Un bellissimo racconto di mia figlia maggiore per una rivista inglese (Marybel vive a Londra da 30 anni)

Una Giornata Speciale e una Magica Notte

Avevo circa 7 o 8 anni quando abbiamo trascorso la notte a Santa Giusta, con i miei cugini. Vi racconto questa storia come me lo ricordo nella mia mente da bambina, poiché  le persone mi apparivano  giganti e gli oggetti veramente immensi. Santa Giusta era molto piccola, anche nella mia percezione e mio padre era solito scherzare dicendo che avevano una sola scritta sul cartello segnaletico che annunciava allo stesso tempo:  “Benvenuti a Santa Giusta – Arrivederci”.
Questo piccolo villaggio vicino a Oristano in Sardegna è soprattutto rinomato  per la sua Cattedrale Romanica che è molto bella e fu costruita quando la popolazione locale fu aiutata dagli abitanti di Pisa, ma nella mia famiglia questo posto è speciale perché mio padre è nato lì. Santa Giusta era un paese di pescatori con un rinomato stagno ricco di pesci, granchi e arselle di fango. Questo prima che il “progresso” e la stupidità degli uomini inquinassero e depauperasse tutto per avidità.
Il motivo principale per cui ho amavo andare a Santa Giusta è che avevamo la possibilità di vedere lo Zio Francesco e la mia bella Zia Clara e i fantastici figli: Stefano, Luca e il piccolo Massimo. Noi arrivavamo da Cagliari, la capitale della splendida isola del Mediterraneo e, a causa della nostra madre altezzosa e severa,  eravamo tre bambini super protetti, obbedienti e timidi. In contrasto  i miei cugini erano selvaggi, liberi e fragorosi come solo i bambini sanno essere.
Noi vivevamo in un appartamento sterilizzato  in un palazzo signorile, con pavimenti in marmo, mentre loro vivevano in una vecchia casa di famiglia con il tradizionale gabinetto fuori in giardino. Io adoravo quella casa perché, come molti edifici del passato, aveva tanti dettagli carini, come i tre scalini tondeggianti, all’ingresso principale con il portone frontale in legno ad arco e il massiccio,vecchio batacchio. Il carattere del modesto edificio  continuava all’interno con il pavimento scuro di pietra consumata, vecchie foto in bianco e nero alle pareti e mobili in legno fatti a mano. Il mio oggetto preferito nel corridoio era una sfera di vetro con la neve che qualche parente aveva portato da un viaggio a Roma, molto tempo prima. Era la prima volta che ne vedevo una e l’oggetto incantevole diventava ancora più magico grazie all’entusiasmo contagioso esibito dai miei cugini  mentre ci mostravano l’oggetto.
Un altro dei miei ricordi era il cortile rumoroso con i polli, cibo, musica e risate. C’era la catasta di legna da ardere per il camino e due ricche piante di limone e melograno agrodolce. Mio Zio Francesco mi sembrava un semidio perché era molto dolce e bello. Aveva la pelle abbronzata e portava lunghi capelli neri, i baffi e un sorriso permanente sul volto. Aveva l’abitudine di pescare enormi pesci la mattina e suonare la chitarra malinconicamente nella notte e la sua voce era corposa e melodica. Mi piaceva vedere mio padre rilassarsi  con i suoi cugini, comporre nuove canzoni insieme a loro, e sentire il suono pigro del dialetto Sardo Campidanese, mentre diverse auto confluivano  dal parco auto di famiglia portando più canne da pesca, più vino rosso e più bambini.
C’era tanto entusiasmo per noi, perché avevamo tutti le nostre lenzine da pesca personali avvolte intorno a pezzi di sughero locale e c’era un senso di anticipazione su chi avrebbe pescato il pesce più grande di tutti. Nella mia fantasia, ovviamente, ero io, superando tutti gli adulti con un pesce che non ero nemmeno in grado di trasportare dal mare alla riva!
Quando  finalmente arrivavamo  ​​alla spiaggia, eravamo in Paradiso. Il mare di Santa Giusta era la spiaggia lunga e bianca di Abarossa, dove si potevano trovare, proprio scavando nella battigia, arselline saporitissime e arenicole: i vermi che avremmo poi usato come esca. Il primo compito di noi bambini, aiutati dai genitori, era quello di riempire i secchielli con acqua di mare e depositarvi le arselline affinché spurgassero dalla sabbia. La sera, prima di rientrare, mio padre faceva un bel fuoco in spiaggia, utilizzando rami e canne, cespugli secchi e vecchi pezzi di barche; magicamente compariva una padella, olio, spicchi d’aglio e prezzemolo, e si cuocevano le gustosissime arselle, che mangiavamo come antipasto prima di tornare per la cena.

