Ma che bello!

Una lettera al giornaletto sardo, destronzo, ovviamente (di dell’utri).

Maurizio Tidu
Cagliari
La maggior parte degli italiani dotati di buon senso
rimane allibita di fronte al proliferare delle ronde,
siano esse padane, parafasciste o di cittadini impauriti.
Queste ronde dovrebbero garantire maggiore sicurezza
ai nostri concittadini, un maggiore controllo del
territorio e stimolare il senso di appartenenza a questo
Stato che troppo spesso sentiamo lontano dai nostri reali
bisogni. Osservando la nascita della nuova Guardia Nazionale
voluta dal nuovo MSI “rifondato” dal signor Gaetano
Saya sorge spontanea una domanda: qual è il posto
giusto per questi volenterosi tutori della nostra sicurezza? A
mio avviso non tanto la ronda stradale, quanto i banchi di
una scuola elementare. Questi signori, che giurano sulla
Costituzione della Repubblica, dovrebbero invece ripassarla.
Salta all’occhio infatti un macroscopico errore che chiunque
avrà notato: nelle loro divise la bandiera italiana è riportata
al contrario rispetto a quanto previsto dalla nostra Costituzione
che all’articolo 12 prevede “La bandiera della
Repubblica è il tricolore italiano:verde, bianco e rosso, a tre
bande verticali di eguali dimensioni”. Non quindi il rosso
bianco e verde, come ben si può notare nelle foto e nei
filmati facilmente reperibili su internet…. Talvolta capita,
quindi, che qualcuno abbia un forte senso dello Stato senza
avere un minimo di senso del ridicolo…
LA NUOVA GUARDIA NAZIONALE NON RASSICURA I CITTADINI
Mandiamo le ronde a scuola

°°° Voglio fare davvero i complimenti a Maurizio per questa bella prova. Mi rinfranca sapere che i sardi non sono quasi tutte scimmiette.

SARDEGNA, MADRE INDEGNA:

mere_indigne

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Amici, perdonatemi

Ma non ne posso più di queste scimmiette sardegnole che inneggiano al mafionano. Oggi sono andato dal Gemellino a prendere un po’ di prosciutto, che lui fa con maiali sani di qui, ma manda a maturare nella ventosa Esterzili: una vera bontà… dico una battuta su Mafiolo e salta su una carampana – una della famiglia Addams, sorella di quella che ruba soldi ai deportati (che qui chiamano “turisti”) con una cagata di casa vecchia con tre foto sgranate e due carabattole… ma si chiama, con la complicità della gang del sindachetto inutile: “CASA MUSEO”… nessun permesso, nessuna licenza, niente tasse… e mi ha pure rubato quattro metri quadri di terra del giardino per un bagnetto, che avevo fatto costruire alla quasi centenaria padrona, 20 anni fa, con l’intesa che alla sua morte gli eredi avrebbero chiuso la porta della sua parte e ne avrei aperto una io A CASA MIA per farci la legnania. Bene, torno qui dopo 11 anni di assenza e mi trovo questa “casa museo dei miei coglioni” con questo cesso arrogante (non il bagnetto, quella brutta) che al mio “Scusa, ma guarda che questo bagnetto è mio. Ho fatto una cortesia a tzia Carmela perché non ne aveva e non poteva andare in campagna a fare i bisogni, ma lei è morta da dieci anni, quindi…” il mostricciattolo salta su con uno splendido: “Vaffanculo! Io ho comprato la casa e quindi anche questo bagno è mio.” “Un par de cazzi. Ora lo butto giù.” Il mio avvocato dice che se lo distruggo passo dalla parte del torto e siamo quattro anni così. Io la piglierei a calci nel culo, la megera orrenda, con suo marito scemo e i due figli che – dicono – sono loro. Ma sono troppo buono e gentile. Quindi… dal macellaio salta su la sorella e sbraita: “Sempre i soliti voi comunisti! Saltate addosso a Berlusconi per qualunque stupidaggine!”
“No, cara. – le ho risposto affabile – Non è una stupidaggine corrompere giudici, finanzieri, e testimoni. Sono reati che ti mandano in galera a vita in qualunque nazione civile… ho detto civile?… ah, certo: che cazzo ne sapete voi scimmiette di cos’è CIVILE?” e me ne sono andato.

