Berlusconi, gangster impunito

In arrivo la norma che cancella tutte le prove
di Claudia Fusani

Il delitto perfetto esiste. Basta avere molta fortuna. Oppure essere molto abili nel cancellare scientificamente ogni prova e ogni indizio. Non solo quelli lasciati sulla scena del delitto ma anche ogni collegamento o riferimento possibile. Ecco, la vicenda giudiziaria del premier Silvio Berlusconi assomiglia molto al tentativo lucido, costante, scientificio di cancellare ogni prova e indizio. Una bonifica a prova di Ris. O di Csi.

Fiction televisive a parte, la via maestra per il Presidente del Consiglio sarebbe sempre la stessa: farsi processare, accettare il giudizio dei giudici e poi sbandierare le sentenze. Quali che siano. Come ha fatto il senatore Giulio Andreotti, non l’ultimo nome nella storia della Repubblica. Lui invece fugge dai processi, impazzisce quando gli si parla di toghe e magistrati e continua a mettere la sua vita al riparo della giustizia grazie alle leggi ad personam, le norme studiate a tavolino proprio per blindarsi rispetto ad inchieste, sospetti e accuse.
Se la madre delle leggi ad personam è stato il lodo Alfano (impunibilità delle quattro più alte cariche dello Stato, luglio 2008) per cui Berlusconi è uscito dal processo dove era coimputato con l’avvocato inglese David Mills, l’inizio è stato nel 2001 quando, appena insediato a Palazzo Chigi fece approvare la norma che di fatto depenalizzò il falso in bilancio (all’epoca c’erano un paio di processi incardinati con questa ipotesi di reatoprocessi,incardinati,reato,rogatorie,internazionali,conti esteri,Previti,Squillante,dimezzò,termini,prescrizione,). Nel mezzo c’è una lunga lista: dalla legge che ha modificato le rogatorie internazionali (2001) per cui divennero inutilizzabili le dichiarazioni sui conti esteri di Previti e Squillante; alla ex Cirielli (o salva Previti, 2004) che dimezzò i termini di prescrizione del reato così che l’ex ministro della Difesa e avvocato del premier evitò la conferma in appello delle condanne a 16 anni per tre corruzioni giudiziarie (Imi-Sir, Lodo Mondadori, Squillante). L’operazione non è ancora conclusa.

Nell’obiettivo di bonificare, cancellare, ripulire – perché in fondo se il premier “cade” sul caso Mills e diventa corruttore è come tirare un filo e sciogliere tutto il gomitolo che imbozzola la sua purezza di leader nonché di vittima del sistema giudiziario – il governo ha approvato a dicembre un complesso di norme che modificano il codice penale e di procedura. «La riforma della giustizia per assicurare più velocità nei processi e più certezza della pena» fu l’obiettivo dichiarato. Bene. Ecco come l’articolo 4 di quel pacchetto di norme (32 in tutto) interviene nel nostro sistema giudiziario. Il secondo comma di quella norma prevede che una sentenza passata in giudicato «non possa più essere acquisita ai fini della prova». Significa che le sentenze passate in giudicato, e quindi definitive, non potranno più essere utilizzate come prova anche in processi diversi. Significa che ogni volta si dovrà ricominciare da capo e non avere mai nulla di acquisito, Neppure se ha il certificato massimo della Cassazione. Significa che quando, e se mai, Berlusconi dovesse essere processato con l’accusa di corruzione per le tangenti alla Fininvest, quando non avrà più lo scudo del lodo Alfano, la sentenza del suo ex coimputato Mills, quella che ci dice che l’avvocato inglese ha mentito per tutelare il premier e la sua azienda, non potrà essere utilizzata come prova.

Sfugge, francamente, come questa modifica possa accellerare i processi e i tempi della giustizia. Anzi, semmai avverrà il contrario.
La Commissione Giustizia del Senato sta valutando in questi giorni il disegno di legge. Luigi Li Gotti, penalista, ex sottosegretario alla Giustizia, ora senatore per l’Idv, non ha dubbi: «E’ un’altra legge vergogna, che serve al premier».

Pulire, bonificare, annullare. Togliere di mezzo ogni possibile indizio. O rischio. Nello stesso pacchetto di norme diventano molto più severi i motivi di ricusazione del giudice: basta che abbia, anche solo una volta, detto qualcosa, «formulato un giudizio sulle parti del processo», e sarà obbligato ad astenersi. Sacrosanto, ma la norma è talmente generica che sembra diventare possibile ogni tipo di ricusazione. In pratica, passa il principio che si possa essere giudicati solo da chi è gradito all’imputato. E se l’imputato è un boss di mafia?