A volte però mio padre si spostava di una decina di chilometri e ci portava a ‘Is Arutas’: una spiaggia particolare tra le rocce con la sabbia bianchissima e grossa come riso, composta da granuli  quarziferi di sabbia e occhi di Santa Lucia. Lì il mare con l’acqua trasparente, che trasforma il suo colore dal bianco, al turchese, indaco, infine,  fondendosi con l’azzurro del cielo, era il mio preferito tra tutti. Mi piaceva l’odore del mare, il sapore del pesce e ancora di più, la sensazione del sole che baciava il mio corpo.

 

Il mio momento preferito della giornata era quando tornavamo stanchi e affamati e Zia Clara e le altre donne cucinavano qualche cosa per la cena. Nel frattempo gli uomini mettevano su un barbecue, bevendo della forte Vernaccia locale e scherzando tra di loro su chi avesse pescato il pesce più grande o migliore. Quando il pesce era enorme, qualche orata, ad esempio, la chiamavano ‘la mia bambina’. Una volta che il cielo si tingeva di rosa e rosso, arrivava il momento migliore. Sedevamo tutti  sul lungo tavolo e, dopo molte portate di deliziosi cibi freschi, Zio Francesco abbracciava la sua chitarra ed era raggiunto dal fratello Tonietto, dalla voce roca e i bei lunghi capelli rosso tiziano. Era una combinazione magica, sole, pesce e buona musica jazzante. La loro band era stata molto popolare in tutta Italia, prima che io nascessi e mi fu dato il nome di una delle loro prime canzoni incise su disco, Marybel.
L’episodio più bello di tutti avvenne quella magica notte in cui ci siamo fermati a dormire li. Le camere da letto erano state arredate in stile semplice e i letti mi sembravano alti come grattacieli. La biancheria da letto ricamata a mano bianco sembrava così preziosa, e Zia Clara era un campionessa maestra nell’arte dell’ uncinetto e aveva realizzato alcuni dei copri letti più incredibili con disegni complicati che abbia mai visto fino ad oggi.
Nel mezzo della notte, durante il sonno, sognando di trascorrere in questa casa  il resto della mia vita, Stefano è venuto a ‘liberarci’. Ci ha svegliati dicendo:
“Andiamo, venite a divertirvi un po’!”
Avevo paura, perche noi non siamo mai stati autorizzati a fare qualsiasi cosa mentre i miei genitori dormivano, ma lui mi rassicurò dicendo:
“Non ti preoccupare, cugi, non lo potranno mai sapere, saremo di nuovo a letto prima che qualcuno si renda  conto che manchiamo.”
Era  così emozionante muoversi e parlare con molta attenzione in modo da non essere scoperti.

Eravamo tutti risatine appena fummo abbastanza lontano da essere in grado di fare un po’ di rumore.

