciano Violante al lavoro sul ‘patriottismo costituzionale’, tra frasi di Habermas, Daherendorf, Piero Calamandrei, Giuseppe Mazzini e Rousseau: “La patria non esiste senza virtù”. Citazione perfetta per un aspirante inquilino del Quirinale, soprattutto ora che il candidato naturale, Berlusconi, su vizi e virtù manifesta qualche segnale di evidente confusione.

Con i suoi interlocutori il presidente della Camera giura di non essere disponibile per eventuali governi istituzionali, in caso di caduta di Berlusconi: la sua strada lo porta verso il Colle più alto, ogni deviazione rischia di allontanarlo dall’obiettivo. Per questo, segretamente, tifa perché Berlusconi resista ancora un po’ al suo posto: un premier ferito, azzoppato, per mandare avanti la legislatura di qualche anno. Non a caso, dopo la polemica sulle veline in lista che provocò la reazione della signora Veronica Berlusconi, il sito della fondazione finiana Fare Futuro è rimasto silenzioso: meglio non infierire ora che il risultato di far precipitare Silvio tra i comuni mortali è stato raggiunto. Mentre l’ex sdoganato Fini, al contrario, sta ascendendo tra i padri della patria.

Silenzio condiviso dall’altro big della maggioranza, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Non ha speso una parola per difendere Silvio. È toccato a un amico, un deputato veneto del Pd, raccogliere il suo sfogo nell’emiciclo di Montecitorio: “Mi parli di federalismo? Ma non vedi che qui sta crollando tutto…”. E in pochi ricordano che la rottura con Berlusconi si è consumata non sulla politica economica, ma su un terreno più politico.

Durante la seduta del Consiglio dei ministri chiamato ad approvare il decreto che avrebbe imposto l’alimentazione a Eluana Englaro, lo scorso gennaio, Tremonti fu l’unico ministro a mettere in guardia sulle conseguenze del provvedimento: “Attenzione, se Napolitano non firma il decreto andiamo dritti allo scontro istitzionale”. Berlusconi non gradì per niente, e da allora Tremonti è entrato nella lista nera dei potenziali traditori. Ma anche in testa ai possibili candidati per la guida di un governo di emergenza nazionale in caso di caduta di Berlusconi, con l’appoggio di Massimo D’Alema e del Pd.

Il favorito a Palazzo Chigi, se la situazione dovesse precipitare, resta però l’attuale sottosegretario Gianni Letta. L’unico in grado di garantire la tregua tra i poteri dello Stato dopo un cataclisma di tale portata. Non a caso Sua Eminenza da Avezzano è finito sotto gli attacchi neppure tanto velati di una parte del Pdl. Fabrizio Cicchitto e Gaetano Quagliariello ne hanno chiesto l’audizione al comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti come responsabile politico dell’intelligence e dunque della sicurezza e della privacy del premier.

“Letta è troppo istituzionale per occuparsi di servizi segreti, qui siamo in guerra, serve un personaggio che abbia la mentalità del militare”, detta un falco ex Forza Italia, esponente della corrente che spinge Berlusconi verso la linea dura e vorrebbe bloccare la strada verso un eventuale governo delle larghe intese, presieduto dallo stesso Letta. Ma sulla reazione allo scandalo delle escort, per la prima volta, gli azzurri appaiono spaccati. Il dopo-Berlusconi non è un tabù, neppure nel Pdl.

C’è chi se la prende con i più scalmanati del governo: “Ministri come Sacconi o Brunetta che in tempi di crisi invocano la spaccatura con i sindacati. Gente che ha i glutei al posto della testa”. E c’è chi invoca il ritorno dei vecchi saggi, i padri nobili, i Pisanu, i Martino, i Pera, da affiancare a Berlusconi: una specie di cordone sanitario, un collegio di badanti per il premier sull’orlo di una crisi di nervi.