Ecco perché sarebbe tanto più semplice per il nostro Presidente del Consiglio rinunciare agli scudi e accettare il processo. Sarà sicuramente innocente, come sostiene. E almeno non se ne parla più.

°°° Certo, innocente come hitler e lo squartatore di Boston. Stampatevi questo pezzo tenetelo in tasca, pronti a sputare in faccia qualunque scimmietta che si permetta di ripetere la solita, vecchia, balla: “E’ SEMPRE STATO ASSOLTO!” UN CAZZO, NON è stato MAI assolto… si è fatto fare le leggi per non finire in galera. Cosa che ripetiamo da 15 anni.

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Castelli, un pirla in malafede

Il governo attacca anche nel giorno dei lavoratori

Nemmeno nel giorno in cui si festeggiano i lavoratori e si ricordano i troppi morti per incidenti il governo riesce ad essere rispettoso. Secondo il sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti, il leghista Roberto Castelli, si esagera con il conteggio dei morti sul lavoro. Secondo l’ex ministro «serve un’operazione verità sul numero delle vittime degli incidenti sul lavoro. Bisogna depurare le cifre dei morti sul lavoro. Bisogna smettere di far credere che i morti in incidenti stradali verso e dal luogo di lavoro siano legati al problema della sicurezza sul lavoro – sostiene Castelli in una nota -. Non capisco perché le associazioni degli imprenditori accettino questa ipocrisia, che ci mette ingiustamente in fondo alle statistiche europee». Il ministro non capisce perché chi lavora in condizioni non idonee, senza tutele, magari in nero e per orari molto superiori a quelli consentiti possa perdere il controllo dell’auto tornando a casa. Non lo capisce e ci tiene a farlo sapere proprio il Primo Maggio.

castelli

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Un anno e già si scannano

Cdm, scoppia il caso dei nuovi ministri
Letta frena: il premier andrà da Napolitano
Calderoli fa i nomi di Castelli, Urso e Romani come vice. Brambilla promossa al Turismo. Un’ora dopo, il sottosegretario: “Nessun nome, sul Colle si discuterà della struttura del governo”. Referendum il 21 giugno


°°° Più poltrone che culi. Venghino siòri, al teatrino della politica e del potere! Bondi alla cultura, Alfano alla giustizia, Brambilla al Turismo… sempre più un governicchio – TAFAZZI. E la frittata è fatta: col culo degli italiani… Che sfiga, ragazzi!

bb

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Mafialand

Berlusconi e la sua cosca stanno facendo un regalo via l’altro alle mafie loro socie:

IL CASO. La modifica proposta dell’ex di An Contento ottiene
il sì anche del Guardasigilli. Scontro con la Lega. L’ira del Viminale
Appalti, il Pdl cambia l’anti-racket
“No all’obbligo di denuncia
di LIANA MILELLA

Appalti, il Pdl cambia l’anti-racket “No all’obbligo di denuncia”
ROMA – Maroni da una parte, Alfano dall’altra. Lega e Pdl divisi su appalti e mafia. Dopo la rottura su ronde, Cie, medici-spia, la manovra del governo sulla sicurezza segna lo scontro sull’obbligo per l’imprenditore titolare di appalti pubblici di denunciare un’estorsione pena la perdita della commessa e l’interdizione dalle gare per tre anni.

Succede alle due di notte, nelle commissione Giustizia e Affari costituzionali della Camera, all’ultimo rush per mandare il ddl oggi in aula. Il ministro dell’Interno leghista Roberto Maroni e il sottosegretario (ex An) Alfredo Mantovano hanno raccolto gli appelli di Ivan Lo Bello, il presidente di Confindustria in Sicilia, della collega campana Cristiana Coppola, delle associazioni antiracket, e insistono per l’obbligo di denuncia nella versione del Senato. Ma una modifica dell’ex aennino Manlio Contento lo fa cadere e raccoglie il sì del sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, che ha approfondito la questione col Guardasigilli Angelino Alfano, e dei due relatori ex forzisti Jole Santelli e Francesco Paolo Sisto. La Lega protesta, Mantovano spiega che “il testo è frutto di un accordo tra Interno, Giustizia, Economia e Sviluppo economico, con il via libera di palazzo Chigi”. Ma la Giustizia fa dietro front. In aula si fronteggia la sola maggioranza perché Pd e Idv se ne sono andati per protesta. Si vota: vince il Pdl. Se fosse stata presente l’opposizione forse avrebbe prevalso il Viminale.