scimmie

ber-galera1

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le minchiate di tvemonti e mafiolo

IL FEDERALISMO SECONDO TREMONTI
di Maria Cecilia Guerra 05.05.2009

Approvata definitivamente la legge delega sul federalismo fiscale, resta ora la partita della sua attuazione. Ed è tutta da giocare perché i principi contenuti nella delega sono molto generali e possono dar luogo a esiti assai differenziati. Come correttamente ci ricorda il ministero dell’Economia, la completa riscrittura della struttura della spesa e delle entrate pubbliche auspicata dalla legge manca ancora sia dei supporti fondamentali di conoscenza sia delle scelte politiche che ne caratterizzeranno il mix finale fra autonomia e solidarietà nazionale.

L’approvazione definitiva della legge delega sul federalismo è stata accolta dall’esultanza della Lega in Parlamento (“una giornata storica”). Molto più cauta la reazione della stampa: “che cosa succederà adesso?” È impossibile al momento prevederlo: i principi contenuti nella delega sono molto generali e possono dar luogo a esiti molto differenziati. Come più volte è stato sottolineato anche in questo sito,l’esame dei possibili effetti della delega manca poi di un supporto cruciale: l’analisi quantitativa delle poste in gioco.
Per capire quanto la partita del federalismo sia ancora tutta da giocare, è interessante leggere la sintetica analisi proposta dalla Ruef – Relazione unificata sull’economia e la finanza pubblica alle pagine 160-162, di cui riportiamo alcuni stralci (in corsivo), con alcune sottolineature (in grassetto).

UNA PREMESSA

La Ruef premette che “Il processo di quantificazione finanziaria degli aspetti connessi all’attuazione del federalismo fiscale, in relazione al testo del disegno di legge delega (…) si presenta come un’operazione oggettivamente molto complessa e ciò anche in considerazione dell’incertezza del relativo quadro di riferimento. Ne deriva che non è possibile determinare ex ante le conseguenze finanziarie dell’intero processo, a causa dell’elevato numero di variabili che dovranno essere definite in sede di redazione dei decreti legislativi di attuazione”.

CLASSIFICAZIONE E DEFINIZIONE DELLE FUNZIONI DELLE REGIONI E DEGLI ENTI LOCALI

Un primo problema riguarda la definizione e la classificazione delle funzioni delle regioni e degli enti locali. La delega sul federalismo prevede infatti che mentre per i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) erogate dalle regioni (e che interessano campi rilevanti quali la sanità, l’istruzione e l’assistenza) e per le funzioni fondamentali degli enti locali deve essere previsto il finanziamento integrale del fabbisogno standard, per le altre funzioni regionali e degli enti locali il finanziamento deve avvenire principalmente con entrate proprie, assistite da un fondo di perequazione che elimina solo in parte le differenze fra le capacità fiscali dei diversi territori. In altre parole, per Lep e funzioni fondamentali si cerca di assicurare, attraverso un finanziamento adeguato e una perequazione delle risorse che tiene conto delle diversità nei bisogni, una certa omogeneità di offerta sul territorio nazionale, per le altre funzioni invece gli spazi di autonomia e differenziazione sono molto più ampi.
Ma la Ruef ci ricorda che:“Non risultano agevolmente individuabili le specifiche attività amministrative da ricondurre alle funzioni di competenza delle regioni e degli enti locali, né è chiaro quali attività amministrative siano da ricondurre ai livelli essenziali delle prestazioni per le regioni e quali alle funzioni fondamentali per gli enti locali”.
Più in particolare, secondo la Ruef, l’individuazione dei Lep è “una scelta di definizione degli standard minimi di servizio che, oltre agli aspetti tecnici, potrà riflettere anche più ampi obiettivi di politica economica. Tale valutazione non potrà che aver luogo in sede di confronto tra i rappresentanti dei livelli istituzionali interessati all’attuazione del federalismo fiscale”.
Per ora quindi se ne sa poco o nulla. La delega non detta nessun principio per la definizione di tali livelli, in quanto essi non saranno oggetto di un decreto attuativo ma dovranno essere definiti con legge dello Stato. L’unica cosa che il Mef sembra dare per acquisita è che si tratta di standard minimi: lo slittamento semantico, da livelli “essenziali” a livelli “minimi”, non può infatti essere casuale, dopo un dibattito che dura orami da un decennio sulle diverse implicazioni, in termini di riconoscimento dei diritti di cittadinanza, dell’una o dell’altra definizione.

CLASSIFICAZIONE E QUANTIFICAZIONE DEI TRASFERIMENTI ERARIALI

La delega prevede la soppressione dei trasferimenti erariali esistenti e la loro sostituzione con compartecipazioni o tributi propri. Poiché però i trasferimenti attuali servono per finanziare tipologie di spesa diverse che, come si è detto, con l’attuazione del federalismo fiscale saranno assistite da garanzie di copertura finanziaria differenziate, occorre “una puntuale identificazione delle finalità per le quali tali trasferimenti sono attualmente erogati e delle loro fonti di finanziamento. Si tratta di un’operazione che dovrà realizzarsi in un contesto caratterizzato da una serie di finanziamenti senza vincolo di destinazione o destinati ad interventi molto specifici nei singoli territori, rendendo così impegnativo ricondurre i medesimi trasferimenti ad una delle tre tipologie (Lep, non Lep e interventi speciali) previste dal disegno di legge”.

SUPERAMENTO DEL CRITERIO DELLA SPESA STORICA A FAVORE DEI COSTI STANDARD

La delega richiede che la quantificazione dei fabbisogni di spesa per i Lep e per le funzioni fondamentali avvenga con riferimento ai costi standard per la loro erogazione. Per valutare tali costi è indispensabile conoscere, quantomeno, la spesa storica per ciascuna funzione. Le informazioni finanziarie di base dovrebbero essere rilevate dai bilanci dei diversi soggetti istituzionali. A questo proposito, però, la Ruef ci ricorda che “i bilanci regionali risultano fortemente disomogenei e scarsamente confrontabili, mentre i bilanci degli enti locali sono classificati secondo uno schema omogeneo e sono oggetto di rilevazione da parte del ministero dell’Interno. Anche per questi ultimi, in ogni caso, si rileva una certa disomogeneità delle metodologie contabili adottate, per ciò che, in particolare, attiene l’applicazione della classificazione funzionale e il diversificato ricorso alle esternalizzazioni dei servizi”.

I COSTI DEI SERVIZI ESTERNALIZZATI

La delega prevede infatti che, ai fini della determinazione del fabbisogno finanziario, si tenga conto della spesa relativa a servizi esternalizzati, o svolti in forma associata, per la rilevante incidenza che tale fenomeno ha presso gli enti territoriali. “Un elemento di criticità deriva dal fatto che non sono disponibili bilanci consolidati degli enti locali e delle loro società ed aziende partecipate, per cui non risulta possibile definire con precisione il livello di spesa pubblica degli enti territoriali. Inoltre, nei casi in cui gli enti hanno esternalizzato anche le fonti di finanziamento, i bilanci sono ancor meno rappresentativi delle attività svolte a livello locale”.
Insomma, come correttamente ci ricorda il Mef, la completa riscrittura della struttura della spesa e delle entrate pubbliche auspicata dalla delega sul federalismo manca ancora sia dei supporti fondamentali di conoscenza sia delle scelte politiche che ne caratterizzeranno il mix finale fra autonomia e solidarietà nazionale.

tvemonti_sfiga

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