Ricordo di aver camminato una breve distanza e di ritrovarmi in una buia, fredda dispensa. Stefano era così felice:
“E ‘bello qui, non è vero? Cugini, potete avere tutto ciò che gradite “, e ci ha offerto un po’di crema al cioccolato e nocciole. Il cioccolato migliore che abbia mai gustato, direttamente dalla piccola scatola con le dita, così dolce e liberatorio!
Ora zio Francesco canta con gli angeli e vi è una piazza a Santa Giusta che porta il suo nome. Piazza Francesco Salis, Musicista, io vivo a Londra e spero di dare con i miei scritti tanto piacere quanto lui ce ne ha dato a tutti con la sua musica toccante.

 

Marybel Salis

 

 

Marybel Salis è una scrittorice versatile, educatrice, drammaturga, coreografa, attrice, pittrice e attivista dei diritti civili. Marybel è nata nella isola italiana di Sardegna, da una famiglia di attori e musicisti. Lavora per il teatro, la televisione, progetti comunitari e di arte multimediale interdisciplinare.

 

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Il 25 aprile se ne va

RACCONTO  DI UN  NONNO.

“Ci  siamo detti… Bisogna armarsi e nascondersi, colpire e scappare: dobbiamo fare la guerriglia. Mordi e fuggi. Ci armiamo,andiamo sui monti  e cacciamo i nazisti e i fascisti di questo regime maledetto che ha affamato l’Italia.

Dobbiamo assolutamente liberare  l’Italia da questa classe dirigente formata da gerarchetti ignoranti e ladri, da faccendieri che pensano solo a riempirsi le tasche  Basta! “

Si alza un ragazzo e fa: “Ma dai, nonnino, stai facendo un discorso di 65 anni fa! Guarda che siamo nel 2010.”

E il vecchietto: “No, ciccio, quello l’abbiamo già fatto, IO STO PARLANDO DI OGGI!”

TROPPI  GIOVANI  DI  OGGI SONO  ALLA FRUTTA

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Patrizia e le altre

Patrizia e le agendine sui viaggi a Roma
“Sono stata da lui con un’amica modella”

di CARLO BONINI (Repubblica)

Patrizia D’Addario
e Silvio Berlusconi

patri

BARI – Chi è Patrizia D’Addario? E racconta il vero sulle due serate che nell’ottobre e nel novembre del 2008 l’avrebbero vista professionista pagata nei saloni di Palazzo Grazioli? Un racconto, si scopre ora, che aveva cominciato a condividere con un amico due mesi fa. Con parole – ricorda lui, chiedendo l’anonimato – che suonavano così: “Lo sai che sono stata a casa di Berlusconi con un’amica modella?”.

In attesa del riscontro investigativo di un’istruttoria ai suoi primi passi che di ragazze, con Patrizia, ne conta cinque, c’è una sola strada. Incrociare il suo racconto di oggi con la parabola di una vita complicata che, nel tempo, ha lasciato tracce nelle stanze della questura, negli uffici della Procura della Repubblica, nei salottini del “Gorgeous”, negli studi di posa fotografica, nelle strade delle periferie di san Girolamo e Carbonara.

Perché c’è un prima che forse spiega il dopo: i 2000 euro pattuiti a Roma all’hotel de Russie con l’imprenditore Gianpaolo Tarantini “per una notte con il premier”; la improbabile candidatura proposta da Tato Greco nella lista “La Puglia prima di tutto” di Raffaele Fitto; la decisione di “registrare tutto” di quei due viaggi a Roma prima di rovesciare il tavolo per non aver ottenuto quel che aveva chiesto. “Lo sblocco di una licenza per edificare un residence” sui terreni di proprietà della famiglia.

Raccontano dunque che quando, a 14 anni, Patrizia, nata il 17 febbraio del 1967 a Bari, lascia la casa dei suoi genitori e dei suoi due fratelli (ne perderà uno), in testa ha due passioni. L’uomo che ha deciso di seguire e la magia. Del primo si libera presto. Della seconda, a quanto pare, no. Ai suoi amici, nel tempo, racconta di aver lavorato con David Copperfield (famoso illusionista) e il mago Alexander. I suoi abiti virano regolarmente sul nero. E il suo modo di misurare gli altri e quel che le accade ha sempre un fondo di misterico.

