Maria Novella Oppo

Super-Papi e il nome delle cose

Quello di papi è un governo nominalistico. Basta cambiare nome alle cose e tutto va bene. Certo, perché il sistema funzioni, ci vuole il dominio quasi totale delle comunicazioni, ma, per il resto, non serve neppure avere a disposizione i massimi cervelli della pubblicità. Anzi, va bene perfino Gasparri. Se il boss è un frequentatore abituale di veline pagate e non si riesce a oscurare del tutto i fatti tramite i velinari direttori dei tg, basta dire sorridendo che Berlusconi non è un santo. Se i suoi alleati fanno propaganda razzista e gli episodi di violenza xenofoba dilagano, basta dire che si tratta solo di pacifico volontariato a difesa del territorio. Se si tagliano le risorse scolastiche soprattutto al sud, dove ce n’è più bisogno, basta sostenere che va premiato il merito, notoriamente concentrato al nord per grazia divina. E se poi qualcuno nota che tra i più stretti collaboratori del premier ci sono parecchi avanzi di galera, è chiaro che i giudici sono tutti comunisti.

GLI IDOLI DURANO POCO. SE SONO DI CARTAPESTA, ANCORA MENO.

battello

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

La risposta di Repubblica

LA RISPOSTA AL PREMIER
Il mercato ad personam

E’ un problema per tutti quando un uomo di Stato perde la testa. Lo è per chi lo ha votato, che si sente defraudato e deluso. Ma lo è anche per chi non lo ha scelto, perché misura la deriva di un leader, l’imbarazzo internazionale che lo circonda e soprattutto l’indebolimento del Paese.

In pochi giorni, sommerso da uno scandalo pubblico che non sa affrontare perché non può spiegare (il famoso “ciarpame politico”) il presidente del Consiglio ha accusato “Repubblica” di manovre “eversive”, d’intesa con i giornali stranieri, ha parlato di “campagna d’odio e d’invidia” e ha invitato gli imprenditori a non fare pubblicità su questo giornale.

Ieri, costretto a rispondere ad una domanda sul caso che lo insegue appena mette il naso fuori dalle mura dei giornali e delle televisioni domestiche – comprese quelle di Stato – ha ribadito la sua minaccia alla libera stampa. Siamo davanti al caso unico di un premier imprenditore che usa il mercato ad personam, invitandolo a colpire un’azienda per fermare un giornale.

Naturalmente noi proseguiremo il nostro lavoro; e altrettanto naturalmente il Gruppo Espresso ha annunciato azioni legali contro il presidente del Consiglio in sede civile e penale. Ma il problema resta. Perché c’è modo e modo di affondare: lo spettacolo a cui stiamo assistendo trascina nel gorgo la dignità di uno Stato e di un Paese.

apicella3

caligola1

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

AGGHIACCIANTE

Mandato ai legali dopo le frasi del primo giugno al convegno di Santa Margherita Ligure
Parlò di “trama eversiva” e disse agli industriali di non dare pubblicità ai “media catastrofisti”
Accuse di “eversione” e “niente pubblicità”

Il gruppo Espresso querela Berlusconi
Il Cavaliere: “Non tengono vergogna”. E insiste: “Giusto non dargli pubblicità”

vecchio

Continua a leggere

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

E’ AL POTERE PER CONTINUARE A RUBARE

IL REGIME DI DESTRA (INDOVINA CHI?) HA INCREMENTATO DEL 237% LE CAMPAGNE ISTITUZIONALI SULLE RETI MEDIASET (LA RAI DEVE TRASMETTERLA GRATIS): 3.137 MLN € SU 3.288 MLN € – MENO 98% AI QUOTIDIANI CATASTROFISTI…

Carmelo Lopapa per “la Repubblica”

Investimenti più che triplicati per le tv e per quelle targate Mediaset in particolare. E rubinetti ormai chiusi, giusto poche gocce, qualche spicciolo, per la carta stampata. Palazzo Chigi ha già messo in pratica dall´inizio dell´anno l´indirizzo che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha «suggerito» agli imprenditori che lo ascoltavano sabato a Santa Margherita.

b-bandito

Il report della Nielsen Company sull´utilizzo dei fondi per pubblicità istituzionale a disposizione della Presidenza del Consiglio dei ministri conferma, numeri alla mano, l´andazzo che era ormai evidente agli addetti ai lavori. E intanto in Rai scoppia il caso Tg1, col Pd che accusa la nuova direzione di Augusto Minzolini di essere nuovo «organo di propaganda berlusconiana».