Sulla capacità di tenuta di Berlusconi di fronte alla raffica di inchieste, rivelazioni, interviste, memoriali, fotografie, aspiranti ragazze immagine, trans, slave vestite da babbonataline e altri colpi di scena (“la coca, quella no!”, giura un forzista della prima ora, forse per darsi coraggio) si regge la possibilità della legislatura di proseguire. La minaccia di riportare il Paese alle elezioni anticipate, per l’ennesima ordalia, il referendum pro o contro Berlusconi, è sempre sul tavolo, un copione già ripetuto con successo in altre occasioni.

La Lega di Umberto Bossi lo spinge a sfidare i nemici, sicura di sopravvivere al cataclisma, una parte del Pdl lo invita a dare la caccia al traditore interno. Ma il Cavaliere sembra colto da un’improvvisa esitazione, da una malinconia. L’effetto che fanno le luci che si spengono al termine di una festa, come quelle che allietavano il premier al primo piano di palazzo Grazioli. Un’atmosfera deprimente da spettacolo concluso, uno show che si interrompe all’improvviso, un’emozione spezzata. Ma il timore di Silvio è che ora la giostra possa finire anche a palazzo Chigi.

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Splendida OPPO

Silvio-Vespa come Gianni e Pinotto

Dopo lungo addestramento, Berlusconi e Bruno Vespa sarebbero entrati di diritto nella storia delle grandi coppie comiche, alla Gianni e Pinotto, se non fosse che Silvio sbrodola, esce dai limiti, non sta assolutamente nei tempi. Invece Vespa è perfetto nel porgere la battuta; ma poi non ha il coraggio di riprendersela, interrompendo e incalzando per dare alla gag il ritmo giusto, che è il compito supremo di ogni spalla. In più, ci sono i giornalisti in studio che nicchiano, si compiacciono e si scompisciano. È vero che il comico deve cercare la complicità del pubblico, ma, per definizione, il pubblico è pagante e non pagato. E in questo piccolo particolare sta la differenza tra spettacolo e cortigianeria. A peggiorare il tutto, Vespa ogni tanto si ricorda di essere lì per fare domande e cerca di piazzarne una. Così, l’altra sera, ha finalmente tentato l’affondo, chiedendo a bruciapelo: «È vero che Kakà va al Real?». Ma Berlusconi non ha risposto neanche stavolta.

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La fine è vicina

Il RETROSCENA
Dopo l’intervista all’ex fidanzato si studia un cambio di strategia
E dopo la strategia della “non risposta” ora si pensa di replicare
E il Cavaliere furibondo
studia una nuova via d’uscita

di CLAUDIO TITO

ROMA – Far parlare Noemi e la madre di Noemi. Proporre la “verità” delle dirette interessate. Fino a ieri Silvio Berlusconi era convinto che il “caso Letizia” si sarebbe sgonfiato da se. Lentamente, ma pur sempre sgonfiato. L’intervista all’ex fidanzato della ragazza napoletana, però, sta cambiando qualcosa nello schema berlusconiano.

La giornata nera del premier è cominciata ieri mattina con la lettura di Repubblica. Ha iniziato a tempestare di telefonate una parte del suo staff. Da palazzo Grazioli, a Roma, ha chiamato Gianni Letta, ha sentito Nicolò Ghedini e ha parlato con il suo portavoce, Paolo Bonaiuti. Un breve briefing per organizzare la reazione. Il Cavaliere era infuriato. Non si aspettava che la vicenda si arricchisse di un’altra pagina. “È solo gossip. È tutto invenzione – ha assicurato ai suoi -. O meglio, è una manovra del Pd. Pensano di fare campagna elettorale in questo modo. Non possono attaccare il governo – perché non c’è nulla che non abbiamo fatto – e allora vanno sul gossip”.