Che fa pesare l’accaduto. Dice Maroni: “Questa notte alcune votazioni hanno confermato le mie preoccupazioni. Una norma fortemente voluta dal ministero è stata emendata e svuotata di significato”. E oggi, in consiglio dei ministri, chiederà a Berlusconi di mettere la fiducia sul ddl perché teme che la coalizione si sfaldi su ronde, Cie, reato di clandestinità che obbligherà gli incaricati di pubblico servizio a denunciare gli stranieri. Tant’è che l’intersindacale medica chiede “una specifica e precisa esenzione dall’obbligo di denuncia”.

La divisione sugli appalti porta acqua a Maroni. Il conflitto è pesante. Da una parte c’è la norma esistente, contestata alla Camera dall’Ance, che tra le cause di esclusione da una gara inserisce la mancata denuncia dell’estorsione che il pm scopre in un’indagine su terzi. L’imprenditore non è indagato, ma il pm dovrà segnalare l’anomalia all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici. Manlio Contento dice no: “È una procedura di dubbia costituzionalità perché l’imprenditore non è direttamente sotto inchiesta”. Con la correzione il pm segnalerà solo imputati di falsa testimonianza o favoreggiamento. Caliendo è d’accordo: “Se un imprenditore è minacciato dell’uccisione del figlio e non la denuncia per paura di perderlo, poi non può perdere l’azienda. Se vieni chiamato da polizia e pm e non collabori è diverso”. Mantovano è sul fronte opposto: al Senato si è battuto per una norma che obbliga a un maggior dovere di lealtà chi lavora con lo Stato. Norma vantata da Maroni all’Antimafia come strumento per costringere gli imprenditori alla denuncia. Prevale la linea garantista. Al Viminale sono in collera: “Evidentemente sono tutti contenti che la Salerno-Reggio sia un’autostrada a una corsia” dicono alludendo al peso della mafia sulle gare.

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Guarda come si tuffano!

TRIBUNALE
Da “Drive in” all’aula
Salis diffamò Carta
Una battuta sul sito liberodiscrivere.it è costato al comico
e produttore Lucio Salis (62 anni di Santa Giusta) la condanna
per diffamazione ai danni dell’ex sottosegretario alla Giustizia
Giorgio Carta. Sullo spazio web, l’inventore della battuta
“Cappitto mi hai” a Drive In – condannato a pagare 2 mila euro
– avrebbe scritto frasi offensive sulla mole di Carta. All’ex esponente socialista, parte civile con il legale Sandro Grimaldi, mille euro di provvisionale. ■

°°° Qualcuno di voi può mandarmi online i pezzi dell’unione sarda e la Nuova sardegna? Grazie. Voglio vedere se quando vincerò l’appello ne parleranno con lo stesso rilievo. GRAZIE!
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la pesciarola peracottara

BRAMBILLA: TURISMO ITALIANO, AUTO TEDESCA...
Non è ancora ministro, Michela Vittoria Brambilla, e forse anche per questo motivo ama stupire. Ieri a Roma, in occasione della prima giornata di un incontro dedicato al turismo nel Lazio e dal titolo ecumenico «Uniti contro la crisi», il sottosegretario ha voluto a tutti i costi farsi notare: al cospetto di Federica Alatri, presidente dell’Agenzia regionale per la promozione turistica di Roma e del Lazio (e già consorte dell’ex direttore del Corriere della Sera, Paolo Mieli), la Brambilla ha discettato di alta politica.

Quindi, una spasmodica attenzione riservata alla stampa, con riferimenti incessanti al desiderio e alla volontà di aiutare il mondo imprenditoriale turistico italiano, promuovere l’immagine dell’Italia, far arrivare più stranieri nella penisola (e non con i barconi degli immigrati, ma in aereo e navi da crociera).
Dopo tutta questa pubblicità all’Italia, la Brambilla lascia il centro congressi Roma Eventi e monta su un’autovettura. Italiana? Macché, tedesca: una fiammante Mercedes.

ECCO L’ENNESIMA CAZZARA DELLA DESTRA:

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