Il premier Berlusconi lo aveva detto ai giovani imprenditori: «Anche voi, non dovreste dare pubblicità ai media catastrofisti». Anche loro come lui, infatti: catastrofisti o no, i giornali ha deciso di punirli. La tabella della Nielsen, mette a confronto l´utilizzo fatto negli ultimi tre mesi di vita del governo Prodi dei 2 milioni di euro a disposizione del dipartimento Editoria, con il trend nello stesso periodo (gennaio-marzo 2009), quando con Berlusconi il dipartimento è stato guidato da Mauro Masi, oggi alla direzione generale Rai.

Ebbene, la presidenza di centrodestra ha incrementato del 237% gli investimenti a beneficio delle tv private, da 932 mila a 3 milioni 137 mila euro (la Rai deve mettere in onda gratuitamente i messaggi istituzionali). In pratica, quasi l´intero budget (3 milioni 288 mila euro) dirottato sulle emittenti tv.

Con azzeramento o quasi dell´investimento sulla carta stampata: da 369 mila euro del trimestre Prodi a 9 mila euro di quello berlusconiano, meno 98%. Flessione verticale anche per magazines e internet. Ma a balzare agli occhi è soprattutto l´impennata dello stanziamento in favore di Canale5 (da 440 mila a oltre 2 milioni di euro), Italia1 (da 230 mila a 536 mila euro) e Rete4 (da 163 a 253 mila).

«È in atto, da parte dei grandi investitori pubblicitari, uno spostamento dalla Rai e dalla stampa verso i canali Mediaset – spiega Paolo Gentiloni, responsabile Comunicazioni del Pd – temo che non abbia a che fare con dinamiche di mercato. La cosa stupefacente è che lo spostamento viene anticipato dalla presidenza del Consiglio. Siamo ormai alla esibizione, al colmo del conflitto di interessi».

Intanto, sul Tg1 si scatena la polemica. Il Pd, con Piero Martino e Fabrizio Morri, mette sotto accusa la nuova gestione dopo i servizi di politica della sera: «Da ieri è ufficiale, con la direzione Minzolini il Tg1 diventa l´organo dell´offensiva di Berlusconi contro il Pd». Il Pdl fa quadrato: «Intimidite». La direzione del Tg1 si difende: «Reazione scomposta, sono illazioni».

crisi-fisco1

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

IL REGIME A UN PASSO DAL BARATRO

Il premier e i consigli per gli acquisti
di MASSIMO GIANNINI

“Non date pubblicità ai media che cantano ogni giorno la canzone del pessimismo”. Questa, dunque, è la “dottrina Berlusconi” sul libero mercato. Questi sono i “consigli per gli acquisti” che l’Imprenditore d’Italia impartisce ai suoi “colleghi”. L’uomo che sognava di essere la Thatcher, che si celebrava come “l’unico alfiere dell’economia liberale” nel ’94 e come “il vero missionario della tv commerciale in Europa” nel ’96, oggi concepisce così i rapporti tra produttori, clienti ed utenti. Non un contratto. Neanche un baratto. Piuttosto un ricatto.

Le parole pronunciate dal presidente del Consiglio dal palco confindustriale di Santa Margherita Ligure sono un ulteriore, drammatico esempio dei tanti “virus letali” che si stanno inoculando nelle vene di questo Paese. è un problema gigantesco, che chiama in causa sia chi produce quei virus (il presidente del Consiglio) sia chi li subisce (l’establishment politico-economico).
L’infezione promana direttamente dal capo del governo, dalla sua visione del potere, dalla concezione tecnicamente “totalitaria” delle sue funzioni. Proprio lui, che dovrebbe essere il primo a conoscere e difendere le ragioni del mercato, le umilia e le distrugge in nome di un interesse politico superiore: il suo. Il ragionamento fatto ai giovani industriali è agghiacciante: “Bisognerebbe non avere ogni giorno una sinistra e dei media che cantano la canzone del pessimismo. Anche voi dovreste fare di più: non dovreste dare pubblicità a chi adotta questi comportamenti”. Nell’ottica distorta del Cavaliere, la pubblicità non è più uno strumento da impiegare liberamente nella competizione economica: non si distribuisce più in base all’utilità del mezzo, all’efficacia del messaggio e alla profittabilità dell’investimento. Diventa invece un’arma da usare selettivamente nella battaglia politica: si distribuisce, a prescindere dall’efficacia del messaggio e dalla profittabilità dell’investimento, solo in base alla “fedeltà” del mezzo. Il presidente del Consiglio chiede agli imprenditori una sostanziale alterazione delle regole del mercato, con l’unico scopo di punire chi non è d’accordo con la politica del suo governo.