Qualcuno la prende per una sbandata. Anche perché la sua vita, quando di anni ne ha 31, si complica. Ha una figlia da un imprenditore da cui presto si separa. Una bimba che oggi ha 11 anni e vive con lei e la nonna. E che con lei condivide il momento forse più doloroso della sua esistenza. Patrizia è diventata infatti la compagna di un tipo che, al quartiere san Girolamo, conoscono come “Spaghetto”. Fa il movimento terra nei cantieri edili. E fa dell’altro. Patrizia ha la forza di denunciarlo, farlo arrestare e condannare per sfruttamento della prostituzione (l’uomo sarà rimesso in libertà con l’indulto). Ed è qui – raccontano oggi nelle stanze della Questura e negli uffici della Procura – che qualcosa o, forse, molto, cambia.

Patrizia comincia a frequentare la “Bari che conta”. “Escort” senza mistero di esserlo, dicono di lei in modo spiccio. La si vede spesso al “Gorgeous”, il locale notturno il cui proprietario, Roberto Trione, è amico personale di Raffaele Fitto. Fa qualche apparizione su “Telenorba”. Si propone a “Tele Bari”. Racconta agli amici di aver girato degli spot per la “Coca Cola”, tanto che, per un periodo, si fa chiamare “Coca”. Di fatto si sceglie anche un nome d’arte: Patrizia Brummel e con questo appare in un calendario e nei book che mette insieme negli studi di alcune agenzie fotografiche in città.

E’ un glamour di provincia il suo, che sogna altri palcoscenici. Appare come presentatrice in una serata benefica del 2006 sul palco di villa Romanizzi Carducci. E, per un periodo, risulta socia amministratrice della “Stadium Pictures”, società in nome collettivo che ha come ragione sociale “Produzioni cinematografiche e video” e che verrà messa in liquidazione e cancellata dal registro delle imprese il 28 aprile del 2000.

Ma è anche un glamour che si sposa a un’ossessione personale, coltivata – a quel che raccontano magistrati e poliziotti che con lei hanno avuto a che fare prima di questa vicenda – con precisione maniacale: annotare quotidianamente ogni dettaglio della sua giornata, dei suoi incontri, dei suoi colloqui. La prova se ne ha due anni fa, 2007. Viene trovato il cadavere di Marisa Scopece, una giovane prostituta di cui Patrizia è amica. Lei si presenterà al magistrato con quattro pagine di appunti manoscritti in cui sono ricostruiti gli ultimi giorni della ragazza.

Non deve sorprendere, allora, che Patrizia, oggi, conservi le ricevute dei biglietti aerei dei due voli per Roma che, ad ottobre e novembre dello scorso anno, l’avrebbero portata a Roma per il “lavoro” a Palazzo Grazioli. Né che annoti i nomi delle ragazze che con lei avrebbero condiviso quell’esperienza (una sarebbe un'”amica modella”). O quelli dei due hotel dove soggiorna per l’occasione: il “Valadier” e un albergo in via Margutta.

Né dovrebbe sorprendere lì dove racconta di “avere la registrazione dei due incontri” con il presidente del Consiglio (audio o video, non è chiaro). “Perché – riferisce una fonte in Questura – quello era il sistema che usava. Documentava tutto. Sempre. Qualcuno sostiene girasse con una piccola telecamera nella borsa. Anche quando, e accadeva spesso, veniva per denunciare soprusi di cui sarebbe stata vittima”. L’ultima volta, il 15 maggio, per “uno strano furto in casa”. Dopo aver accettato la candidatura alle comunali con la lista “La Puglia prima di tutto”.

°°° Lo squallore di burlesquoni, sedicente uomo più potente d’Europa, non ha limiti. Pagare per avere a disposizione delle escort… lui che ha fatto un puttanaio di zoccole pronte a tutto delle televisioni e del parlamento.

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“Adesso parlo io…”

IL RACCONTO. “Al mattino c’è freddo, poi dopo due ore di sole non si respira più
Il dirigente della Protezione Civile: “Vivere così per molti mesi è difficile
E la tendopoli diventa un incubo
“Non resistiamo fino all’autunno”

dal nostro inviato JENNER MELETTI

E la tendopoli diventa un incubo “Non resistiamo fino all’autunno”
L’AQUILA – Sta all’ombra corta dei salici, sul piazzale di cemento. “Siamo appena a maggio e la tenda è già un forno. Questa estate saremo come San Lorenzo, sulla graticola”. Claudio Bartolini, pensionato Telecom, è uno dei 33.457 aquilani che, un mese dopo il terremoto, vivono in tenda e non sanno assolutamente quando potranno uscirne. “Al mattino c’è freddo e dopo due ore di sole in tenda non si respira più. Si sta qui e si aspettano notizie che non arrivano. Nessuno ti sa dire come sarà il nostro futuro”. Tendopoli Italtel 2, si montano altri gabinetti chimici. Un signore arriva in macchina. “Ho portato mia moglie in una pensione al mare. Non c’è servizio cucina, ci facciamo da mangiare noi. Ma a 70 anni in questi gabinetti strani non riusciva più a entrare. Rischiava un blocco intestinale”. Tendopoli di Collemaggio, nel prato della basilica di Celestino V. “In tenda sembra di essere sulle sabbie mobili. Quando le hanno montate c’era già l’erba alta e con la pioggia e il primo caldo è marcita. Sotto c’è una gran poltiglia, c’è una puzza tremenda”.

Non è facile vivere nelle città di tela. I primi giorni te la cavi, perché hai ancora dentro la grande paura. Qui, se la terra trema, non ti cade nulla in testa. C’è il caldo della stufetta, ci sono i maccheroni e le cotolette preparati dai volontari. “Un mese dopo – dice Claudio, imbianchino che non trova più case da dipingere – ti chiedi: mi sembra di avere già passato una vita qui dentro e sono passati solo 30 giorni. Come farò a restarci, se va bene, fino all’autunno?”. Nella tendopoli di piazza d’Armi ci sono cartelli che fanno capire quali saranno i problemi dei prossimi giorni. “Giovedì alle ore 23,30 sarà effettuato un trattamento anti zanzare e altri insetti. Siete invitati a chiudere le finestre e gli ingressi delle tende”. Ancora c’è tanta neve, sul Gran Sasso e sul Silente, ma il caldo fa già paura. In altri terremoti le tende sono state usate solo nella prima emergenza. Presto sono arrivate le roulottes e poi le casette prefabbricate. C’erano i gerani, nelle case di legno di Colfiorito in Umbria, e chi vi abitava ha potuto vivere con dignità i due o tre anni necessari alla ricostruzione della sua casa.

Qui si è deciso che invece si aspetteranno le case “vere”, sia pure prefabbricate. Sei mesi almeno di attesa, ma poi si scopre che i soldi saranno dati in parte quest’anno e in parte nel 2010. Qualcuno dovrà aspettare quasi due anni in tenda. “Vivere così per molti mesi – dice Demetrio Egidi, direttore della Protezione civile dell’Emilia Romagna, che guida piazza d’Armi – è senza dubbio difficile. Le tendopoli resistono solo se hanno numeri non altissimi. Bisogna ridurre le presenze altrimenti si rischiano tensioni. Si litiga in un condominio con tutti i confort, immaginiamo in una tendopoli”.

Nei primi giorni dopo la scossa ci furono quelli che Stefania Pezzopane, presidente della Provincia, chiama “i fuochi artificiali”. “Facciamo questo e facciamo quello, disse il governo, e tutto sembrava risolto. Adesso scopriamo che i soldi saranno dati con il contagocce e fino al 2032. Forse mia figlia potrà vedere la nostra casa ricostruita”. Oggi all’Aquila l’entusiasmo per il governo sembra un ricordo. “Bisogna togliere peso alle tendopoli”, dice la presidente. “Il progetto è semplice: chi ha la casa agibile, deve rientrare. Ma quasi tutte le agibilità sono date a una condizione: effettuare alcuni lavori. C’è un pilastro da rafforzare, c’è una scala da sistemare… Fai presto a spendere venti o trentamila euro. Ma per questi interventi nel decreto – noi lo abbiamo denunciato assieme ai sindaci tre giorni fa – non c’è nemmeno un soldo. E allora si rischia di avere tendopoli di massa fino all’inverno e anche oltre. Ci siamo confrontati con chi ha vissuto altri terremoti. In Irpinia hanno pagato anche le suppellettili e le bottiglie di vino rotte in cantina. Noi non vogliamo questi eccessi. Però diciamo una cosa: siamo abruzzesi fieri ma non stupidi. Le case debbono essere pagate al 100%, come avvenuto in Friuli e in Umbria. Se non paghi tutto, molti non riusciranno a ricostruire le loro abitazioni. E così, queste che verranno costruite in prefabbricato, diventeranno case che non saranno più abbandonate. Ci troveremo l’Aquila 2, l’altra città”.

Un mese dopo, la cosa che più colpisce, nelle strade dell’Aquila, è l’assenza di sirene. Nei primi giorni erano la colonna sonora costante e non servivano a nulla, perché cento sirene annullavano le altre cento. Non c’è il terrore delle prime ore ma i volti restano tesi e molti sguardi vuoti. I vecchi, nelle tendopoli, hanno ormai il loro posto fisso, su una seggiola o su una panchina, come facevano in paese. La notte gelata e il giorno che scotta hanno fatto aumentare bronchiti, broncopolmoniti e attacchi d’asma. Per sorridere bisogna entrare nelle scuole sotto i grandi tendoni bianchi. Sono bravissimi, i bambini. Attorno a tavoli diversi ci sono i piccoli della materna e quelli delle elementari che disegnano o studiano e parlano sottovoce, in queste classi senza pareti. Ci sono i clown come Tric Trac che al mattino sono disoccupati e allora vanno a fare compagnia agli anziani. “I pagliacci – dice Gina – non li avevo mai visti dal vivo. Quando ero piccola arrivava il circo ma noi non avevamo i soldi”.

All’inizio di via XX Settembre, come ogni mattina, c’è la fila di chi aspetta i vigili del fuoco per essere accompagnato per la prima volta nella casa abbandonata il 6 aprile. “La mia casa – dice Anna Rita – ha i pilastri tutti storti. Avevo comprato l’enciclopedia Treccani, per i miei figli studenti, e l’ho vista ridotta in poltiglia, distrutta dalle pietre e bagnata dall’acqua entrata dalle finestre aperte. Per un attimo ho guardato fuori. C’erano altri balconi, di fronte. Erano pieni di bambini. Ho visto solo macerie. Per fortuna il vigile mi ha detto che non potevo restare ancora. Mi sarei messa a piangere”.


°°° Ecco come muoiono i “fuochi d’artificio” del cazzaro imbroglione. Si fa cento passerelle propagandistiche in Tv, a reti unificate, spande merda e deliri, la povera gente ci casca… passa un mese è NON E’ SUCCESSO NIENTE! La gente disperata e preoccupata per l’oggi e per il domani. Ma il cazzaro va a Porta a porta a insultare la moglie, i figli e gli italiani tutti. Non sta zitto un attimo però… ADESSO PARLO IO, titola l’insetto viscido coi nei, mentre para il culo al padrone.

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