Se nei giorni scorsi, il presidente del consiglio aveva imboccato la strada della “non risposta”, ieri dunque per la prima ha chiesto un parere sulla necessità di replicare davvero. Non alle dieci domande di Repubblica, ma direttamente all’opinione pubblica. Già l’altro ieri aveva ventilato l’ipotesi di riferire in Parlamento. Una soluzione tramontata nel giro di poche ore. Basti pensare che anche nell’intervista concessa l’altro ieri alla Sicilia, ha preferito tagliare corto: “potrei usare parole di fuoco, aggettivi pesanti, ma non ho voglia di parlare di queste cose. Ci sono argomenti molto più seri, c’è una campagna elettorale per le europee, e di Europa sto sentendo parlare molto poco”. Stavolta, invece, sta lentamente emergendo l’idea di esporre la “versione originale” mettendo il confronto esattamente sui binari scelti da Gino Flaminio. Far quindi parlare le dirette interessate: Noemi Letizia e la madre. Per fornire tutte le spiegazioni che, ripete il premier, sono “personali e pulite”. E per di più appartenenti ad un lontano passato.

Non è ancora una decisione, ma l’inquilino di Palazzo Chigi vorrebbe ribaltare il tavolo. A Via del Plebiscito stanno valutando tutti i pro e i contro. Soppesano i rischi connessi alla scelta di “dare altro spazio al gossip”. Sta di fatto che da ieri qualcosa è cambiato negli orientamenti del premier. E in gioco non c’è una semplice querela. Non è un caso che ieri i suoi giudizi su Repubblica siano stati a dir poco taglienti.
Per ora la svolta non è stata effettuata. Il Cavaliere vuol ancora studiare gli effetti della vicenda sui sondaggi e le eventuali “prossime puntate”. Anche perché la posizione assunta fino a questo momento è stata un’altra. “Tra un po’ – ha ripetuto Berlusconi nei giorni scorsi a molti dei suoi interlocutori – questa storia non interesserà più nessuno. Rimarranno loro a farsi quelle dieci domande. Tanto, non possono avere niente di più perché non c’è niente di più. E allora io continuerò a fare finta di nulla”. Una tattica che ieri ha cominciato a incrinarsi.

Anche perché quel che è accaduto nel pomeriggio a San Siro è stato letto dagli uomini del presidente del consiglio come un ulteriore segnale. Le contestazioni subite in occasione della partita Milan-Roma rappresentano quasi un unicum. Critiche pronte a prescindere dalla sconfitta con i giallorossi. Gli striscioni contro il presidente erano pronti fin dall’inizio del match. Da tempo il Cavaliere non era abituato a questi episodi. La giornata nera di Berlusconi si è chiusa così.

°°° In italiano: Mafiolo si sta cagando in mano e attacca con le sue calunnie solite la poca stampa libera. Rilascia interviste all’estero, dove i giornalisti VERI ascoltano le sue cazzate (“sono stato sempre assolto”) e poi gli ridono in faccia e chiudono i loro servizi con le prove che smontano le falsità di Berlusconi.
Ve lo dicevo io che andava ai matti? Ora regalerà un altro po’ di soldi e di gioielli alle due galline di Casoria per far loro dichiarare il falso, ma saranno appunto MINCHIATE. Il racconto di Gino è suffragato da prove, amici, familiari, foto e testimoni. Impossibile da smontare. Infine… quel pagliaccio del padre di Noemi ieri dice di aver querelato l’ex fidanzato della figlioletta e Repubblica… ma hanno aperto la procura della Repubblica solo per lui, di domenica? CAZZARI!!!

BERLUSCONI PIGLIA UN CAZZOTTONE CHE LO DISFA:

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da Travaglio

Pompe funebri

Don Gianni Baget Bozzo avrebbe meritato necrologi un po’ più somiglianti. Ma, si sa: chi nasce è bello, chi si sposa è buono e chi muore è santo. Ora, che il defunto sacerdote fosse santo, è possibile: le vie del Signore sono infinite. Ma che fosse un «genio» o un «eretico», come l’han compianto in molti a destra al centro e a sinistra (infatti era stato, talora contemporaneamente, di destra, di centro e di sinistra), sussiste qualche dubbio. Il «genio» è stato il cappellano di tutti i peggiori soggetti della I e della II Repubblica: Tambroni (uomo dell’asse Dc-Msi), Craxi e Berlusconi. L’«eretico» fu sospeso a divinis non certo per posizioni irregolari, ma perché si era fatto eleggere due volte eurodeputato nel Psi. Campionissimo di conformismo, fu con la destra cattolica e democristiana negli anni 50, col Pci negli anni del sinistrismo imperante, con Bottino Craxi negli anni 80 della Milano da bere e dell’Italia da mangiare, poi con Al Tappone. Senza dimenticare il flirt manipulitista nel 1992-’94 («Di Pietro impressiona per la sua dignità, il suo riserbo, la sua schietta popolanità. È una persona in cui gli italiani credono, ma in lui come pubblico ministero, come uomo del dovere quotidiano, di cui il paese vive»). Il tipico intellettuale italiano: sempre a corte, sempre dove tira il vento, sempre dalla parte del potere politico e culturale. Diceva, restando serio, di sentire le voci dello Spirito Santo, che lo guidava nel suo zig-zag politico e gli suggeriva concetti del tipo: «Craxi è come Cristo sul Calvario» o «Berlusconi è l’Uomo della Provvidenza». Una prece.

bozzo

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Indietro tutta!

2009
Fotovoltaico: le imprese ci sono, il governo no

In Italia il mercato dell’energia dal sole cresce a ritmi da capogiro, in netta contro tendenza rispetto alla crisi. Gli acquirenti ci sono. Le imprese italiane ci sono. Il governo manca: all’ultimo momento a Verona hanno dato forfait sia il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, che quello dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo. E’ la fotografia che emerge dalla tre giorni di Solarexpo che alla decima edizione – con 64 mila visitatori, nove padiglioni rispetto ai sei dell’anno passato, oltre mille espositori di cui il 35 per cento provenienti dall’estero – si è confermata come la fiera leader a livello europeo.
Con 340 megawatt nel 2008 l’Italia si attesta al terzo posto nel mondo, dopo Germania e Spagna, per quanto riguarda l’installazione di impianti fotovoltaici, superando così Stati Uniti e Giappone. Ma il dato sorprendente riguarda il biennio 2009-2010: sono previsti 1000 megawatt cumulativi entro la fine del 2009 e ben 2000 megawatt a fine 2010, cifre che consentiranno all’Italia di mantenere un ruolo leader a livello mondiale: nel prossimo biennio, fa notare il direttore del Kyoto club Gianni Silvestrini, ci sarà un vero e proprio boom per il fotovoltaico, tanto che dal 2011 potremmo diventarne esportatori.
Insomma l’Italia ha dimostrato ancora una volta una formidabile capacità di ripresa. Negli anni Ottanta il nostro paese occupava un’invidiabile posizione nel campo delle rinnovabili: aveva un tessuto industriale maturo, ottime performance nel fotovoltaico, una ricerca che, nonostante la drammatica carenza di risorse, stava dando risultati concreti. Fu fatta la scelta di non sostenere il mercato dando la prospettiva di una crescita agevolata dall’interesse pubblico. Venne innalzato un muro di difficoltà burocratiche per la realizzazione degli impianti. Si lasciò il timone della corsa in mano ai più lungimiranti tedeschi e poi ai danesi, agli spagnoli e a tutti gli altri concorrenti che hanno potuto contare su un sistema normativo più certo e affidabile.
Adesso siamo partiti per la seconda volta. Per favore, niente sgambetti.

°°° Come vedete, amici, questo è un governicchio di merda sotto tutti i punti di vista. Oltre ad aver scassato l’Italia in soli 12 mesi, sta mettendo una seria ipoteca su un futuro di merda per il nostro malandato paese. Certo che è a dir poco ridicolo pensare a Scajola come al ministro per lo Sviluppo Economico… Scajola, un magnaccetto ebete rimasto alla pietra focaia! Sulla misera Prestigiacoma stenderei una pietosa coltre di cemento armato…

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ECCO CASA STANNO PREPARANDO PER I NOSTRI FIGLI:

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la farsa del mafionano

Berlusconi: «È Veronica
che deve scusarsi con me»

Il premier: «So da chi
è sobillata, il divorzio
potrei chiederlo io»

°°° AMICI, VE LO POSTO TUTTO IL PEZZO DEL CORRIERE, PERCHE’ E’ LA QUINTESSENZA DELLA FALSITA’,DEL MASCHILISMO PIU’ ABBIETTO, E DELLA STATURA MISERABILE DI QUESTO DELINQUENTE:

L’ira del cavaliere: «è la terza volta che mi fa scherzi così in campagna elettorale»
«Veline in lista? No, sono laureate
Ecco la verità sulla festa di Noemi»
Berlusconi: «Veronica è caduta in un tranello, dovrà chiedermi scusa pubblicamente»

Arcore, domenica sera. Una domenica molto diversa da tutte le al­tre. Silvio Berlusconi è amareggiato. «Sono indignato». Ha letto, con sorpre­sa, dell’intenzione di sua moglie di di­vorziare. Prima, afferma, non ne sapeva nulla. «Veronica è caduta in un tranello. E io so da chi è consigliata. Meglio, so­billata. La verità verrà fuori, stia tran­quillo». Presidente, e lei pensa che si possa, come in altre occasioni, riconciliare un rapporto che dura da quasi trent’anni, di cui diciannove di matrimonio? «Non credo, non so se lo vo­glio io questa volta. Veronica dovrà chiedermi scusa pubbli­camente. E non so se basterà. È la terza volta che in campagna elettorale mi gioca uno scher­zo di questo tipo. È davvero troppo».

E i figli? Non dovete pensare ai tre figli, e poi c’è un altro ni­potino in arrivo? «I figli sono solidali con me». «Sa come chiamo io tutto quello che è ac­caduto in questi giorni? Crimi­nalità mediatica». Non esageri, presidente, Repubblica e Stam­pa hanno fatto semplicemente il loro lavoro. E non le dico la mia sofferenza. No, sostiene il Cavaliere che c’è un disegno. Una manovra per metterlo in difficoltà ed esporlo persino al ridicolo, proprio nel momento in cui la sua popolarità è al massimo. E sua moglie ne sa­rebbe diventata complice in­consapevole. «Veronica è sem­plicemente caduta in un tranel­lo mediatico». Sì, ma le veline le avete messe in lista e poi, do­po la lettera di sua moglie al­l’Ansa («Ciarpame senza pudo­re, io e i miei figli siamo vitti­me… ») le avete tolte? «Guardi, direttore, voglio dirlo una vol­ta per tutte, e chiaramente: non avevamo messo in lista nessuna velina e quelle tre che sono state escluse all’ultimo minuto erano bravissime ragaz­ze, con ottimi studi. Altro che veline. Veronica ha creduto al­le tante cose inesatte scritte sul­la stampa, purtroppo».

E le tre ragazze entrate effetti­vamente nelle liste delle candi­dature per le europee? «Lara Comi ha due lauree, ha coordi­nato i giovani del Pdl in Lom­bardia, è dirigente della Giochi Preziosi. Mai andata in tv. Licia Ronzulli è una manager della sanità di altissimo livello, è re­sponsabile delle professioni sa­nitarie e delle sale operatorie del Galeazzi; l’imprenditore della sanità Giuseppe Rotelli la stima molto, va due volte l’an­no in Bangladesh. Barbara Ma­tera è laureata in scienze politi­che, me l’ha consigliata Gianni Letta, è la fidanzata del figlio di un prefetto suo amico. Ecco, ha fatto una parte in Carabinie­ri 7 su Canale 5, ma mai la veli­na. Insomma, mi creda, è una montatura. Parliamo di tre ra­gazze in gamba su settantadue candidati. E che male c’è se so­no anche carine? Non possia­mo candidare tutte Rosy Bin­di... ».

Presidente, e poi c’è la fe­sta napoletana della giovanis­sima Noemi Letizia, alla qua­le lei ha partecipato a sorpre­sa. «Anche qui sono state scrit­te cose inesatte. Le racconto come è andata veramente. Quel giorno mi telefona il pa­dre, un mio amico da tanti an­ni. E quando sa che in serata sarei stato a Napoli, per controllare lo stato di avan­zamento del progetto per il termovalorizzatore, insiste perché passi almeno un attimo al compleanno della figlia. So­lo due minuti, mi assicura. La casa è vicina all’aeroporto. Mi faresti un grande regalo. Non molla. Io non so dire di no. Era­vamo in anticipo di un’ora e ci sono andato. Nulla di strano, è accaduto altre volte per com­pleanni e matrimoni. Pensi che ho fatto le fotografie con tutti i partecipanti, i camerieri, persi­no i cuochi. Le pubblicherà Chi sul prossimo numero perché me le ha chieste quel diavolo di Signorini». D’accordo, pre­sidente, ma perché quella ragazza Noemi la chiama papi? «Ma è un scherzo, mi volevano dare del nonno, meglio mi chia­mino papi, non crede?».

Quell’episodio, dice Berlusconi, è stato mon­tato ad arte. E Veronica avrebbe creduto a mol­te delle versioni, false, sulla serata napoleta­na, domenica 26 aprile, conclusa con un incon­tro con Aurelio De Lauren­tiis. Quella sera il suo Napo­li aveva battuto l’Inter, fa­cendo un favore al Milan nel­l’inseguimento impossibile alla capolista. «Ho ringraziato De Laurentiis che si è fatto per­donare a metà l’eliminazione dalla Champions’ League che ci inflisse, battendoci, nello scorso campionato».

Amareggiato e deluso, Silvio Berlusconi non pensa che que­sta volta sia possibile una ri­conciliazione. Arcore e Mache­rio, dove risiede la moglie, so­no vicine. Gli amici comuni se lo augurano. Basterebbe poco. Una spiegazione franca, come succede fra coniugi. Ma nella domenica quasi estiva di Arco­re l’aria è molto diversa dalle al­tre volte. E il Cavaliere è offe­so. Chi lo conosce bene dice che questa volta, per ricon­quistare Veronica, non andrà di sorpresa al suo compleanno a Marrakesh, avvici­nandola vestito da berbero per poi sve­larsi di colpo con un bellissimo gioiello in re­galo. Ma non si sa mai. Il nostro modesto auspicio è che ciò avvenga. Magari in forma del tutto privata.

(f. de b.)


°°° Una marea di cazzate, amici miei. Come al solito. Noto soltanto due cose che stridono troppo:
a) le “veline” laureate… come lui, che si è comprato persino la licenza elementare? Come la Gelmini, che si è comprata la laurea a Reggio Calabria?
b) Va a Napoli per seguire il termovalorizzatore DI NASCOSTO? Lui, che non va nemmeno a pisciare senza le telecamere? E poi, siccome la villetta di Noemi è vicina all’aeroporto, decide di fare una scappata di DUE MINUTI… però le porta un preziosissimo collier di oro e brillanti… roba che si tiene abitualmente nel cruscotto della macchina… e fa le foto con tutti i cuochi e i camerieri. Dunque… se il papi vero della squinzia è un misero impiegato del Comune – e quindi, come tutti gli impiegati NON RIESCE AD ARRIVARE A FINE MESE… chi cazzo glieli ha pagati i cuochi e i camerieri, per non parlare del resto della festa da Mille e una notte?! Infine, dice AL PAPPONE: ” È la terza volta che in campagna elettorale mi gioca uno scher­zo di questo tipo. È davvero troppo.” Oh, cribbio! Sia la ex moglie che i magistrati lo beccano SEMPRE sotto elezioni… Ma roba da matti! Il fatto è che in questo paese SIAMO SEMPRE sotto elezioni. Ma se tu ti comportassi da UOMO con tua moglie e da persona ONESTA nella vita… nessuno ti romperebbe i coglioni, né sotto elezioni, né mai!
O mafiolo, MA VAI A CAGAREEE!

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