Il paradosso è che a sostenere questa tesi sia il capo del governo, che è al tempo stesso proprietario di Mediaset (e dunque di una delle maggiori concessionarie italiane) e azionista (attraverso il Tesoro) delle principali aziende pubbliche o semi-pubbliche del Paese. Come si regoleranno i dirigenti di Publitalia, nel distribuire le campagne pubblicitarie sulle radio e le televisioni? E come si regoleranno i manager di Eni, Enel, Finmeccanica, Poste, nel distribuire le loro campagne pubblicitarie sui quotidiani e i settimanali? Sarà interessante verificarlo, di qui ai prossimi mesi.

L’infezione inquina progressivamente il corpo della società italiana, delle classi dirigenti, delle istituzioni di garanzia. Una parola sugli imprenditori, innanzi tutto. Ancora una volta, bisogna constatare con rammarico che quando il Cavaliere ha lanciato il suo ennesimo anatema, dai giovani e dagli “anziani” di Confindustria non solo non si sono levate proteste, ma viceversa sono arrivati addirittura gli applausi. Eppure, per chi fa impresa e combatte ogni giorno sui fronti più esposti della concorrenza, le aberrazioni berlusconiane non dovrebbero trovare diritto di cittadinanza, in un convegno della più importante associazione della cosiddetta “borghesia produttiva”.

Se esistesse davvero, una classe dirigente responsabile e consapevole del suo ruolo dovrebbe reagire, cacciando il mercante dal tempio. Invece tace, o addirittura condivide. E non solo nei saloni di Santa Margherita Ligure. Poche ore più tardi, nella notte di Portofino, il Cavaliere ha cenato con due alti esponenti del gotha confindustriale. Marco Tronchetti Provera (presidente di Pirelli ed ex azionista di riferimento di Telecom) e Roberto Poli (presidente dell’Eni) erano al suo fianco, mentre il premier smentiva la smentita dei suoi uffici di Palazzo Chigi, e confermava che con quell’intemerata sulla pubblicità ce l’aveva proprio con i giornali “nemici”, e in particolare con “Repubblica”.
Ebbene, anche in quella occasione nessun distinguo, nessuna presa di distanza da parte di chi dovrebbe preferire le leggi mercatiste di Schumpeter a quelle caudilliste di Berlusconi.

Ma una parola va spesa anche sulle cosiddette Autorità amministrative indipendenti, chiamate a tutelare la concorrenza, e sulla cosiddetta libera stampa, chiamata a difendere il diritto all’informazione. Solo in un Paese in cui si stanno pericolosamente snaturando i meccanismi di “check and balance” può accadere che di fronte a certe nefandezze ideologiche non ci siano organi di vigilanza capaci di fare semplicemente il proprio dovere. L’Antitrust non ha nulla da dire, sulla pretesa berlusconiana di riscrivere le regole del mercato pubblicitario con criteri di pura convenienza politica? E il giornale edito dalla Confindustria non ha nulla da dire, sul tentativo berlusconiano di condizionare le scelte commerciali dei suoi azionisti?
Domina il silenzio-assenso, nell’Italia berlusconizzata. Tutto si accetta, tutto si tollera. Anche un mercato schiaffeggiato dalla mano pesante del Cavaliere, invece che regolato dalla mano invisibile di Adam Smith.

°°° Orripilante. Abbiamo una classe industriale di incapaci, di servi, ladri ed evasori fiscali. A queste merdine va benissimo un bandito al potere: ruba lui, rubiamo tutti. Alè!

berlusconi_dimettiti4

b-merda3

LE PERICOLOSE EVOLUZIONI DI MAFIOLO

sciocco-bici

berlusconi-ladro5

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

Buonanotte a tutti! Domani a Carbonia.

Ciau, ragazzi. Domani vado a Carbonia a incontrare un po’ di gente e tornerò giovedì sera. Mi raccomando, fate i bravi e cliccate le pubblicità. Qualcuno potrebbe anche prendere almeno il libro in Pdf… Spero di tornare con buone notizie. Rispondo ancora a un po’ di posta e poi vado a leggere un po’. LEGGERE FA BENE! Baci e abbracci.

la_lettrice

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

I soliti malavitosi al soldo

MA CHI CI GUADAGNA DA UNA RAI SENZA SPOT?
di Augusto Preta 31.03.2009

Il ministro Bondi ha avanzato l’ipotesi di una Rai senza pubblicità, sull’onda di una recente riforma francese. Ma in Francia ci si proponeva almeno di redistribuire le risorse pubblicitarie tolte al servizio pubblico a canali privati, radio, stampa e nuovi media. Un progetto fallito per l’insorgere della crisi. E che ora si trasforma in un impoverimento di tutti i media, pubblici e privati. In Italia, le perdite per la tv pubblica sarebbero ben più consistenti e avrebbero conseguenze ancora più negative sull’intero sistema televisivo nazionale.

Mettere mano alla televisione è un’aspirazione che accomuna i vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni. Nei casi più recenti, quando si è tentato di affrontare il tema chiave delle risorse economiche, dal disegno di legge Gentiloni fino alla recente proposta Bondi, emerge comunque una comune forte impronta dirigista, volta a regolare le dinamiche di mercato, spostando risorse per legge o decreto, e magari cercando di favorire più o meno consapevolmente una delle due parti in causa (l’idea dei nostri politici è che ci sia ancora un duopolio), con risultati che, se realizzati, sarebbero estremamente negativi per tutto il sistema.

PUBBLICO SENZA PUBBLICITÀ

Nelle scorse settimane, il ministro Bondi ha avanzato l’ipotesi di un servizio pubblico senza pubblicità, sull’onda della recente riforma francese. Da quel momento, il tema è entrato nel dibattito nazionale, ma come spesso avviene nel nostro paese, prescindendo totalmente dai dati di fatto e dall’analisi del caso concreto.
La nuova legge sulla televisione in Francia è stata promulgata il 7 marzo scorso, dopo un iter di oltre un anno, iniziato nel gennaio del 2008 con una dichiarazione pubblica del presidente Sarkozy. Gli effetti della sua applicazione non sono ancora visibili, salvo l’articolo che riguarda la soppressione della pubblicità sulle reti del servizio pubblico dalle 20 alle 6, in vigore dal 5 gennaio scorso. (1)
L’applicazione definitiva della legge provocherà la perdita di 800 milioni di euro di pubblicità sulla televisione del servizio pubblico, che il governo pensava di recuperare attraverso una tassa supplementare sul fatturato dei principali operatori commerciali concorrenti: 3 per cento per le reti private storiche nazionali; tra l’1,5 e il 2,5 per cento per le nuove reti digitali; 0,9 per cento sul fatturato proveniente dai ricavi da servizi di accesso a larga banda per operatori di rete fissa e Umts.
Secondo le intenzioni del governo, il servizio pubblico e gli utenti si sarebbero liberati dal giogo della pubblicità, e le risorse prima destinate alla tv pubblica si sarebbero trasferite sugli altri media: 480 milioni sulle reti private nazionali concorrenti Tf1 e M6, 160 milioni su radio, stampa e affissioni, 80 milioni su internet e new media e 80 milioni sulle altre televisioni, principalmente i canali del digitale terrestre.
I risultati per il momento sono di tutt’altro tenore. A causa della crisi economica, gli inserzionisti anziché investire sugli altri media, hanno semplicemente soppresso gli investimenti in pubblicità.
In termini di fatturato lordo:

– Tf1, la principale tv privata, vede i suoi investimenti pubblicitari lordi diminuire del 20,3 per cento nei primi due mesi rispetto al periodo equivalente dell’anno scorso, secondo quanto dichiarato dai dirigenti della rete il 9 marzo scorso, e ha perso dal 1 gennaio 2009 il 50 per cento del suo valore in borsa.
– M6, il canale privato concorrente, perde oltre il 10 per cento di ricavi pubblicitari
– solo le reti Dtt vedono gli investimenti lordi sui primi due mesi dell’anno aumentare dell’85 per cento rispetto a gennaio-febbraio dell’anno scorso, ma è soprattutto il risultato dei notevoli progressi in termini di audience di queste reti. In ogni caso, si tratta di pochi milioni di euro contro le centinaia perse dai network nazionali.

L’audience della televisione pubblica, nonostante l’assenza di pubblicità, è leggermente diminuita dal primo gennaio scorso, mentre quella di Tf1 e M6 non ha subito sostanziali cambiamenti.
Ne consegue che a tutt’oggi gli 800 milioni di finanziamento del servizio pubblico che prima provenivano dalla pubblicità, non sono garantiti. Lo Stato, quindi il contribuente, dovrà pagarne una parte.
Anche le altre fonti non sono garantite, dal momento che le reti private dovranno versare una tassa supplementare su un fatturato pubblicitario che per il 2009, e forse anche per il 2010, sarà in forte diminuzione.
Gli operatori di telecomunicazione, che hanno fatto ricorso davanti alla Commissione europea, trasferiranno la tassa sul costo degli abbonamenti ai loro servizi. Per il momento, la legge provoca un impoverimento dei media dal momento che gli inserzionisti, vittime della crisi economica, hanno soppresso la quasi totalità delle somme precedentemente investite sulla televisione pubblica, anziché investirle negli altri mezzi.
Le reti pubbliche di France Télévisions, in previsione della futura diminuzione degli introiti, hanno già ridotto gli investimenti dedicati agli acquisti di programmi, fiction e altri, tanto che già a dicembre, l’associazione dei produttori inglesi ha inviato un rapporto all’ambasciatore francese a Londra per protestare contro il varo della legge.

LEZIONE CHIARA

In conclusione, dalla vicenda francese emergono alcuni insegnamenti molto chiari.
Il primo è che la pubblicità sui grandi canali generalisti non è ormai più vista come un fattore in grado di spostare ascolti: gli spettatori scelgono quel programma indipendentemente dalla presenza dei break pubblicitari. In altri termini, non vi è elasticità della domanda di visione dei programmi dalla riduzione o abolizione della pubblicità.
Il secondo è che la redistribuzione delle risorse in seguito a uno shock di mercato, come l’eliminazione immediata di centinaia di milioni di risorse economiche, non è facilmente indirizzabile verso canali ritenuti sostituti. Innanzitutto, perché la congiuntura economica, che determina in prima battuta la disponibilità di risorse che le imprese investono in pubblicità più ancora dell’attrattività dei programmi tv, può sempre incidere in maniera inattesa, come sta avvenendo ora.
Inoltre, la visione che sottende alla legge è che ci troviamo di fronte a un mercato statico, dove gli investimenti rimangono stabili sulle reti tradizionali, per cui la porzione della torta che viene sottratta a un soggetto viene poi ripartita tra i restanti, che pagano una tassa per finanziare chi è rimasto senza boccone. La realtà è invece molto più dinamica e registra in tutta Europa una chiara saturazione del mercato della tv tradizionale, a vantaggio dei canali tematici, che sottraggono importanti quote di mercato in termini d’ascolti e di ricavi. Nel caso della Francia, ciò significherebbe minori introiti indiretti dalla tassa sul fatturato dei canali commerciali, che non compenserebbero in ogni caso le perdite derivanti dalla pubblicità.
Nel caso dell’Italia, dove non è chiaro neppure se vi sia la volontà di ribilanciare le perdite ben più consistenti che il servizio pubblico subirebbe, 1,1 miliardi di euro, la soluzione alla francese appare economicamente meno sostenibile e dunque in grado di produrre conseguenze ancora più negative per l’intero sistema televisivo nazionale.

(1) A causa dei ritardi nel varo della legge, è stato il consiglio di amministrazione di France Télévisions a prendere la decisione di eliminare la pubblicità in quella fascia oraria dall’inizio dell’anno. Dal 7 marzo 2009 è la legge che proibisce la diffusione di messaggi pubblicitari dalle 20 alle 6. La soppressione per il resto della giornata interverrà con lo spegnimento definitivo della diffusione analogica a fine 2011.

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter